Italia
Quando Gesù ha la pelle nera
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Padre Maurizio Balducci è un missionario comboniano fiorentino, da molti anni in Africa: attualmente è in Uganda, dove si occupa della formazione dei catechisti. Per Toscanaoggi ha scritto questo racconto del suo Natale trascorso nei campi profughi.
Questo Natale per la prima volta in vita mia ho celebrato la nascita del Bambino tra i rifugiati. Purtroppo anche nella nostra zona questi 19 anni di insicurezza ne hanno prodotti parecchi e nella nostra parrocchia che è vicina alla città ed in una zona «relativamente» sicura abbiamo diversi campi. Internally displaced si chiamano, profughi locali! Per la vergogna di un paese (governo?) che non vuole veramente la pace!
La situazione di vita nei campi è miserevole, appiccicata come è la gente, senza uno spazio di privacy e senza, spesso, nessuna fonte di reddito. Naturalmente la moralità è la prima che va a farsi friggere in questa situazione e così promiscuità e Aids trionfano!
Dopo molte confessioni abbiamo finalmente iniziato la Messa. Come da copione sono entrato danzando con in braccio il bambino più piccolo della cappella. È un’idea che mi è venuta a mente anni fa e che certamente non sarebbe dispiaciuta a San Francesco, l’inventore del presepe. La gente capisce bene ciò che sto facendo e si apre a grandi sorrisi. Applaudono e le donne iniziano a far trilli. Naturalmente i più interessati sono i bambini e allora bisogna chinarsi alla loro altezza per mostrare loro il bambino che ammirano con tanto di occhi sgranati. «Questo è il bambin Gesù» dico loro. E sento che commentano tra di loro: «è nero», come dire «è come noi». E allora spiego che davvero è così perché Gesù prende il colore della gente in mezzo a cui nasce. È davvero come noi in tutto e per tutto, però è Figlio di Dio!
Dopo l’omelia era stato programmato il secondo passo per i candidati adulti al battesimo. Si tratta di un cammino che si dovrebbe fare in Quaresima ma che per noi è impossibile visto che di cappelle ne abbiamo 54! E così ci si avvantaggia. Si trattava di un simpatico gruppetto di 13 ragazzi e ragazze. Il catechista presenta i candidati al padre che poi domanda ai padrini e madrine (che qui non hanno solo un ruolo cerimoniale o pecuniario) se veramente questi ragazzi si impegnano come è richiesto loro. Vengono alla preghiera ogni domenica (se lo chiedessimo in Italia )? Si impegnano al catechismo? Sono di aiuto ai poveri e alla comunità cristiana? Si comportano da cristiani? E infine: son degni di diventare cristiani?
In poche parole si spiega l’essenza della vita cristiana che stanno per intraprendere e si domanda direttamente ai catecumeni: volete davvero continuare su questa strada? A chi accetta si domanda il nome nuovo che hanno scelto di prendere, quel nome cristiano che li accompagnerà nel loro cammino di credenti.
Il Padre, a nome della Chiesa, sceglie solennemente questi candidati al che tutti ringraziano e applaudono: wan opwoo Obanga. Questi vengono unti con l’olio dei catecumeni (in modo che tutta l’assemblea possa vedere) con abbondante olio sul petto (naturalmente con le ragazze cerco di fare un po’ d’attenzione anche se qui nessuno si fa problemi ). È questa l’unzione che promette la forza e l’aiuto di Dio per il cammino. La comunità prega per i suoi catecumeni e per il mondo intero e alla fine ogni catecumeno ripete il suo nome e mentre la comunità lo applaude torna al suo posto. Li attende ancora un altro passo prima del grande giorno del battesimo. Speriamo che tutti si mantengano fedeli.
È il momento dell’offertorio, uno dei momenti più gioiosi della celebrazione in cui danzando la gente si fa avanti con la propria offerta di denaro (spesso l’equivalente di 100 lire) o un uovo, una pannocchia di mais o una spiga di sorgo, una tazza di fagioli etc. Tutto viene poi portato in fondo chiesa assieme al pane e al vino e portato all’altare danzando. Tra i lango si tratta di una danza tradizionale con un ritmo assai serrato e un battimani velocissimo.
Mentre le ragazze danzando muovendo il petto e piroettando i giovani saltano e battono forte i piedi sul pavimento accompagnati da stridenti colpi di fischietto. Tutto questo mentre gli adungu e gli xilofoni suonano e mentre il ritmo del tamburo forte come il battito del cuore ti entra nel corpo e fa si che il cuore batta più veloce, il padre riceve i doni e li leva a cielo. Tra questi anche i bambini piccoli che vengono offerti al Padre della vita mentre per tre volte si ripete: gwoke!, proteggilo! L’Eucaristia si fa con questi doni che la comunità ha portato e si può davvero chiedere che la nostra vita sia trasformata come la nostra offerta.
Dopo la benedizione solenne ho concluso dicendo che la Messa era finita e che aool oko, mi ero stancato tanto (il lango ancora resta una sfida per me). Tutti hanno riso e hanno applaudito. Andiamo a casa nella gioia che il Signore è con noi! Naturalmente non poteva mancare l’invito a non bere per non rovinare questa bella festa. Un ultimo applauso e ancora un bellissimo (e lunghissimo) canto di Natale accompagnato dai trilli.