(dall’inviata a Malaga) In Europa siamo di fronte ad una specie di deriva etnica istituzionalizzata, che certamente non favorisce né l’approccio sereno degli autoctoni verso gli immigrati e neppure il processo di integrazione degli immigrati nel tessuto delle società di arrivo. Parole forti di denuncia quelle usate oggi da mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti. Intervenendo con una relazione al Congresso europeo sulle migrazioni in svolgimento a Malaga per iniziativa del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee), mons. Vegliò ha esordito facendo il punto sui flussi migratori in Europa. Nei 27 Paesi dell’Unione ha detto si calcolano attualmente 24 milioni di immigrati, per lo più provenienti dai Paesi stessi dell’Unione. I due terzi della presenza straniera sono ospitati da Germania, Francia e Regno Unito, anche se i Paesi mediterranei registrano costanti aumenti. Più difficile invece avere cifre precise circa gli immigrati irregolari, ma secondo valutazioni recenti sarebbero fra i 4,5 e gli 8 milioni, con un aumento stimato fra i 350 mila e i 500 mila all’anno. I sondaggi inoltre rivelano che in Europa i flussi migratori siano sempre più percepiti in maniera negativa dalla popolazione. Ciò che preoccupa mons. Vegliò è che l’Europa sentendosi fortezza assediata, affronta sulla difensiva il fenomeno della mobilità. Viene, così, proposta e ribadita la trilogia inaccettabile immigrazione-criminalità e terrorismo-insicurezza’. Ecco allora ha proseguito che l’obiettivo della politica europea appare quello di limitare il numero degli immigrati, rendendo difficile e quasi impossibile l’arrivo di quelli regolari, e di eliminare gli irregolari. Il presidente del dicastero vaticano ha quindi ammonito: Le misure punitive non bastano, spesso nemmeno scoraggiano nuove partenze, le rendono solo più pericolose o costose. E poi ha aggiunto: Ancor più dannoso è portare avanti una strumentalizzazione politica delle migrazioni senza davvero prendere i provvedimenti necessari, anzi scatenando risentimenti xenofobi nella popolazione locale e, di conseguenza, anche reazioni violente che possono trovare addirittura giustificazioni nelle parole di questo o quel politico, come ci vuole cattiveria con i clandestini’. Piuttosto ha quindi osservato mons. Vegliò ci si dovrebbe chiedere come far incontrare la domanda e l’offerta di manodopera senza che i lavoratori stranieri debbano sempre passare per la porta dell’irregolarità. La relazione di mons. Vegliò è piena di domande: Quanto si investe nell’integrazione?; che cosa si fa per le scuole?; e per la collaborazione con i Paesi di partenza?. Il rappresentante del dicastero vaticano suggerisce una visione nel segno della positività, ammonendo: Più le misure sono restrittive e più aumenta il numero dei migranti irregolari e dei trafficanti di manodopera straniera. Così, anche i confini nazionali più protetti vengono quotidianamente varcati da persone che fuggono condizioni di vita inaccettabili e che non si arrestano di fronte a pericoli e ostacoli di ogni genere. In questo contesto, la Chiesa si schiera dalla parte di una cultura dell’accoglienza: intende cioè affermare ha detto mons. Vegliò la cultura del rispetto, dell’uguaglianza e della valorizzazione delle diversità, capace di vedere i migranti come portatori di valori e di risorse. Per queste motivazioni essa invita a rivedere politiche e norme che compromettono la tutela dei diritti fondamentali, come quello del ricongiungimento familiare, dell’accesso alla cittadinanza, della stabilità del proprio progetto migratorio. Esprime inoltre un forte dissenso rispetto alla prassi sempre più restrittiva in merito alla concessione dello status di rifugiato e al ricorso sempre più frequente alla detenzione e all’espulsione dei migranti.Sir