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TRAGEDIE IN MARE: DON ZERAI, «UN DISASTRO». CHIAREZZA SU SEGNI D’ARMA DA FUOCO

“E’ un disastro, un disastro. Sono morte tante donne e bambini. Intere famiglie cancellate. I parenti dei dispersi continuano a chiamarmi e si disperano al telefono per la perdita dei loro cari. Oramai, se i loro compagni vengono trovati morti con segni di arma da fuoco, che speranze ci sono per gli altri?” A parlare oggi al SIR è don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Habeshia, commentando sia la tragedia del barcone affondata al largo di Lampedusa durante i soccorsi, con più di 150 migranti dispersi in mare, sia altre situazioni di imbarcazioni disperse. Don Zerai rivela, infatti, particolari inquietanti che riguardano il barcone di 355 eritrei ed etiopi di cui non si hanno notizie da due settimane. Parlando con mons. Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli e con alcuni connazionali eritrei, don Zerai ha accertato che alcuni dei 70 corpi ritrovati sulle coste libiche giorni fa – in particolare i corpi di due donne eritree e di un egiziano, riconosciuto come lo scafista che guidava un barcone di 355 persone -, “riportano segni inquietanti di arma da fuoco”. “Vogliamo si faccia chiarezza su quanto avvenuto – afferma don Zerai -. Queste persone sono state probabilmente colpite mentre erano già in mare. Essendo stato il primo barcone ad uscire dalla Libia subito dopo l’inizio dell’intervento internazionale, non vorrei che qualcuno li avesse scambiati mercenari”. “Inizialmente sembrava che i corpi fossero stati sepolti – prosegue don Zerai -, invece ieri ho verificato che sono ancora all’obitorio. Chi li ha riconosciuti si è detto sicuro che quelle persone risultavano nella lista di quelli saliti sul barcone dei 355 eritrei ed etiopi partito da Tripoli la notte tra il 22 e 23 marzo”. “Queste morti erano evitabili – afferma don Zerai -. L’Europa avrebbe dovuto darci ascolto prima dell’inizio dei bombardamenti, quando chiedevamo l’evacuazione di emergenza per tutti profughi dell’Africa sub sahariana che erano intrappolati nelle città libiche. Solo l’Italia ha fatto un passo per i 110 profughi evacuati da Tripoli, gli altri Paesi hanno preferito prendere tempo, mentre la disperazione dei profughi li spingeva ad affidarsi a un viaggio pericoloso come quello di attraversare il Mediterraneo nei barconi carichi di disperati”. Oltre ai 150 della tragedia di stanotte, precisa don Zerai, “oggi piangiamo più di 400 persone, 250 uomini, 62 donne, 13 bambini eritrei, oltre 10 etiopi. Sul gommone partito il 25 marzo, ma scomparso il 26 marzo c’erano 68 donne e bambini eritrei ed etiopi in fuga da Tripoli”. Don Zerai annuncia di aver intenzione di “denunciare l’omissione di soccorso. Queste persone sono state localizzate a 60 miglia dalle coste libiche. Lì è pieno di navi della Nato, non riesco a capire perché nessuno li ha soccorsi”. Sui rimpatri dei nuovi arrivati dalla Tunisia don Zerai pensa che “il blocco non reggerà se non sarà accompagnato da investimenti per dare possibilità di vita dignitosa ai tunisini nel loro Paese. Sono tutti giovani: se non troveranno risposte in patria, cercheranno altrove. Allora non ci saranno muri che tengano”. I 20.000 permessi temporanei a chi è già arrivato in Italia li giudica “cavilli provvisori per aggirare le leggi”. “Secondo me – osserva – l’Italia avrebbe dovuto sospendere il Regolamento di Dublino, per consentire ai richiedenti asilo di potersi muovere negli altri Paesi europei. L’Italia, che secondo il Regolamento di Dublino dovrebbe ospitarli, non è in grado di garantire un’accoglienza dignitosa, perché abbiamo già migliaia di rifugiati costretti a vivere nelle baraccopoli”. E l’Europa avrebbe dovuto “essere più solidale”. “O l’Europa esiste in piena solidarietà tra tutti i Paesi membri – sottolinea don Zerai -, oppure vuol dire che è una Europa solamente di nome. Se è una unione tutte le responsabilità andrebbero assunte insieme. Non si possono lasciare alcuni Paesi ad affrontare da soli alcune emergenze. Sapendo qual è la situazione economica italiana, i Paesi che stanno meglio dovrebbero essere più solidali”.Sir