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Medio Oriente, da Annapolis qualcosa di nuovo
Determinazione a mettere fine a decenni di conflitto e aprire una nuova era di pace; fronteggiare il terrorismo; avviare trattative per giungere ad un accordo entro il 2008. Sono alcuni dei punti della dichiarazione comune di intenti (cfr SIR 82/2007) siglata da israeliani e palestinesi nel corso della conferenza di Annapolis sotto l’egida dell’amministrazione Usa. Su Annapolis e sulle prospettive che ora si aprono il SIR ha posto alcune domande al patriarca latino di Gerusalemme, MICHEL SABBAH.
Patriarca, qual è il suo giudizio sulla conferenza di Annapolis?
“C’è qualcosa di nuovo. Dietro Annapolis c’è tutta l’esperienza dei fallimenti del passato che servirà a non ripetere gli stessi errori. Vedo un nuovo rilancio con una nuova volontà da parte americana. L’amministrazione Usa, con il presidente Bush, vuole mettere fine a questo conflitto. È una decisione nuova così come è nuova la scelta di fissare un tempo non troppo lungo, un anno, entro il quale ogni questione dovrà essere risolta per evitare un altro fallimento”.
Crede che israeliani e palestinesi sapranno cogliere questo nuovo dinamismo americano e internazionale per negoziare veramente la pace?
“La volontà di pace dei palestinesi e degli israeliani è da verificare. I palestinesi, a mio parere, sono pronti ma non possono fare altre concessioni. Ci sono questioni fondamentali come le frontiere, Gerusalemme Est capitale, l’unità territoriale della Palestina, che deve essere indivisa e non come oggi tagliata dal muro, dai check point e dai fili spinati. La società israeliana è divisa: una parte, specie i giovani, vogliono la fine del conflitto e vivere in pace a vere una vita normale. Anche nel governo c’è la volontà di mettere fine a questa guerra. Ma devono fare i conti con un’opposizione molto forte. Molto dipenderà dalla capacità di agire e di dialogare dell’attuale governo israeliano con l’opposizione per farle capire il valore della pace per Israele, che è meglio vivere in sicurezza e che bisogna credere, investire nella capacità dei due popoli di vivere insieme, perché possono vivere insieme. Una convinzione che la destra israeliana non ha poiché vede nei palestinesi terrorismo ed estremismo. Estremismo e terrorismo, come ha detto il presidente Bush, cresceranno finché non ci sarà pace. Al contrario finiranno quando con la pace le persone potranno vivere insieme. Oggi in Israele ci sono palestinesi che vivono con israeliani, sono amici, collaborano nella vita pubblica, nel campo del lavoro. Tutto questo potrà realizzarsi a pieno se tutti i governanti crederanno a questa possibilità”.
Da Annapolis emerge anche la novità di una massiccia presenza della comunità internazionale, tra cui molti Paesi arabi. Una garanzia per il futuro negoziato?
“La comunità internazionale e anche i Paesi arabi ci sono sempre stati in questo processo di pace. I Paesi arabi da anni, da un incontro a Beirut (2002), avevano dichiarato la disponibilità a normalizzare i rapporti con Israele, ma bisognava che il conflitto israelo-palestinese terminasse. La vera novità è la decisione americana: è urgente verificare se esiste anche da parte israeliana la stessa decisione e convinzione di arrivare alla pace. Ora è tutto nelle mani degli israeliani”.
Quanto potrà pesare l’attuale debolezza politica dei due leader, Olmert e Abu Mazen, sul dialogo di pace?
“I due leader sono deboli perché non c’è pace. Saranno forti se riusciranno a siglare la pace. Abu Mazen è debole perché non ha ottenuto niente da Israele. Quando porterà la pace al suo popolo diventerà forte. Olmert è debole perché, senza pace, c’è la reazione palestinese, con terrorismo ed estremismo di una parte dei palestinesi. È debole anche nei confronti dell’opposizione. Ma se si raggiungesse la pace ogni forma di terrorismo e di estremismo verrebbe meno e la sua posizione si rafforzerebbe. Se Olmert con il dialogo e con la convinzione riuscirà ad avere dalla sua parte la maggioranza degli israeliani la pace arriverà. Ma se resta esitante non ci sarà nessun progresso”.
Quello prossimo sarà un Natale diverso, più sereno?
“Speriamo di vivere un Natale sereno e senza guerra in questa Terra martoriata”.