(Dall’inviata SIR a Manila) – L’Italia è il Paese europeo con la più alta presenza di immigrati cinesi: 188.352 su un totale di 700 mila residenti nell’Unione europea (dati Eurostat, 31 dicembre 2009). Una immigrazione con luci e ombre, che ha consentito di inviare in patria dall’Italia come rimesse, 1.770 milioni di euro (nel 2010), un dato in continua crescita. Da sfatare alcuni pregiudizi: non è vero che i cinesi che non muoiono mai e che i cinesi stanno invadendo il mondo. È quanto emerge da un accurato studio presentato oggi a Manila da Antonio Ricci, Franco Pittau e Luca Di Sciullo, redattori del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes, nel corso del viaggio-studio Asia-Italia: scenari migratori. Le collettività cinesi in Italia, ha spiegato Ricci, hanno mostrato una grande versatilità e sono riuscite ad adattarsi nei diversi territori: nel settore tessile a Prato, nella lavorazione della pietra in Piemonte, nella coltivazione del riso in Lombardia, nel commercio a Roma. Se è vero che l’inserimento nella società a volte non è del tutto soddisfacente per alcuni casi di attività illegali e lo smercio di merci contraffatte e la chiusura all’interno della comunità, anche gli italiani guardano ai cinesi con un misto di interesse e di paura. Ogni 10 presenze cinesi in Italia, poco meno di 6 stanno nel Nord e quasi 3 nel Centro. Le roccaforti dei cinesi sono la Lombardia (21,9%), la Toscana (15,1%), il Veneto (14,1%) e l’Emilia Romagna (11,3%). Ad ogni 4 lavoratori cinesi occupati (123.072, di cui il 53,7% nell’industria), corrisponde un imprenditore cinese. Nel 2010 sono infatti 33.593 i titolari di impresa cinesi. I cinesi sono concentrati nella fascia di età tra i 25 ed i 40 anni, equamente distribuita tra maschi e femmine. La forte presenza di minori nel primo anno di età significa che i cinesi fanno molti figli, ma poi li mandano dai parenti in Cina per poter lavorare più liberamente. Tornano dopo aver compiuto 10 anni. Dal ridotto numero di ultra 60enni (0,74%) si deduce che dopo i 50 anni tornano in patria. Trattandosi di giovani, i tassi di mortalità sono bassi e annualmente sono poche decine i casi di decesso. Ma quando muoiono ha precisato Ricci – i cinesi sono seppelliti nei cimiteri italiani o trasportati in patria. Non trova, quindi un supporto statistico la credenza secondo la quale i cinesi non morirebbero mai, nel senso che i documenti del defunto verrebbero ceduti a un connazionale in posizione irregolare. La presenza dei cinesi nel mondo (34 milioni, di cui 28 milioni in Asia), pur non essendo trascurabile, non è una invasione. Se si considerano la bassa fertilità della Cina ha concluso -, l’invecchiamento della popolazione e lo straordinario sviluppo economico, diventerà un grande polo di immigrazione. (Sir)