Italia

Francesco Cossiga, l’uomo delle istituzioni

Francesco Cossiga non ce l’ha fatta: il presidente emerito della Repubblica si è spento stamani (17 agosto) al Policlinico Gemelli di Roma, all’età di 82 anni compiuti il 26 luglio scorso. Cossiga era stato ricoverato lunedì 9 agosto al Gemelli per gravi problemi respiratori e circolatori, che ne avevano reso necessaria la permanenza al reparto di terapia intensiva. Dopo aver mostrato un sia pur lento miglioramento delle condizioni, Cossiga è bruscamente peggiorato la notte scorsa, e il bollettino medico diramato poco dopo le 12 laconicamente ne definiva il quadro clinico “di estrema gravità“.Con la morte di Francesco Cossiga il nostro Paese, le nostre istituzioni perdono colui che, pur fra polemiche e provocazioni è stato uno dei punti di riferimento della storia del dopoguerra. Una presenza costante nella vita politica del Paese che gli ha permesso di ricoprire in pratica tutti i ruoli politico-istituzionali del nostri sistema, da ministro a presidente del Consiglio, da presidente del Senato a Presidente della Repubblica. Longevità politica ma anche precocità hanno segnato il suo percorso, tanto da essere stato (considerando quanti avevano ricoperto tali incarichi fino a quale momento) il più giovane sottosegretario alla Difesa, il più giovane ministro degli Interni, il più giovane presidente del Consiglio, il più giovane presidente del Senato ed infine, a 57 anni, il più giovane Presidente della Repubblica. La sua lunghissima carriera – che lo ha visto attraversare il ‘900 politico italiano, passando dal boom economico alle Brigate Rosse con l’uccisione di Aldo Moro, dalla la scomparsa dei partiti con Tangentopoli alle cosiddette ‘picconaté che hanno segnato gli ultimi due anni della sua permanenza al Quirinale – è stata caratterizzata da una dose di ironia e di provocazione non comuni, cose che lo hanno portato a volte anche a momenti di scontro con le istituzioni stesse. Uno statista che non ha mai mancato di far sentire la sua voce nei momenti di crisi della nostra società, rivolgendosi ora all’uno ora all’altro protagonista della vita politica. Iscrittosi alla Democrazia cristiana all’età di 17 anni, una volta sfaldatosi il partito sotto le inchieste di Mani Pulite, in un momento di difficile svolta nell’esperienza politica del Paese ed in presenza di una crisi internazionale nei Balcani, contribuisce a dar vita ad una nuova formazione politica, l’UDR (Unione Democratica per la Repubblica), consentendo così di dar vita al governo D’Alema dopo il ritiro di Rifondazione comunista dalla maggioranza di governo, con l’intenzione di costituire un’alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane. Un’operazione che si sviluppa con alterne fortune sino a quando il progetto non viene abbandonato e lasciato nelle mani di Clemente Mastella. Cossiga nacque a Sassari il 26 luglio 1928. Si iscrisse alla sezione sassarese della Democrazia Cristiana a 17 anni, conseguì la maturità in anticipo e si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza, per laurearsi, a soli vent’anni, nel 1948, iniziando una carriera universitaria che lo avrebbe portato in seguito alla cattedra di diritto costituzionale dell’Università di Sassari. In quegli anni fece parte della FUCI, la federazione degli universitari cattolici, con ruoli di primo piano nella FUCI di Sassari e a livello nazionale. Alla fine degli anni cinquanta, ancora trentenne, iniziò la sua folgorante carriera politica a capo dei cosiddetti ‘giovani turchì sassaresi. Il soprannome di ‘Giovani turchi’ venne coniato dalla giornalista Egle Monti per descrivere l’impresa dei giovani politici sardi che il 19 marzo 1956 vinsero inaspettatamente le elezioni per il direttivo provinciale sassarese della Democrazia Cristiana, sin lì dominata dalla figura di Antonio Segni, a sua volta poi eletto presidente della Repubblica. I principali esponenti di questo rinnovamento, capeggiato da Francesco Cossiga, furono, tra gli altri, Antonio Giagu De Martini, Pietro Soddu, Paolo Dettori e Giuseppe Pisanu .Venne eletto deputato per la prima volta nel 1958 e divenne poi il più giovane sottosegretario alla difesa nel terzo governo Moro (23 febbraio 1966), il più giovane ministro degli Interni (il 12 febbraio 1976, a 48 anni), il più giovane presidente del Senato (12 luglio 1983, a 55 anni) e, infine, il più giovane Capo dello Stato varcando la porta del Quirinale, a 57 anni non ancora compiuti, il 24 giugno 1985, con il sostegno di una vasta maggioranza parlamentare ottenuta alla prima votazione. Per quanto riguarda l’attività di governo, significativa è la presenza di Cossiga al Viminale. L’11 marzo 1977, nel corso di duri scontri tra studenti e forze dell’ordine nella zona universitaria di Bologna venne ucciso il militante di Lotta continua Pierfrancesco Lorusso; alle successive proteste degli studenti, il ministro Cossiga rispose mandando veicoli trasporto truppa blindati (M113 trasporto truppe) nella zona universitaria. A seguito di ciò – ed a seguito della morte per colpi d’arma da fuoco della militante di sinistra romana Giorgiana Masi sul Ponte Garibaldi – il suo nome venne scritto dagli studenti, per protesta, storpiandolo: con una kappa iniziale ed usando caratteri runici per la doppia esse. Il marchio delle SS naziste. Nel gennaio 1978 riformò i servizi segreti dando loro la configurazione che avrebbero mantenuto fino alla successiva riforma del 2007 , e creò i reparti speciali della Polizia NOCS e dei Carabinieri GIS. Nel ’78 ci fu il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, allora presidente della Dc. Quando nel mese di marzo fu rapito lo statista democristiano, Cossiga creò rapidamente due “comitati di crisi”, uno ufficiale e uno ristretto, per la soluzione della crisi. Molti fra i componenti di entrambi i comitati sarebbero in seguito risultati iscritti alla P2; ne faceva parte lo stesso Licio Gelli sotto il falso nome di ingegner Luciani. Tra i membri anche lo psichiatra e criminologo Franco Ferracuti. Cossiga richiese ed ottenne l’intervento di uno specialista americano, il professor Steve Pieczenik, il quale partecipò ad una parte dei lavori. Non fu mai aperta alcuna trattativa con i sequestratori per il rilascio di Moro, il quale dalla sua prigionia scrisse a Cossiga dicendogli che “esiste un problema, postosi in molti e civili paesi, di pagare un prezzo per la vita e la libertà di alcune persone estranee, prelevate come mezzo di scambio. Nella grande maggioranza dei casi la risposta è stata positiva ed è stata approvata dall’opinione pubblica”. Cossiga diede le dimissioni da ministro dell’Interno in seguito al ritrovamento del cadavere del presidente della DC in via Caetani. Al giornalista Paolo Guzzanti disse: “Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo. Perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro”. Dopo le dimissioni da ministro arrivò, il 4 agosto del 1979, la nomina alla presidenza del Consiglio dei ministri. Rimase in carica fino all’ottobre del 1980. Cossiga come presidente del Consiglio fu proposto dal PCI per la messa in stato di accusa da parte del Parlamento, in votazione in seduta comune, con una procedura conclusasi con l’archiviazione nel 1980. L’accusa era di favoreggiamento personale e rivelazione di segreto d’ufficio. Cossiga fu sospettato di aver rivelato a un compagno di partito, il senatore Carlo Donat Cattin, che suo figlio Marco era indagato e prossimo all’arresto, essendo coinvolto in episodi di terrorismo, suggerendone l’espatrio. Il Parlamento in seduta comune ritenne però manifestamente infondata l’accusa, che era stata fatta procedere da parte della magistratura di Torino in seguito alle dichiarazioni del terrorista pentito Roberto Sandalo. Nel denunciare il favoreggiamento personale il PCI guidato da Enrico Berlinguer fu assai deciso nel ritenere che Cossiga fosse la fonte della fuga di notizie sulle indagini sui terroristi. Dopo un periodo di allontanamento dalla vita pubblica fu eletto Presidente del Senato della Repubblica e nel 1985 Cossiga divenne l’ottavo presidente della Repubblica Italiana, succedendo a Sandro Pertini. Per la prima volta nella storia repubblicana (anche questo un suo record, sia pure indiretto) l’elezione avvenne al primo scrutinio, con una larga maggioranza (752 su 977 votanti): Cossiga ricevette il consenso oltre che della DC anche di PSI, PCI, PRI, PLI, PSDI e Sinistra indipendente. La presidenza Cossiga fu sostanzialmente distinta in due fasi quasi eterogenee. Assai rigoroso nell’osservanza delle forme dettate dalla Costituzione (essendo peraltro docente di diritto costituzionale) fu il classico presidente notaio nei primi cinque anni di mandato. Unico indizio della sua futura posizione di denuncia delle reticenze del sistema politico fu la sua insistente richiesta di chiarire il ruolo del Capo dello Stato nel caso di conferimento dei poteri di guerra al Governo: ne derivò la nomina della Commissione Paladin. La caduta del muro di Berlino nel 1989 segnò l’inizio della seconda fase. Secondo Cossiga la fine della guerra fredda e della contrapposizione di due blocchi avrebbe determinato un profondo mutamento del sistema politico italiano che nasceva da quella contrapposizione ed era a quella funzionale. La DC e il PCI avrebbero dunque subito gravi conseguenze da questo mutamento, ma Cossiga sosteneva che i partiti politici e le stesse istituzioni si rifiutavano di riconoscerlo. Iniziò quindi una fase di conflitto e polemica politica, spesso provocatoria e volutamente eccessiva, e con una fortissima esposizione mediatica (fu detto il “grande esternatore”), al solo scopo di dare delle “picconate a questo sistema”, che perciò valsero a Cossiga negli ultimi due anni di mandato l’appellativo di “picconatore”. Tra le esternazioni del presidente, vi fu quella contro il magistrato Rosario Livatino, definito ‘giudice ragazzinò. Livatino fu poi assassinato dalla mafia. Cossiga si dimise dalla presidenza della Repubblica il 28 aprile 1992 , a due mesi dalla scadenza naturale del mandato, annunciando le sue dimissioni con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile. Fino al 25 maggio , quando al Quirinale fu eletto Oscar Luigi Scalfaro, le funzioni presidenziali furono assolte, come previsto dalla Costituzione, dall’allora presidente del Senato, Giovanni Spadolini. Si arriva poi all’emersione di Gladio. Nel 1966, quando entrò per la prima volta al governo, Cossiga ricevette la delega, come Sottosegretario alla Difesa, a sovrintendere Gladio, sezione italiana di Stay Behind Net, organizzazione segreta dell’Alleanza Atlantica (di cui facevano parte anche Austria e Svezia). Le asserite responsabilità di Cossiga nei confronti di Gladio furono confermate dal medesimo interessato che, ancora presidente, chiese (il 21 novembre 1991, all’indomani della sentenza di incompetenza con cui il giudice Felice Casson aveva trasmesso gli atti su Gladio alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma) di essere processato definendosi “l’unico referente politico”, precisando di “essere stato perfettamente informato delle predette qualità della struttura”. Il 6 dicembre 1991 fu presentata in parlamento da parte dell’allora minoranza la richiesta di messa in stato di accusa per Francesco Cossiga. Tra i firmatari delle mozioni vi erano Ugo Pecchioli, Luciano Violante, Marco Pannella, Nando Dalla Chiesa, Giovanni Russo Spena, Sergio Garavini, Lucio Libertini, Lucio Magri, Leoluca Orlando, Diego Novelli. Il comitato parlamentare ritenne tutte le accuse manifestamente infondate, come si legge negli atti parlamentari del 12 maggio 1993. La Procura di Roma richiese l’archiviazione a favore di Cossiga il 3 febbraio 1992 e l’8 luglio 1994 la richiesta fu accolta dal tribunale dei ministri. Nel suo ultimo libro ‘La versione di K’, Cossiga scrive che “il Partito comunista sapeva dell’esistenza di un’organizzazione segreta con le caratteristiche di Gladio. Lo dico perché ne fui informato da Emilio Taviani. Perché i comunisti lanciarono comunque quella campagna e perché inserirono i fatti di Gladio tra le accuse che portarono alla richiesta di incriminazione nei miei confronti? Credo di avere la risposta. Quello dei comunisti fu fuoco di controbatteria: era da poco crollato il Muro di Berlino e temevano che potessero arrivare da quella parte notizie di chissà che genere sul loro conto; quindi, per evitare di trovarsi in imbarazzo, cominciarono a sparare nel mucchio. E io fui colpito per primo in quanto presidente della Repubblica”. Ma Cossiga anche da ‘semplicé parlamentare ha lasciato il segno, non solo da vertice di volta in volta delle istituzioni.Sfaldatasi la DC ed essendosi i suoi esponenti divisi fra i due poli di centrosinistra e centrodestra, Cossiga decise in un primo momento di ritirarsi dall’attività di partito e di svolgere soltanto l’attività di senatore a vita. Successivamente, nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l’UDR (Unione Democratica per la Repubblica) che raccolse, fra gli altri, l’adesione dei Cristiani Democratici Uniti di Rocco Buttiglione e di Clemente Mastella, alla guida di un gruppo di scissionisti del Centro Cristiano Democratico. Quando Rifondazione comunista fece mancare il suo appoggio al governo Prodi, battuto alla Camera per un voto, Cossiga ed i suoi furono determinanti per la formazione del governo D’Alema. Il suo appoggio venne deciso, come Cossiga spiegò in una conferenza stampa all’uscita dalle consultazioni con il presidente Scalfaro, per sancire irrevocabilmente la fine della conventio ad excludendum nei confronti del PCI. Massimo D’Alema fu il primo presidente del Consiglio a provenire dalle file dell’ex PCI. Per l’occasione Cossiga regalò al novello capo del Governo in Parlamento un bambino di zucchero, ironizzando un desueto luogo comune su usanze cannibalistiche dei comunisti. Nel frattempo il senatore Marcello Pera gli lanciava epiteti come discendente di barbaricini, briganti e rapitori, a cui Cossiga rispondeva ricordando le proprie origini familiari “contrariamente a chi ha un cognome di cosa, come si usava dare alle famiglie la cui origine era ignota”. Dopo un anno di vita, l’UDR si sciolse e larga parte di essa confluì nel nuovo soggetto politico creato da Clemente Mastella, l’UDEUR . Cossiga vi aderì in maniera puramente simbolica, per fuoriuscirne definitivamente il 6 novembre 2003, quando abbandonò, al Senato, il gruppo misto per iscriversi al gruppo per le autonomie. Nel giugno 2002 ha annunciato le dimissioni da senatore a vita, che peraltro non ha presentato. Cossiga collaborava attivamente con diversi quotidiani, scrivendo anche sotto lo pseudonimo “Franco Mauri” per Libero e “Mauro Franchi” per Il Riformista. Alla fine del 2005 ha pubblicato sul quotidiano Libero una lettera nella quale ha annunciato di non volersi più occupare attivamente della politica italiana, ma non pare avervi dato pienamente seguito. Il 19 maggio 2006 ha votato la fiducia al governo Prodi II. Il 27 novembre 2006 ha presentato al presidente del Senato, Franco Marini, le dimissioni da senatore a vita, ritenendosi “ormai inidoneo ad espletare i complessi compiti e ad esercitare le delicate funzioni che la Costituzione assegna come dovere ai membri del parlamento nazionale”. Le dimissioni sono state respinte dal Senato in data 31 gennaio: il numero dei senatori contrari alle dimissioni è stato di 178, i favorevoli 100 e gli astenuti 12. Il 6 dicembre 2007 è stato determinante per salvare dalla crisi il governo Prodi, con il suo sì al decreto sicurezza, sul quale l’esecutivo aveva posto il voto di fiducia. Sempre nel 2007 è stato componente del comitato promotore del pensiero di Antonio Rosmini, in occasione della sua beatificazione avvenuta il 18 novembre 2007. Nel 2008 Cossiga ha votato la fiducia al governo Berlusconi IV; in precedenza aveva votato la fiducia a Berlusconi un’altra volta, nel 1994 (governo Berlusconi I). Il 23 ottobre 2008 , in un’intervista al Quotidiano Nazionale, propone al Ministro dell’Interno Maroni la sua soluzione per contenere il dissenso universitario nei confronti della legge 133/2008: evitare di chiamare in causa la polizia, ma screditare il movimento studentesco infiltrando agenti provocatori, e solo allora, dopo i prevedibili disordini, “le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale”. Nell’affermare ciò Cossiga sostiene che il terrorismo degli anni ’70 era partito proprio dalle università, e conferma di avere già attuato una strategia simile quando egli stesso era stato Ministro dell’Interno. In seguito a questa intervista Alfio Nicotra, della direzione nazionale del Prc e responsabile del Dipartimento Pace e Movimenti del Prc ha chiesto di riaprire l’inchiesta sulla morte di Giorgiana Masi, uccisa in circostanze non ancora chiarite durante una manifestazione nel 12 maggio 1977, periodo nel quale stesso Cossiga era ministro dell’Interno. Inoltre la senatrice Donatella Poretti (Radicale eletta nelle file del PD) ha deciso di depositare un disegno di legge per l’istituzione di una commissione d’inchiesta sull’omicidio della Masi. (Asca)