Italia
Il grido del Papa: «Africa alzati!»
di Fabio Zavattaro
Tante le tenebre che oscurano l’Africa. Nel suo ultimo giorno in Angola Benedetto XVI ha lanciato un duplice appello: al perdono reciproco e alla pace in una terra ancora segnata da una guerra civile durata 27 anni, dal 1975 al 2002, e in Africa; e un appello al resto mondo perché guardi a questo continente delle guerre dimenticate, delle ingiustizie sociali e bisognoso non solo di pace, ma anche di giustizia e di sviluppo. È a Cimangola una spianata di terra rossa, al limite delle case e della baraccopoli della capitale, e delimitata dai muri del cementificio di Luanda che il Papa incontra i fedeli in questa quarta domenica di Quaresima, nel cuore la preghiera per i due giovani rimasti vittime allo stadio di Luanda e la quarantina di feriti, per la ressa per entrare allo stadio in occasione dell’incontro con il mondo giovanile. La messa riporta alla mente l’altra grande celebrazione a Yaoundé, capitale del Cameroun, prima tappa del primo viaggio africano di papa Benedetto. Anche lì parole di coraggio e speranza. Consegna ai vescovi le linee guida del secondo Sinodo per l’Africa e mette in primo piano le questioni calde del continente. L’Africa sub-sahariana affronta una crisi alimentare ed energetica devastante e non ha, praticamente, un ruolo negli incontri internazionali dove si decide il suo destino.
Le multinazionali si legge nell’Instrumentum Laboris continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia di ettari espropriando le popolazioni dalle loro terre, con la complicità dei dirigenti africani. Senza terra, senza acqua, senza energia, senza crediti i piccoli coltivatori sono sempre più poveri e l’introduzione degli organismi geneticamente modificati non danno «la sicurezza alimentare» ma li rende ancor più dipendenti dalle società produttrici di Ogm. Infine i Paesi del nord ricco del mondo fanno «lauti guadagni» attraverso la vendita delle armi.
Vengo da un Paese, dice il Papa in Angola, dove la pace e la fraternità sono care ai cuori di tutti i suoi abitanti, «in particolare a quanti come me hanno conosciuto la guerra e la divisione tra fratelli appartenenti alla stessa Nazione a causa di ideologie devastanti e disumane, le quali, sotto la falsa apparenza di sogni e illusioni, facevano pesare sopra gli uomini il giogo dell’oppressione. Potete dunque capire quanto io sia sensibile al dialogo fra gli uomini come mezzo per superare ogni forma di conflitto e di tensione».
Parla ad una nazione sconvolta dalla guerra civile terminata solo sette anni fa, e che ora faticosamente sta cercando di far «mettere radici» alla pace. Parla di «potere distruttivo della guerra civile», che dice «può distruggere tutto ciò che ha valore: famiglie, intere comunità, il frutto della fatica degli uomini, le speranze che guidano e sostengono le loro vite e il loro lavoro». Parla del «precipitare dell’odio e della vendetta». Quando la parola del Signore è trascurata e la legge di Dio «ridicolizzata, disprezzata e schernita, il risultato può essere solo distruzione e ingiustizia».
Dio scrive dritto sulle righe storte della nostra condizione umana; manda suo figlio, e ci lascia un «messaggio di perdono, di speranza e di una nuova vita in Cristo». Ma gli uomini, a volte, preferiscono le tenebre alla luce e l’Africa, l’Angola, sono state ottenebrate da «nuvole del male»: non solo la guerra, ma anche i frutti feroci del tribalismo, le rivalità etniche, la cupidigia «che corrompe il cuore dell’uomo, riduce in schiavitù i poveri e priva le generazioni future delle risorse di cui hanno bisogno per creare una società più solidale e giusta, una società veramente ed autenticamente africana nel suo genio e nei suoi valori». E poi c’è «quell’insidioso spirito di egoismo che chiude gli individui in se stessi, divide le famiglie e, soppiantando i grandi ideali di generosità e di abnegazione»; parla dell’evasione «in false utopie attraverso l’uso della droga», dell’irresponsabilità sessuale, dell’«eliminazione di vite umane innocenti mediante l’aborto?».
Sottolinea, ancora, che il continente è sì colmo di speranza ma è «ancora assetato di giustizia, di pace, di un sano integrale sviluppo». E pace invoca il Papa anche per la vicina regione dei Grandi Laghi, chiedendo al Signore di portare «guarigione a chi soffre, conforto a coloro che piangono e forza a tutti coloro che portano avanti il difficile processo del dialogo, del negoziato e della cessazione della violenza».
Così dice all’Africa di alzarsi, di mettersi in cammino per un domani migliore senza più guerre. Un continente liberato dal flagello dell’avidità, della violenza e del disordine, e che sceglie la strada del rispetto e della promozione dei diritti umani, della trasparenza nel governare, della fine della corruzione.
Certo la strada è lunga e complessa: rispetto alla «repentina furia distruttrice del male, il lavoro di ricostruzione è penosamente lento e duro. Richiede tempo, fatica e perseveranza».
È un cammino che inizia nei cuori, nei piccoli sacrifici, nei piccoli gesti «mediante i quali dimostriamo di amare i nostri vicini tutti i nostri vicini senza riguardo alla razza, all’etnia o alla lingua nella disponibilità a collaborare con loro per costruire insieme su basi durevoli». Fratelli e sorelle «da amare, da rispettare e da aiutare lungo la via della libertà, della vita e della speranza».
È poi ai giovani che si rivolge il Papa chiamandoli «speranza del futuro del Paese» e «promessa di un domani migliore». Dice loro di non avere paura di prendere decisioni definitive, di osare: le decisioni definitive «sono le sole che non distruggono la libertà». Dio ci ha creati per vivere una vita giusta e ci ha dato i suoi comandamenti «non come un fardello, ma come una fonte di libertà: della libertà di diventare uomini e donne pieni di saggezza, maestri di giustizia e di pace».
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