Italia

I funerali del tifoso ucciso: «Giustizia per Gabriele»

“Ci sarà una giustizia divina per Gabriele” ma “ci deve essere anche una giustizia umana”. Lo ha detto mercoledì 14 novembre don Paolo Tammi, parroco di San Pio X alla Balduina di Roma, nell’omelia dei funerali di Gabriele Sandri, il giovane tifoso laziale ucciso la domenica precedente in un’area di sosta sull’autostrada A1, vicino ad Arezzo. “Qualcuno dovrebbe dirci il perché di questa morte” ha detto il sacerdote rivolgendosi alle Istituzioni.

“Quello che stiamo vivendo – ha proseguito – è una situazione allucinante. Cosa avesse fatto per non vivere più, ancora non l’abbiamo capito. Il dolore forte, lancinante ci impedisce persino di farci una umana ragione di quello che è accaduto”.

“Non si poteva evitare tutto questo? Si può morire così?”, si è chiesto il parroco, “qualcuno ci dovrebbe dire perché. C’è una risposta a questo perché , chiara e certa, è quella che viene da Dio. Essa ci avvolge, forse ci consola, almeno un po’. Tanti di noi qui presenti ci credono, perché credono in Dio, ma la rabbia e il dolore certo fanno una grossa barriera. E se parliamo di perdono, dobbiamo parlare anche di giustizia. Una morte così assurda chiede giustizia”. Una giustizia – ha spiegato che “sia non una vendetta” ma che “aiuti, per quanto possibile, a placare gli animi di tanti di noi. Allora, chi prima chi poi, cercheremo di perdonare. Il perdono e la speranza ci sono chiesti dal Vangelo”.

“Il calcio, con questa tragedia, c’entra ben poco, esso – ha sottolineato don Tammi – certo è malato ad alcuni livelli ma ancora scatena, nelle persone sane, passioni sane. Per Gabriele il calcio era un pezzo di vita”. “C’entra – ha aggiunto – di più il malessere di tanti ragazzi, così poco ascoltato dagli adulti e così poco condiviso. Questo malessere si è trasformato anche in violenza cieca. A tutti voi amici di Gabriele, a tutti voi che siete qui oggi, ragazzi, dico: Gabriele era un ragazzo sano, buono, amava la vita, le coccole, l’amore. Non era un violento, nei suoi occhi non c’era la vendetta o il fallo di reazione. In nome di Dio, che oggi è qui e soffia su di noi il suo Spirito, vi dico: non fate violenze. Le violenze non portano alcuna giustizia. Le violenze peggiorano la vita, ma sopratutto opprimono l’animo con sensi di colpa che mai potremo rimuovere. Il male fatto con la violenza è irreparabile. Se vogliamo un mondo più giusto, per quella piccola parte che dipende da noi, usciamo da qui pregando, invocando da Dio la pace del cuore, che ci sarà data. Questo avrebbe voluto Gabriele, lo avrebbe voluto per voi, per il suo quartiere, per la sua città, per la Lazio. Questo – in nome di Dio e anche in nome di Gabriele – noi faremo”. E poi ricordando la canzone preferita dal giovane, “Meravigliosa creatura” di Gianna Nannini, don Tammi ha aggiunto: “Dio ti doni presto il paradiso. Per Lui, sei meravigliosa creatura, sola al mondo. Lui veglia su di te e ti sveglierà al momento giusto”.

Alla celebrazione erano presenti migliaia di giovani tifosi di diverse squadre calcistiche, giunti a Roma assieme a tante persone comuni. In chiesa anche il sindaco di Roma, Walter Veltroni, che ha proclamato due ore di lutto cittadino, l’intera squadra di calcio della Lazio e l’allenatore della Roma.

Al termine della celebrazione il feretro del giovane è stato portato fuori dalla chiesa a spalla dai suoi amici tra gli applausi e gli slogan da stadio dei tanti giovani tifosi arrivati da diverse città e che prima di raggiungere la parrocchia, si erano dati appuntamento a piazzale degli Eroi.

a cura di Raffaele Iaria

NUOVI TESTIMONI E VERSIONE DELL’AGENTE«GRIDAVO CON ARMA IN PUGNO PER INTIMORIRLI, E’ PARTITO IL COLPO»

AREZZO, 14 novembre – Li cercavano da quattro giorni. Stamani uno di loro era in procura ad Arezzo, nella stanza di Giuseppe Ledda, il magistrato che coordina le indagini sull’omicidio del tifoso laziale Gabriele Sandri. Il pm ha potuto così ascoltare la versione di uno dei giovani che domenica scorsa avrebbe avuto un ‘vivace’ scambio di battute -secondo alcune testimonianze -, o uno scontro fisico -secondo altre -, con i tifosi laziali che erano assieme a Gabriele Sandri, l’ultrà ucciso da un colpo di pistola in un’area di servizio dell’A1, ad Arezzo.

Ma l’elenco dei testimoni è più lungo: a quanto si è appreso, oltre ai compagni di Sandri, ad almeno uno dei ragazzi che erano sulla Mercedes, al rappresentante di commercio che era sulla piazzola sul lato opposto dell’autostrada dove si trova la pattuglia della stradale, ci sarebbero anche tre occupanti di una Clio che hanno assistito all’accaduto ed hanno reso testimonianza. Il “testimone” – così l’ha definito il procuratore di Arezzo, Ennio di Cicco – era nella Mercedes Classe A che avrebbe lasciato l’area di servizio subito prima che il colpo fatale raggiungesse Gabriele. Il teste quindi nulla avrebbe potuto aggiungere sulle mosse dell’agente che ha sparato, ma solo dare la sua versione sullo scontro precedentemente avvenuto con Sandri ed i suoi amici. Sull’indagine parla il procuratore capo. Solo lui e nemmeno troppo facilmente: “Sembra che questo poliziotto abbia sparato ad altezza d’uomo – ha spiegato parlando di Luigi Spaccarotella, l’agente indagato per l’omicidio -. Un atteggiamento del genere sarebbe stato imperdonabile anche se fosse stata fatta una rapina”. Poi ha spiegato che per ora l’ipotesi di reato è sempre di omicidio colposo. Riguardo il contributo del nuovo testimone: lui e i suoi amici “non hanno assistito agli spari”, ha spiegato il procuratore. Anche su questo gruppo di persone non mancano i punti interrogativi. Sono dei tifosi della Juventus, si dice, ma gli investigatori non lo confermano.

Pare che il testimone di stamani si sia presentato spontaneamente, rispondendo a un appello lanciato giorni fa dal questore di Arezzo, Vincenzo Giacobbe. E’ arrivato accompagnato da un adulto, a bordo di un’auto targata Roma. Se il nuovo racconto è stato scarso, ben più consistente è quello di uno dei due (ma potrebbero essere di più) testimoni che nei giorni scorsi hanno detto di aver visto l’agente sparare a braccia tese. Uno di loro “stava sulla macchina della vittima – ha spiegato il procuratore -. Ha visto l’agente che sparava ad altezza d’uomo. La stessa cosa hanno confermato gli altri” che stavano sull’altra carreggiata, da dove è partito il colpo dell’agente.

Quella che potrebbe essere stata la dinamica dell’omicidio è stata spiegata da Michele Monaco, il legale della famiglia della vittima. “Fin dall’inizio – ha raccontato – almeno un testimone aveva già detto agli investigatori che l’agente aveva sparato con il braccio teso. Il foro del proiettile nel finestrino dell’auto su cui viaggiava Gabriele presenta un’inclinazione compatibile con l’ipotesi che l’agente abbia sparato da una collinetta”, come quella dove da giorni si cerca un bossolo.

“Probabilmente – ha concluso Monaco – quando è stato raggiunto dal colpo, Gabriele aveva la testa reclinata, nella posizione di una persona che sta riposando”. Proprio per questo, il legale ha polemizzato con il questore di Arezzo Vincenzo Giacobbe. Se fin dall’inizio c’era una testimonianza “l’atteggiamento tenuto dal questore nella prima conferenza stampa ci lascia molto perplessi”. Anche l’agente Spaccatorella – a quanto trapelato oggi- avrebbe confermato di aver sparato con il braccio teso, ma, a suo dire, involontariamente. “Stavo correndo per arrivare a vedere l’auto sulla quale i cinque stavano salendo dopo la partenza della mercedes, per leggerne la targa e per vedere poi dove si sarebbe diretta” avrebbe detto agli inquirenti. Gridava, mentre correva, “fermi! polizia!” -ha raccontato- e avrebbe alzato il braccio che impugnava la pistola per mostrarla ed intimorirli. Quando sarebbe partito il colpo. Il reato per il quale è indagato resta ancora per oggi, ha confermato il procuratore, quello di omicidio colposo. Domani è un altro giorno. Ma intanto questa mattina in questura sono stati notati giungere anche alcuni funzionari del Viminale, probabilmente quelli incaricati dell’inchiesta amministrativa a carico dell’agente Spaccatorella, ma secondo voci anche con il compito di ricostruire come siano andate le cose dopo il “tragico errore” compiuto dall’uomo della polstrada. (ANSA).

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