Italia
Tra Udc e Pd proposte di dialogo per un centro che guardi a sinistra
di Mauro Banchini
«Pd e Udc dovranno innanzitutto chiarire la propria identità e fare chiarezza al loro interno, per affrontare in un secondo momento il discorso sulle alleanze, cioè sulla eventuale coalizione a cui dar vita». Parola di Bartolomeo Sorge, padre gesuita tornato a Pistoia, ospite al convegno («La politica si interroga sul mondo cattolico») organizzato lunedì scorso, dal «Centro Donati» di Giancarlo Niccolai.
Più che i politici sono stati i pensatori a interrogarsi in una città dove non sono mancate svolte creative nel rapporto cattolici/politica: qui, nel 1907, partì la prima Settimana sociale e qui, 60 anni dopo, nacque la «repubblica conciliare» (la prima Giunta a tre: Pci, Psi, Dc).
Due i politici che hanno preso la parola, in un finale moderato da Chiara Geloni: Vannino Chiti che aveva già affidato alle agenzie il suo disco verde sul possibile flirt Pd-Udc («occorre costruire alleanze per un nuovo centrosinistra»). E Francesco D’Onofrio che se l’è cavata con un prudente «siamo in ascolto» aggiungendo un significativo «l’Udc ha chiuso la stagione del partito moderato».
Apprezzato l’intervento del vescovo Mansueto Bianchi secondo cui «nella vita della chiesa c’è bisogno di un incremento di laicità» e la politica è un terreno stimolante per il confronto dei laici cattolici con tutti alla ricerca del «bene comune». Notata l’importanza di un «esplicito riconoscimento della dimensione pubblica della religione» (alla fine Chiti ha convenuto sul fatto che «abbiamo bisogno di un ruolo da protagonista della Chiesa»), Bianchi si è soffermato sulla «proposta culturale» Cei («Capisco che tale scelta non sia priva di problemi, di limiti, di contestazioni interne ed esterne, ma è scelta legittima anche per il concreto apporto dato dal mondo cattolico al cammino del Paese»).
È toccato al prof. Michele Ciliberto il ruolo di «contraltare» laico («La Chiesa può dare oggi molto all’Italia se l’elemento pastorale, che pur in forme contraddittorie è venuto fuori in questa crisi, riesce ad affermarsi in modo più netto rinunciando ad antiche nostalgie e al progetto di ricostituire antiche strutture identitarie»).
Ma tutti attendevano Sorge: mutata la questione sociale («l’individualismo ha corroso i pilastri su cui poggiava la democrazia rappresentativa») e mutata la questione cattolica («Oggi i cattolici si trovano a dover affrontare un interrogativo nuovo: quale forma deve assumere la loro presenza politica, se da una parte non è più proponibile un partito di cattolici e, dall’altra, non è sufficiente una presenza puramente profetica, culturale, pre-politica»), Sorge ha dato quattro punti.
Gli italiani hanno detto «no» al bipartitismo («Dopo 50 anni di dure lotte ideologiche non è possibile la necessaria omogeneità culturale tra gli eredi di tradizioni diverse») ma hanno assimilato la logica bipolare («Pd e Pdl non possono governare da soli») e se le ultime politiche hanno dimostrato quanto sia anacronistico il tentativo di ricostruire un centro moderato («Casini ci ha provato senza riuscirci»), è il fallimento di questo tentativo che mostra come la crisi di un partito di ispirazione cristiana sia ormai «irreversibile».
Qui Sorge ha lanciato la sua proposta, dando per scontato l’appannamento di Berlusconi (peccato non fossero previsti esponenti del Pdl): un «quadro politico così imbarbarito e impantanato offre ai cattolici la possibilità di una iniziativa politica nuova… la proposta di un’area popolare democratica, un Centro riformista, che riattualizzi l’intuizione sturziana fondandola sulla coscienza nuova che oggi abbiamo maturato sia della laicità sia del primato della società civile».
Ciò significa due cose: da un lato «incoraggiare e sostenere l’impegno di quei cattolici che scelgono di operare da singoli all’interno dei diversi soggetti politici, a destra come a sinistra»; dall’altro riconoscere che «è altrettanto legittimo e auspicabile che altri cattolici scelgano di impegnarsi in un gruppo e preferiscano unirsi fra loro evitando il rischio di essere zittiti o di diventare insignificanti».
Per Sorge «non si tratta di rifare la Dc» ma di «ripensare l’idea degasperiana di un centro riformatore che guarda a sinistra: un nuovo soggetto politico non in competizione né con Udc né con Pd ma ad essi complementare». E in prospettiva? Sia l’incontro con l’Udc («una volta superate le sue attuali contraddizioni») sia una possibile coalizione di centro-sinistra con il Pd («distinto chiaramente dalla sinistra radicale»). In questo modo ha concluso padre Sorge con ironia tutto mi potrà essere detto tranne che ho parlato… da gesuita.