Italia

Costi della politica, le Regioni chiedono aiuto al governo ma un anno fa si ribellarono a Tremonti

di Ennio Cicali

E’ appena passato un anno ma sembra lontanissimo quell’agosto 2011, quando il ministro Tremonti presentò il decreto n° 138 che prevedeva, tra l’altro, tagli a emolumenti e poltrone per i Consigli regionali. In dodici – Val d’Aosta, Sardegna, Trentino Alto Adige, Lazio, Umbria, Emilia-Romagna, Veneto, Campania, Lombardia, Calabria, Basilicata e Puglia – fecero ricorso alla Corte costituzionale, indignati perché lesivo dell’autonomia legislativa regionale, quella che può decidere l’entità delle varie indennità e il numero dei consiglieri regionali. È competenza nostra, dissero, il governo non può metterci il naso. Ricorso respinto, tranne che per le Regioni a statuto speciale, perché per loro occorre una legge costituzionale, non basta un decreto.

Ricorso rigettato, ma poi tutto è andato avanti come se niente fosse. Tutti hanno continuato a usare quelle prerogative di cui hanno goduto e, molto spesso, abusato. Si è così arrivati alla proliferazione dei monogruppi (non è il caso attuale della Toscana) – ovvero un solo consigliere – ognuno dei quali ha diritto a un ufficio proprio, più assistenti, personale amministrativo, spese di rappresentanza e cose varie, portando le spese per il funzionamento dei consigli e giunte regionali alla somma attuale di 1.158.838.113 euro. Altri 71.786.294 euro sono previsti per gli stanziamenti nel 2012 a favore dei gruppi consiliari (comprensivi delle spese per il personale).

Altra prerogativa delle Regioni riguarda l’adozione di una particolare legge elettorale per l’elezione del Consiglio regionale, com’è avvenuto anche in Toscana nella scorsa legislatura quando i consiglieri salirono a 65 con l’introduzione del «listino», ovvero elenchi bloccati di candidati «nominati», sistema poi adottato anche dal famigerato «porcellum», salvo poi ritornare agli attuali 55 consiglieri da ridurre a 40 nella prossima legislatura se andranno in porto le riforme preannunciate.

Oggi sull’onda dello scandalo laziale, che rafforza il comune sentimento dell’antipolitica che si abbatte su partiti e istituzioni, sono gli stessi presidenti delle Regioni a chiedere al governo l’applicazione della legge per tagliare i costi. A partire dal numero dei consiglieri regionali: ne salteranno 300 degli attuali 1.111, per cui alla prossima legislatura saranno quasi un terzo in meno. Il decreto legge dovrà anche fissare criteri univoci per le indennità dei consiglieri, che comunque andranno calmierate. E poi maggiore trasparenza sui bilanci per tutte le Regioni, sia per le Giunte sia per i Consigli. Il documento chiede anche l’attivazione di procedure di controllo attraverso la Corte dei conti. Le verifiche, dovranno essere estese a quelle spese connesse ai costi della politica, oggi non ancora sottoposte a questa forma di controllo. Nel capitolo dovrebbero rientrare i finanziamenti ai gruppi. I governatori hanno proposto anche sanzioni, sotto forma di minori trasferimenti da parte dello Stato, per le regioni che non si adeguano al taglio delle spese.

Fino a oggi il costo dei Consigli è aumentato notevolmente se si aggiunge la spesa per il rimborso elettorale che si aggira sui 200 milioni di euro. Quello dei rimborsi è all’origine del discredito che colpisce indistintamente tutta la politica italiana. Ma il discorso si fa ancora più complesso perché mette in discussione l’intero panorama politico nazionale.

Caso mai viene da chiedersi perché il governo debba intervenire con un decreto, per di più costituzionale, visto che tutte le Regioni hanno autonomia legislativa. O c’è il timore che qualcuno ci ripensi…

Sprechi e privilegi della «casta invisibile»

Sprecone o virtuose, non c’è che l’imbarazzo della scelta per definire le Regioni alla luce degli ultimi avvenimenti. Basta guardare in televisione le sedute delle varie assemblee: aule lucide e bene illuminate, presidenti seduti sugli scranni più alti, a volte poltrone vuote o consiglieri distratti, come in Parlamento. Se poi si entra nelle sede consiliari si percorrono lunghi corridoi con luci soffuse, ricche dotazioni, scrivanie con l’immancabile computer. Il confronto con il resto dell’apparato pubblico è disarmante se confrontato con una delle tante scuole o delle molte stazioni ferroviarie declassate o meglio abbandonate.

Guai a parlare di sprechi, costi e privilegi, si corre il rischio di essere accusati di «attacco alle istituzioni». Eppure, basta scorrere le cronache di questi giorni per rimanere esterrefatti di fronte alla numerose inchieste della magistratura. D’accordo, tutti innocenti fino alla sentenza definitiva, non sempre si tratta di reati, spesso è solo questione di stile.

Abusi, prerogative e sprechi sono il tasto dolente. A parte i presunti abusi in Emilia Romagna, Lazio e Piemonte, oggetto di controlli da parte della magistratura, sono molti i consigli regionali che non hanno un regolamento che obbliga i politici ad allegare scontrini e fatture. Ci sono poi le Regioni virtuose: Toscana (55 consiglieri e 705 mila euro di spese), Liguria (40 consiglieri e 2 milioni e 900 mila euro), Emilia Romagna (50 consiglieri e 2 milioni e 332 mila euro per sole spese di funzionamento) che obbligano per legge a dimostrare con scontrini e fatture le spese sostenute.

Un capitolo a parte riguarda i vitalizi, uno degli argomenti più invisi agli italiani, alle prese con pensioni sempre più ridotte. Aboliti dal 2015, saranno sostituiti dal sistema contributivo, come tutti gli italiani, per i nuovi consiglieri. Per quelli i carica e gli ex che già percepiscono il vitalizio tutto immutato, «perché i diritti acquisiti non si toccano». Così sarà per gli attuali 3.183 ex che fino a oggi pesano per 170 milioni di euro sulle casse regionali. Percepiranno la buonuscita i consiglieri uscenti che varierà secondo la durata del mandato. In Calabria avranno 56.580 euro lordi per una legislatura, con un tetto massimo di tre mandati. La Toscana, tra le più basse, prevede una indennità di fine mandato di 38.036 euro per legislatura senza obbligo di mandati.

Dieci anni di sperperi non sono certo uno scherzo: è questo il risultato di una gestione non certo brillante da parte delle giunte regionali del nostro paese. Secondo quanto segnalato dalla Cgia di Mestre, ammonterebbero a ben ottantanove miliardi di euro, spesi in eccesso dagli enti regionali. Più del 50% di tale importo, è andato alla sanità. Tra l’altro, se si tiene conto del fatto che l’inflazione è salita di quasi ventiquattro punti percentuali nel corso di questo lungo periodo di tempo, allora si può concludere che la spesa regionale ha avuto un incremento del 74,6%. La confederazione veneta ha preso in esame i bilanci disponibili, l’ultimo è quello del 2010; due anni fa le Regioni hanno oltrepassato di 208,4 miliardi di euro le uscite totali.

Molte cose sono cambiate in peggio nel 2001, quando la riforma costituzionale del Titolo V ha assegnato alle regioni tutte quelle funzioni che non sono svolte e affidate in modo esplicito allo Stato. Gli sprechi e gli sperperi, di conseguenza, si sono concentrati in diversi settori: sanità, industria e trasporto pubblico.

Sprechi, da quale partire? Ogni ci sono tanti episodi di sciatteria, approssimazione, cecità, disprezzo delle risorse pubbliche da rendere impossibile, se non temeraria, una qualsiasi mappa. A volte, basta guardarsi intorno.

In Toscana siamo «virtuosi», ma basta?

Un sistema da ripensare completamente