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Cina, la nuova frontiera dell’evangelizzazione

di Riccardo Bigi

Da alcuni anni ormai i riflettori del mondo sono puntati sulla Cina. Il gigante dell’economia globale, il Paese che fra tre settimane sospiterà le Olimpiadi. L’ultimo grande baluardo del comunismo. Il regime che tiene sotto occupazione il Tibet, suscitando manifestazioni di protesta in tutto il mondo.

Anche la Chiesa, nella sua lungimiranza, guarda da tempo alla Cina con grande attenzione. Già una cinquantina di anni fa due cristiani a loro modo profetici come don Lorenzo Milani e Giorgio La Pira vedevano nel Paese di Mao Tse-Tung la nuova frontiera del cristianesimo: il priore di Barbiana immaginava, in un futuro non lontano, che l’Occidente scristianizzato avrebbe ricevuto un nuovo annuncio del Vangelo da parte di missionari cinesi. E il «sindaco santo», dopo aver dato per cosa fatta la «riconquista» della Russia al cristianesimo (mancavano trent’anni al crollo del muro di Berlino, ma lui guardava avanti) invitava le suore di clausura ad «assediare» con la preghiera la Repubblica Popolare Cinese le cui mura di ateismo e materialismo, come le mura di Gerico, prima o poi sarebbero crollate.

E oggi? Di quello che succede in Cina in realtà sappiamo poco. I media annunciano che il Paese si è aperto alla democrazia e alla modernità. In realtà, con il pretesto della sicurezza, aumentano i controlli, la burocrazia, i divieti. «I Giochi olimpici, pubblicizzati come una festa di amicizia e di incontro fra i popoli, nelle mani di Pechino sono divenuti i Giochi del sospetto e del silenzio» afferma padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore dell’agenzia Asia News. Eppure, l’impressione è che le «mura di Gerico» stiano iniziando davvero a scricchiolare e che per la fede cristiana si stia aprendo nel lontano Oriente una stagione nuova.

Padre Cervellera, qual è la situazione della Chiesa in Cina?

«In questo periodo, probabilmente per l’avvicinarsi delle Olimpiadi, non ci sono atti eclatanti: arresti, demolizioni di chiese o nomine di vescovi non in comunione con la Chiesa cattolica. Ma da diversi segnali traspare che la cosiddetta “Chiesa sotterranea” soffre tantissimo. Basta pensare a quello che è successo lo scorso 24 maggio, la data che il Papa aveva indicato come giornata mondiale di preghiera per la Cina e che per i cattolici cinesi è il giorno del pellegrinaggio al santuario mariano di Sheshan, vicino Shanghai. In molte Diocesi, il pellegrinaggio quest’anno è stato impedito con proibizioni e divieti: preti agli arresti domiciliari, altri costretti ad andare in gita a un tempio buddista; decine di fedeli minacciati. Due fedeli di Xuanhua, un sacerdote e un laico, risultano tuttora in carcere. Un tentativo evidente di cancellare un gesto voluto dal Papa».

Eppure un anno fa la lettera del Papa ai cattolici cinesi sembrava aver aperto nuove prospettive…

«La lettera del Papa è stata un segnale di grande apertura e ha dato un’immagine tutta nuova della Chiesa in Cina: è stato uno strumento molto utile per l’unità e la riconciliazione fra cattolici ufficiali e non ufficiali. Anche grazie a quella lettera la Chiesa sta lentamente superando il dramma della divisione fra cristiani “sotterranei” e “associazione patriottica”. Il messaggio ha chiarito che in Cina esiste una sola Chiesa, e ha spinto molti sacerdoti e vescovi “ufficiali” a vincere la paura, rendendo pubblico il loro legame col Papa. La lettera è soprattutto un appello a tutta la Chiesa cinese a non rimanere ripiegata e bloccata dalla persecuzione, ma a lanciarsi nell’evangelizzazione della società cinese, dell’Asia e del mondo intero, dotandosi di tutti gli strumenti necessari – conferenza episcopale, consigli pastorali, curie – quasi a dire che è finita l’epoca dell’emergenza e che è tempo per la Chiesa di Cina di essere parte integrante e attiva nella comunione universale. Nonostante questi importanti passi avanti, comunque, il traguardo di una effettiva libertà religiosa non è ancora raggiunto, anche se certi problemi sembrano momentaneamente “messi in frigorifero”».

Le difficoltà e le persecuzioni di ieri e di oggi intanto non hanno fermato la diffusione del Vangelo: va detto che il cristianesimo in Cina è in forte espansione…

«Tutte le religioni in questo momento in Cina sono in crescita ma la crescita più grande, circa il 13% di fedeli in più ogni anno, è quella del cristianesimo. In questa cifra bisogna tenere conto anche della grande diffusione di sette protestanti; ma per la Chiesa cattolica si parla comunque, secondo le nostre stime, di circa 150 mila battesimi di adulti ogni anno, battesimi che avvengono dopo un cammino di catechesi di almeno 6 mesi».

Chi sono le persone che si avvicinano alla fede cristiana?

«Le conversioni avvengono soprattutto tra i giovani, tra le persone più istruite, nel mondo universitario… Persone che si fanno domande sul senso della vita e per i quali i miti del buddismo e del taoismo – le religioni più diffuse nella tradizione cinese -  per quanto rispettabili, non tengono di fronte alle esigenze scientifiche e di ragionevolezza. Fra i neo-battezzati vi sono pure poveri e migranti, giovani che sono arrivati in città dalle campagne. Nel mondo economico cinese essi sono trattati come schiavi, mal pagati o perfino non pagati, bollati come illegali. Nella Chiesa invece trovano sostegno ed aiuto. Dopo decenni di materialismo spietato verso Dio e verso l’uomo, mi spiegava un sacerdote cinese, “la gente ha sete di Dio, ma di un Dio che aiuti a trasformare la società”».

Come sta cambiando, a seguito di questa crescita, il volto della Chiesa in Cina?

«Agli inizi degli anni ’80 la Chiesa cinese, appena uscita dall’uragano della Rivoluzione culturale e da una chiusura quasi ventennale dei seminari e dei conventi, era una Chiesa ancora divisa, povera di clero, con sacerdoti molto anziani, senza religiosi o religiose. Oggi la Chiesa della Cina è giovane e più unita: in molte diocesi l’età media dei sacerdoti è sui 34-35 anni; in molte aree fioriscono vocazioni religiose femminili a carattere diocesano, anche se rimane il divieto governativo a far nascere e radunare vocazioni religiose maschili. Anche gli impegni ecclesiali sono maturati. Da una semplice pastorale di sopravvivenza, i cattolici sono passati a un impegno massiccio nella carità verso orfani, anziani, malati di Aids. In molti casi, nella Cina che ha eliminato ogni sostegno sociale, essi offrono cure mediche gratuite ai poveri».

Quali problemi ancora rimangono da superare?

«I problemi di questa Chiesa – al di là di quelli esterni causati dalla persecuzione – sono dovuti soprattutto al gap generazionale, al divario fra i nuovi convertiti e le leve più anziane. Nel clero e fra le religiose mancano figure di mezz’età (50-60 anni, corrispondenti agli anni della Rivoluzione Culturale), che dovrebbero avere funzione di leadership, o di direttori spirituali. Senza modelli da seguire, il rischio è che le giovani vocazioni si esauriscano nell’attivismo e nelle pratiche di pietà».

Così il Vangelo arrivò in Cina

Il cristianesimo giunse in Cina pochi secoli dopo il buddismo: il primo documento che testimonia la presenza cristiana è la stele di Xian, dove si racconta della predicazione del monaco siriaco Alopen, nel 635. L’imperatore Tang Taizhong, con un decreto del 638 permise la diffusione della religione cristiana, giudicandola «eccellente» e «vivificante per l’umanità» ma lo stile di vita dei monaci (che non avevano schiavi, non accumulavano ricchezze e trattavano allo stesso modo la gente comune ed i nobili) suscitò riprovazione, tanto che la loro predicazione fu proibita nell’854.

La seconda ondata di evangelizzazione nell’impero cinese si ebbe al tempo di Marco Polo. Nel XIII secolo papa Innocenzo IV e il re di Francia Luigi IX inviarono più volte francescani e domenicani alla corte del Gran Khan. Tra questi va ricordato il francescano Giovanni da Montecorvino che giunse a Kambalik (vicino all’attuale Pechino) nel 1294, accolto benevolmente dai regnanti della dinastia Yuan: la sua opera di evangelizzazione portò ad erigere nel 1307 una arcidiocesi, e lui stesso fu nominato primo arcivescovo di Pechino.Nel 1368 terminò il potere della dinastia Yuan. La nuova Dinastia Ming scatenò la persecuzione sui cristiani e pose fine al secondo periodo di evangelizzazione.

Nel 1576 venne creata una nuova diocesi nella colonia portoghese di Macao. Nel 1583 con l’arrivo in Cina di Matteo Ricci ebbe inizio la missione dei gesuiti, fondata sull’adattamento del cristianesimo ai valori cinesi: Ricci accoglieva molti principi del confucianesimo. Questo tipo di predicazione però fu contrastato dalla neonata congregazione «de propaganda Fidei»: nel 1707 furono vietate le celebrazioni in «rito cinese».

Una nuova ondata missionaria avvenne alla metà del XIX secolo: i trattati firmati dopo le due «Guerre dell’oppio», perse dal regime cinese contro le potenze occidentali, consentivano la ripresa delle attività di evangelizzazione. I missionari, sia cattolici che protestanti, fondarono scuole, università, orfanotrofi, ospedali; introdussero nuove colture agricole e boschive. All’inizio del Novecento si verificò un episodio che segnò una grave recrudescenza nel rapporto tra cinesi e cristiani: il movimento dei «Boxers», che aveva preso di mira la presenza degli stranieri, trucidò ben 30 mila cattolici (tra locali e stranieri), anche per costringerli a rinnegare la fede. Alcune centinaia di loro furono poi canonizzati da Giovanni Paolo II nel 2000. Nel 1911 il plurimillenario impero celeste crollò ed i cristiani dovettero fronteggiare una situazione di crescente instabilità. La chiesa venne più volte riorganizzata con alacrità, arrivando ad avere nel 1946 117 diocesi. Anche l’opera di evangelizzazione non si fermò. Nel 1926 vennero ordinati i primi sei vescovi cinesi. Ai missonari e alle suore si deve anche la prima rivolta contro i «piedi fasciati» delle donne.

Un nuovo capitolo di persecuzioni si apre con la presa del potere dei comunisti guidati da Mao Tse-Tung: i contrasti con la Chiesa portano all’espulsione del nunzio apostolico nel 1951. Molti sacerdoti e vescovi vengono arrestati. Nel 1957 nasce l’«Associazione patriottica cattolica cinese», direttamente controllata dal regime; da allora la Chiesa cattolica entra nella clandestinità e comincia ad essere chiamata «sotterranea». La «Lettera ai cattolici cinesi» di Benedetto XVI del giugno 2007 ha aperto nuovi spiragli verso la ricomposizione di questa frattura: molti vescovi «ufficiali», nominati dal regime, hanno dichiarato pubblicamente il loro legame con il Papa.