Italia
Famiglia, la «Carta dei diritti» compie 25 anni
di Andrea Drigani
Giovanni Paolo II nell’Esortazione Apostolica Familiaris consortio del 22 novembre 1981, al n. 46, accoglieva la richiesta del Sinodo dei Vescovi, celebrato nel 1980, di impegnare la Santa Sede nella stesura della «Carta dei diritti della famiglia».
Questo atto della Santa Sede, con l’approvazione di Giovanni Paolo II, fu pubblicato in data 22 ottobre 1983. Venticinque anni or sono.
Si deve, prima di tutto, rammentare il senso ed il significato di questa «Carta». Vediamo che cosa non è. Non è un’esposizione di teologia dogmatica o morale sul matrimonio e sulla famiglia. Non è un codice comportamentale per persone ed istituzioni interessate al problema. Non è neanche una semplice dichiarazione di principi teoretici concernenti la famiglia.
Essa è la presentazione, la più completa e ordinata possibile, dei fondamentali diritti inerenti a quella società naturale e universale che è la famiglia. Questi diritti si trovano nella coscienza di ogni persona e nei valori comuni a tutto il genere umano. Tali diritti derivano, tuttavia, da quella legge che è inscritta dal Creatore nel cuore di ogni uomo.
Due sono i tipi di enunciazioni contenute nella «Carta»: in alcuni casi siamo in presenza di vere e proprie norme giuridicamente vincolanti; in altri casi si presentano degli orientamenti e degli indirizzi essenziali per una legislazione da attuare per lo sviluppo della politica familiare. Quasi tutti questi diritti si possono reperire sia nei documenti della Chiesa che in quelli della comunità internazionale. La «Carta» li ha elaborati ulteriormente, precisandoli con maggiore chiarezza e raccogliendoli in modo organico e sistematico.
Quattro sono i destinatari di questa «Carta». I primi sono i governi e i parlamenti ; la «Carta» offre a tutti i responsabili del bene comune, un punto di riferimento per una legislazione ed un’azione sociale a favore di un’autentica politica della famiglia. La Santa Sede propone, poi, questo suo documento all’attenzione delle organizzazioni internazionali che in ragione della loro competenza e cura per la difesa e la promozione dei diritti umani, non possono ignorare o permettere violazioni dei diritti della famiglia. La «Carta» è, inoltre, diretta alle famiglie stesse, con l’auspicio di ispirare le famiglie ad unirsi nella tutela dei loro diritti ed incoraggiandole nel compimento dei loro doveri in modo che il ruolo della famiglia possa diventare sempre più chiaramente apprezzato e riconosciuto nella società.
Infine la «Carta» si rivolge a tutti gli uomini e donne, cristiani o no, affinché si impegnino a fare tutto il possibile per assicurare che i diritti della famiglia siano protetti per il bene dell’intera umanità.
È da rilevare che vi è stata una recezione della «Carta» solo parziale ed insufficiente, da parte degli ordinamenti giuridici e delle formazioni politiche. È cresciuta la sensibilizzazione, anche se non sappiamo con quanta efficace tutela e riscontri pratici, su un giusto e corretto rapporto tra famiglia e lavoro, come pure vi è stata una diffusa accoglienza, almeno da un punto di vista teorico, del diritto alla casa.
Ma permangono tuttavia ambiti incompiuti: quale ad esempio quello della libertà religiosa, la cui negazione si realizza anche nell’impedire la celebrazione delle nozze e nel conculcare, dai modi più subdoli ed apparentemente morbidi a quelli più clamorosi e violenti, il conseguente diritto dei genitori all’educazione religiosa dei figli. Come pure sono da rilevare le gravi limitazioni alla procreazione imposte dalle autorità statali (il caso della Repubblica popolare cinese), con il connesso problema della cosiddetta regolamentazione dell’aborto, in ordine al controllo delle nascite.
Quando, nel 1983, questa «Carta» è stata pubblicata, nessuno allora parlò di «ingerenza della Santa Sede», infatti per la sua dimensione internazionale questo atto è rivolto a tutti gli Stati ed a tutti i popoli della Terra.
Si era, venticinque anni fa, in un contesto socio-politico alquanto diverso dall’attuale, sussistevano l’Unione Sovietica ed il Patto di Varsavia; la crisi mediorientale non si era ancora ulteriormente incancrenita; la «globalizzazione», con tutte le sue conseguenze devastanti anche sotto l’aspetto culturale, era appena agli inizi.
Ma questi cambiamenti definiti «epocali» non hanno ridimensionato o alterato quanto dichiarato dalla «Carta», che rimane pienamente attuale. Si pensi in particolare, agli Stati Uniti e all’Europa Occidentale, che, ai giorni nostri, sono scossi da un forte vento (forse gonfiato ad arte) di un liberismo, non solo economico ma pure sessuale, che tenta di disgregare, tra l’altro, anche la famiglia.
In tempi recenti, alcune nazioni, hanno introdotto delle leggi che sono in contrasto con quanto contenuto nella «Carta dei diritti della famiglia». La Chiesa è dovuta intervenire, non per avversare qualche ministro o qualche partito, ma per richiamare i principi ed i valori presenti nella «Carta».
Non si è trattato pertanto di mosse estemporanee e contingenti contro qualcuno, per creare difficoltà ad un governo, e neppure di presentare un messaggio nuovo e mai sentito, ma di ricordare quanto la Santa Sede, da venticinque anni, ha pubblicamente esposto e dichiarato in questa «Carta».
La «Carta dei diritti della famiglia» nel mantenere, dopo un quarto di secolo, la sua validità non è stata però, come abbiamo visto, sostanzialmente recepita, di qui la necessità di un opera, la più vasta possibile, che coinvolga gli organismi internazionali, gli Stati, le comunità locali e le organizzazioni sociali, per far si che le asserzioni della «Carta» siano attuate ed applicate. In questo compito è evidente che tutti i membri e le istituzioni delle Chiesa devono dare testimonianza delle loro convinzioni circa l’insostituibile missione della famiglia e provvedano a che le famiglie e i genitori ricevano il dovuto sostegno ed incoraggiamento per adempiere ciò che Dio ha loro affidato.
Il testo della Carta