Italia
KARIBUNI, dalla parte dei bambini del Kenya
di Claudio Turrini
«Venite in Africa. Il Kenya è un paese che si visita volentieri. La prima volta venite a fare i turisti. Abbiamo dei referenti locali, che parlano bene l’italiano, e vi porteranno a vedere le nostre cose. Se vi piacciono poi potrete aderire». Maria Giulia Cardini (nella foto mentre visita una bambina kenyota in braccia alla mamma), responsabile toscana della onlus «Karibuni», ha già nove «spedizioni» alle spalle. È convinta che «le persone dopo che hanno visto si rendono conto di dove finiscono i loro soldi». E poi, «è un anche un modo per conoscere l’Africa, quella vera». 57 anni, medico di base a Pontassieve, da sempre impegnata nel mondo cattolico, Maria Giulia ci parla con calore della sua «Africa». Ma anche con quell’ironia, tutta toscana. Lo scorso fine settimana amici e volontari si sono ritrovati in provincia di Firenze per fare il punto sui progetti in corso. «Eravamo in 58 da tutta Italia», ci spiega. «La maggior parte viene dal Nord Italia, perché il gruppo è nato a Como». «Karibuni», che in swaili vuol dire «benvenuto», è nata nel 2004 dopo il viaggio di un gruppo di amici in Kenya. Da qui l’idea di una collaborazione con la Diocesi di Malindi, retta da un vescovo maltese, il cappuccino Francis Baldacchino. Per di più «alcuni parroci di quella diocesi sono stati in Italia. Uno, ad esempio è stato per tre anni ad Incisa Valdarno. Un altro a Piacenza. Quindi conoscono l’Italia, sanno come lavoriamo».
All’inizio sono state costruite quattro scuole cattoliche, una per parrocchia in altrettanti villaggi in un raggio di una settantina di km da Malindi. «A loro ci spiega mancavano i mezzi, non tanto per costruirle, quanto per mantenerle. Noi ne abbiamo finanziato la costruzione con manodopera locale. E noi paghiamo le insegnanti». Fulcro di questo lavoro sono le «adozioni a distanza» che coprono direttamente 320 bambini ma che riescono a dare assistenza a 560. «In più racconta Maria Giulia c’è una scuola particolare: un centro di riabilitazione per 50 bambini con problematiche legate a problemi neurologici o di altro tipo, come gli esiti di polio, e che non possono camminare. Frequentano la scuola e in più fanno la palestra e da due anni ciascuno di loro ha la propria carrozzina. Prima se li portavano sulle spalle i genitori. Perché tutti sono abituati a fare come minimo 6-7 km per venire alle scuole. Abbiamo addestrato tre insegnanti fisioterapisti locali. Ogni anno ci va un gruppetto di fisioterapisti da Como e li aiutano: fanno aggiornamento, guardano i casi più gravi…». Certo, aggiunge, «bisogna entrare nella loro mentalità, perché pensare di andar giù ad imporre il nostro modo di pensare sarebbe fare un buco nell’acqua».
Ma il «salto di qualità» è arrivato quando i parroci hanno chiesto un impegno anche nel settore sanitario. Per il momento sono coinvolti dodici medici. In gran parte toscani, come la ginecologa di Montevarchi, Lucia Bindi, il cardiologo di Pontassieve, Loreno Querceto. Poi ci sono due cardiologi da Sorrento, due dermatologi di Milano, un oculista di Roma, tre caposala… «Ogni scuola ci racconta voleva avere una specie di dispensario, per i bambini e le loro mamme. E noi li abbiamo costruiti e li riforniamo di medicinali. Lì si possono fare gli esami per la malaria o l’aids, che sono i primi casi di morte, mentre la terza sono le malattie gastroenteriche». Poi, in una parrocchia dell’interno, a Marafa, continua Maria Giulia, «abbiamo iniziato a costruire un ospedale. Il concetto di ospedale in Africa è un po’ diverso dal nostro: delle stanze di degenza, un laboratorio con due microscopi e qualche reagente e una piccola sala operatoria. La prima cosa importante era portarci l’elettricità: e abbiamo montato dei pannelli solari. Poi l’acqua. Grazie alla generosità di due amici Lucia e Francesco Pinzauti di Rignano abbiamo costruito con 30 mila euro un ospedale pediatrico bellissimo, che ha anche il pavimento… perché nei loro in genere non c’è. Ora stiamo pensando a dei medici che a spese nostre vadano là a fare i pediatri per addestrare anche il personale locale. Perché non vogliamo fare assistenzialismo, ma aiutarli a crescere». Ed è di questo che la onlus ha bisogno, oltre al sostegno economico: ostetriche o medici, magari in pensione, disposti a passare due o tre mesi in Kenya, per curare e addestrare. L’associazione metterebbe a disposizione vitto e alloggio.
È così che possono nascere piccoli «miracoli». «In una delle nostre scuole ci racconta Maria Giulia trovammo una bambina intelligentissima che tutti pensavano non avrebbe mai visto. L’abbiamo portato dall’oculista a Mombasa. Era una cateratta congenita facilmente operabile. Oggi la bambina è alle superiori ed è la prima della sua classe. Laggiù lo considerano quasi un miracolo. Perché la sanità ci sarebbe in Kenya, anche di buon livello, ma a costi inaccessibili».
Tra i progetti in corso c’è quello di un ospedale a Gede. È stata la responsabile regionale della sanità, la dottoressa Anisa Omar che, avendo visto come lavorano, ha chiesto a «Karibuni» di occuparsi della struttura, che dovrebbe diventare la seconda della provincia di Malindi, mettendo a disposizione lo spazio di un dispensario pubblico. «Però noi precisa subito Maria Giulia abbiamo chiesto delle garanzie, che ad esempio vi sia un tecnico di radiologia, almeno due infermieri stabili. Come progetto murario è partito la settimana scorsa. Abbiamo già reperito i fondi perché in Italia c’è una generosità enorme».