Italia

SETTIMANA SOCIALE: DIOTALLEVI (SOCIOLOGO), LA DIVARICAZIONE TRA LE AREE DEL PAESE

(Reggio Calabria) – “Essere questa sera a Reggio Calabria ed essere nel Mezzogiorno d’Italia per tutti noi significa che dobbiamo fare meglio ed ancora di più: contro la mafia, contro la camorra, contro la ‘ndrangheta e contro ogni forma di negazione della vita, plateale o nascosta, che uccida contemporaneamente corpo e mente, o che lasci sopravvivere per un po’ un corpo privato di intelligenza e di volontà libere”: lo ha detto questa sera il sociologo Luca Diotallevi, vice-presidente del Comitato delle Settimane Sociali nella relazione introduttiva dal titolo “Il processo, l’agenda, l’attualità”. “Nessun paese europeo – ha detto – conosce al proprio interno differenziali territoriali (economici e non solo economici) paragonabili ai nostri. Le dinamiche economiche, le morfologie sociali, gli assetti istituzionali procedono con velocità diverse ed anche in direzioni sempre più divaricate. Sotto certi profili, la crisi seria in cui versa un numero sempre maggiore di aree del Centro Italia riflette la radicalità del processo in atto. Questa dinamica di divaricazione non è invenzione di alcuna forza politica”. “Tuttavia – ha proseguito il sociologo Diotallevi – quella territoriale è solamente una delle dinamiche divaricanti che spingono il paese verso la frammentazione. Altrettanto radicale è la divaricazione tra generazioni con una continua sottrazione di opportunità a danno dei giovani e della quale il declino demografico è la sintesi più fedele e più dura. Stiamo illudendo i giovani, promettendogli qualsiasi cosa come un diritto, e stiamo derubando i giovani – soprattutto i migliori – privandoli del diritto a giocarsi alla pari i loro talenti”. Proseguendo nella sua analisi, Diotallevi ha poi sottolineato che “altrettanto drammatica è la divaricazione tra la qualità di vita di chi lavora in aziende che ‘stanno’ sul mercato e quella di chi vive in nicchie protette, tra chi studia in severe istituzioni educative e chi invece è parcheggiato o accoccolato presso contenitori in cui non si istruisce, non si educa e non si fa ricerca. Il gusto di scoprire studiando con fatica e di costruire lavorando duramente è ormai un raro privilegio”. “Se la posta in gioco è l’Italia, ciò che ci dobbiamo chiedere è: serve l’Italia al bene comune?”: il sociologo Diotallevi ha posto quindi la questione della costruzione del “bene comune”, rispondendo che tale domanda “è molto dura, ma l’alternativa è un silenzio ipocrita e soprattutto una passiva accettazione dei processi di divaricazione in atto. Noi dobbiamo invece lasciar risuonare una domanda tanto radicale; se serve, dobbiamo lasciare che scandalizzi e che ci scandalizzi. Diversamente – ha affermato – non si formerà alcuna determinazione pratica vera e salda. I martiri cattolici dell’unità, dell’indipendenza, della repubblica e della democrazia italiane, quelli del Risorgimento e della Prima Guerra mondiale, i “ribelli per amore” della resistenza alla dittatura fascista, alla occupazione nazista o alla concreta minaccia del totalitarismo comunista, e – più vicino a noi nel tempo – coloro che sono caduti nell’esercizio della propria responsabilità per il bene comune sotto i colpi del terrorismo e della criminalità organizzata hanno affrontato con consapevolezza e con generosità la prova perché nella loro coscienza e attraverso la loro preghiera avevano affrontato questa domanda. Non sono morti senza frutto anche perché non sono morti per caso”. Parlando del federalismo quale “riforma delicata sotto diversi profili, anche perché irreversibile”, Diotallevi ha poi affermato: “La coerenza che chiediamo a questa riforma è misurata innanzitutto da criteri derivanti dal principio di sussidiarietà in tutta la sua portata ‘verticale’ ed ‘orizzontale’. A queste condizioni, il federalismo non è il problema, ma la soluzione (anche a tanti abusi ed a tanta cattiva amministrazione)”. “La prospettiva del bene comune – ha poi sottolineato – ci consente di non scambiare per solidarietà gli automatismi di una spesa pubblica improduttiva e clientelare, e ci consente anche di non prendere per federalismo la moltiplicazione di microstatalismi: non c’è federalismo senza accorciamento della catena tra chi preleva e chi spende denaro pubblico, senza trasparenza e responsabilità delle politiche perequative, senza liberalizzazioni, senza abbandono del controllo di comuni, province e regioni sulle troppe aziende pubbliche e semipubbliche, senza welfare sussidiario”. Il relatore ha poi notato che “se oggi, come Chiesa e come cattolici ci battiamo senza riserva per la libertà religiosa ovunque nel mondo è anche perché l’unità d’Italia (con i caratteri che conosciamo, inclusa la recente versione della soluzione concordataria) ha aiutato a dare un significato nuovo e più profondo al principio della ‘libertas ecclesiae’”.Sir