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Iraq, i cristiani sono l’anello debole di un paese allo sbando

«L’Iraq è una società scoppiata. Dopo aver fatto cadere il regime di Saddam, le forze alleate non hanno previsto tutte le misure indispensabili per evitare il vuoto istituzionale creato con la sua caduta ed hanno così aperto la via all’anarchia e al caos attuale». È toccato a mons. Jean Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad, il compito di riferire di un «Paese messo in ginocchio dalla sua stessa violenza» alla Conferenza episcopale dei vescovi latini nelle regioni arabe (Celra), tenutasi nei giorni scorsi presso il lago di Tiberiade, in Galilea. «Il regime precedente – ha affermato l’arcivescovo di Baghdad, nella sua ampia relazione – era riuscito a mantenere il Paese unito gelandone i conflitti interni che ora sono riesplosi su base etnica e religiosa. A lungo frustrata in tutti i suoi settori, la società irachena oggi crede di compensare rincorrendo potere e ricchezza ma il tutto si traduce in caos e morte».

In campo religioso, «l’Iraq nuota in un fondamentalismo inedito, dove al classico tradizionalismo si sono innestati un salafismo di ispirazione wahabita e un komeinismo duro. Il fondamentalismo occupa anche lo spazio pubblico, dal velo islamico al divieto di bevande alcoliche, dalla chiusura dei parrucchieri per donne alle regole islamiche per quelli maschili». A tutto questo si aggiunge una regressione economica e sociale dovuta «ai lunghi anni dell’embargo e al saccheggio delle ricchezze del Paese dopo la caduta di Saddam Hussein». «Oggi – ha ricordato il presule – il sistema giudiziario è in ginocchio. Le infrastrutture sono in uno stato pietoso. Nei mesi scorsi l’elettricità era distribuita solo per pochissime ore, nei casi peggiori mancava per interi giorni. Ma a peggiorare sono le relazioni sociali minate dalla violenza. Ci sono delle vere pulizie etniche che avvengono sotto gli occhi dei responsabili».

«I protagonisti della società irachena – secondo l’arcivescovo latino – vivono dei tragici dilemmi. Gli americani per primi. Sanno che il loro ritiro significherebbe perdere la guerra, i soldi e la faccia, ma continuare significherebbe anche un combattimento lungo, costoso e dall’esito incerto». Gli sciiti «dominano il potere e una buona parte delle ricchezze del Paese ma non possono imporsi come sola forza dominante e cominciano a registrare dei dissidi interni». I sunniti «stanno sperimentando oltre i costi esorbitanti della loro azione armata anche i limiti della violenza e sono impauriti dalla violenza interconfessionale». I curdi «hanno raggiunto il massimo delle loro realizzazioni e ora sono pressati dall’opposizione interna ed esterna, la Turchia».

Ma sono i cristiani «le vittime più deboli della società civile irachena», perché vengono «rapiti, aggrediti e umiliati, assoggettati a leggi e costumi che non sono i loro, e nemmeno iracheni». «I cristiani iracheni – ha proseguito l’arcivescovo di Baghdad – oggi sono malinconici, disincantati e si sentono braccati. Gli abusi dei nuovi poteri etnico-confessionali li umiliano. Le donne cristiane devono indossare il velo, le giovani diventare invisibili, la fede deve essere espressa timidamente e discretamente». Mons. Sleiman ha poi ricordato le ultime violenze cui sono stati soggetti i cristiani iracheni: «Il rapimento di tre sacerdoti, liberati solo dopo il pagamento di un riscatto, un prete siro-ortodosso decapitato a Mossul, esplosioni nei quartieri cristiani che hanno provocato 50 morti».

La loro debolezza nella società irachena fa sì che «i cristiani vengano rapiti per ottenere riscatti, che debbano lasciare i loro posti di lavoro a favore di altri. Sono condannati alla disoccupazione, poiché per paura di essere perseguitati non accettano lavoro da aziende straniere. Sono impauriti al punto di non frequentare chiese e luoghi di culto a causa di attentati». «I cristiani si sentono stranieri nel loro stesso Paese – è stata la conclusione –. Poco uniti faticano a far sentire la propria voce e ignorati pensano a vincere la paura cercando nuovi paradisi, emigrando, come negli Stati Uniti, Terra promessa per eccellenza».a cura di Daniele Rocchi

Iraq, la democrazia non nasce dalle forche (di Romanello Cantini)