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Pakistan, difese Asia Bibi: l’ambasciatore Sherry Rehman sotto processo per blasfemia

Sherry Rehman, parlamentare musulmana del Pakistan People's Party e oggi ambasciatore pakistano negli Stati Uniti, sarà processata per blasfemia: lo ha deciso la Corte Suprema, con un clamoroso pronunciamento che riapre il dibattito sulla legge sulla blasfemia in Pakistan. 

La donna fu denunciata nel febbraio 2011 da Faheem Akhtar Gull, commerciante di Multan, che la accusava di aver commesso blasfemia durante un talk-show su Dunya TV. Nel dibattito televisivo, la Rehman aveva difeso Asia Bibi e aveva spiegato la sua proposta, presentata al Parlamento pakistano, di revisione della legge sulla blasfemia, al fine di prevenirne gli abusi. Ma, dopo le polemiche seguite agli omicidi di Salman Taseer e di Shahbaz Bhatti, la Rehman, in pericolo di vita, aveva ritirato la mozione. La polizia di Multan l’aveva scagionata, un tribunale di Lahore aveva respinto la denuncia di Akhtar Gull e la vicenda sembrava conclusa. Ora invece, nel ricorso presentato alla Corte Suprema, i giudici hanno dichiarato l’ammissibilità delle accuse. Il collegio dei giudici Anwar Zaheer Jamali e Ejaz Afzal Khan ha accolto il ricorso, imponendo al Capo della Polizia di Multan, Amir Zulifqar, di registrare ufficialmente il caso di blasfemia (con un First Information Report) un caso sulla base dell’articolo 295c del Codice penale, che punisce con la pena capitale o il carcere a vita il vilipendio al Profeta Maometto. La donna sarà dunque processata.

Fonti di Fides notano che gli estremisti intendono far passare l’idea di definire “blasfemo”, e dunque di poter incriminare, chiunque si opponga o metta in discussione la legge sulla blasfemia. Sherry Rehman, prima dell’incarico diplomatico, era Presidente del “Jinnah Institute” di Karachi, istituto di ricerca formato da intellettuali musulmani liberali, promotore dei diritti umani e della legalità, intitolato al fondatore del Pakistan, Ali Jinnah. In un Rapporto inviato a Fides, e pubblicato un anno fa, l’Istituto notava che Asia Bibi era stata giudicata da un tribunale “sotto evidenti pressioni di islamici estremisti”, e “per una vendetta personale”.

Inoltre metteva in luce una palese irregolarità procedurale: nelle indagini e negli interrogatori preliminari, condotti dalla polizia dopo la denuncia, Asia Bibi non ha avuto un avvocato, per questo tutto il processo potrebbe essere invalidato. Il Jinnah Institute riferisce che, sin dal principio, la vicenda giudiziaria di Asia Bibi è stata viziata da irregolarità e strumentalizzazioni. Un altro rapporto dell’istituto, intitolato “A Question of Faith”, nota l’aumento costante della violenza contro le minoranze religiose in Pakistan, affermando che i cristiani “sono le prime vittime delle persecuzioni”. Una questione, si afferma, che il governo deve affrontare per garantire la libertà, la democrazia e lo stato di diritto nel paese.