Italia

Meno potere d’acquisto per i pensionati italiani

di Ennio CicaliLe pensioni attuali non si toccano»: è il ritornello ricorrente ogni volta che si accenna alla riforma del sistema pensionistico, la rassicurazione ricorrente dei vari governi – centrodestra o centrosinistra. C’è poco da toccare, dopo i provvedimenti del governo Amato nel 1992, definiti dalla stampa di allora come un drastico ridimensionamento delle pensioni italiane. Una mazzata da togliere il fiato, si disse, che si abbatté senza preavviso sui lavoratori. Fino a quel momento le pensioni erano agganciate a una doppia indicizzazione: alle retribuzioni contrattuali e ogni 6 mesi al tasso di inflazione. Di conseguenza, le pensioni furono adeguate all’inflazione con cadenza annuale, cancellando per decreto l’ancoraggio alle retribuzioni dei lavoratori attivi. Una misura eccezionale e transitoria, si disse, solo per superare un momento di crisi. Invece, è diventata così stabile che l’equilibrio del sistema previdenziale si fonda su di essa. Per i pensionati è restato solo l’aggancio all’inflazione, che riscuotono a scoppio ritardato.Per effetto dei provvedimenti del governo Amato, una bella fetta di popolazione anziana ha perso vistosamente, e tuttora sta perdendo, potere d’acquisto. I pensionati con redditi bassi e medio bassi hanno accusato in 15 anni una perdita del potere di acquisto pari a circa 320 miliardi di euro. A calcolarlo è uno studio aggiornato preparato per la Fnp (la federazione pensionati della Cisl), secondo il quale la perdita accumulata dovuta all’abolizione della perequazione semestrale all’inflazione è stata pari a 60 volte l’importo della pensione considerata all’inizio degli anni ’90.

«È come se i pensionati non avessero percepito per 4 anni e mezzo gli assegni pensionistici o se per 10 anni avessero percepito la pensione solo per metà anno inclusa la tredicesima», scrive il rapporto. Per le pensioni medio basse, cioè di importo tra 600-1.500 euro mensili, la perdita cumulata dovuta all’introduzione della perequazione annuale all’inflazione, risulta dalle 57 alla 44 volte l’importo della pensione considerata quindici anni fa. «È come se – si legge ancora – i pensionati non avessero percepito gli assegni per un periodo da 4 anni e tre mesi a 3 anni e tre mesi; o come se per dieci anni avessero incassato solo dalle 7 alle 9 mensilità annuali e quindi avessero percepito la pensione fino a luglio-settembre di ogni anno».

A togliere potere d’acquisto agli anziani concorre poi lo sganciamento dalla dinamica salariale. Le pensioni basse, a causa di questo provvedimento, hanno perso in quindici anni da 3.250 euro a 5.300 euro. La perdita in 15 anni è stata pari a 11 volte l’importo della pensione considerata all’inizio: è come se i pensionati non avessero percepito per un anno l’assegno o se negli ultimi 11 anni avessero ricevuto solo 12 mensilità l’anno. Sempre a causa dello sganciamento dalla dinamica salariale, le pensioni medio basse hanno perso in dieci anni da 5 500 euro a 6.300 euro. Lo studio mette in evidenza che all’inizio del 2000 circa 5 milioni di pensionati avevano un reddito da pensione fino a 1.000 euro al mese e circa 8 milioni di anziani non arrivava a 1.500 euro al mese.

Ma ora vediamo più da vicino la Toscana, con dati Inps del 1º gennaio 2005. Nella nostra regione, prendendo in esame solo le pensioni di anzianità e quelle di vecchiaia erogate direttamente dall’Inps (a queste si aggiungono quelle per altre cause e quelle di altri enti previdenziali), otteniamo il numero di 623.024, circa tre anziani su quattro possono contare su una pensione.

I dati si differenziano molto provincia per provincia: a Prato sono più di otto su dieci, a Massa e a Grosseto solo sei su dieci. L’importo medio è di 823 euro mensili anche qui con differenze sensibili nelle province che vanno dai 756 euro di Siena ai 967 di Livorno che, per importo medio pro capite è di gran lunga la prima in regione.

Questa la situazione quando in questo mese si aprirà in confronto sul sistema pensionistico. Il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, ha già fatto sapere che non intende sedersi al tavolo delle trattative se prima non vengono rivalutate le pensioni in essere. Non è una rivendicazione da nulla per un confronto che, a dir poco, si preannuncia duro.

Dieci euro in più dal gennaio 2007Dal 1° gennaio sarà pagato ai pensionati l’unico scatto della scala mobile sulle pensioni previsto per il 2007. È stabilito, infatti, che l’incremento scatti una sola volta l’anno, determinato in base all’aumento dell’indice Istat dei prezzi al consumo. Dall’ultimo incremento riconosciuto ai pensionati è passato esattamente un anno (l’ultimo scatto di scala mobile risale, appunto, a gennaio del 2006) e durante quest’arco di tempo, il «caro-vita» non è stato fermo, come ben sanno le tasche dei pensionati. Questi i nuovi importi dal 1° gennaio 2007:

• trattamento minimo: euro 436,14 (8,56 euro in più rispetto al 2006);

• trattamento minimo con incremento: euro 559,91(8,56 euro in più rispetto allo scorso anno);

• pensioni superiori al minimo: 2% per le pensioni o quote di esse fino a euro 1.282,74 (tre volte il minimo) con un incremento massimo lordo di 25,65 euro; 1,80% per le quote di pensione comprese tra euro 1.282,74 euro 2.137,90 (cinque volte il minimo), con un incremento massimo lordo di 38,48 euro; 1,50% per le quote di pensione oltre euro 2.137,90;

• assegno sociale: euro 389,36 (più 7,64 rispetto allo scorso anno);

• pensione sociale: euro 320,87 (più 6,29 rispetto al 2006).