Qualsiasi respingimento in mare lede il diritto d’asilo. Ma se non affrontiamo seriamente il tema della richiesta d’asilo le violazioni dei diritti umani si moltiplicheranno. Bisogna dare ai richiedenti asilo la possibilità di presentare la domanda nei Paesi di transito, distribuendo poi gli ingressi nei diversi Paesi europei: è quanto sostiene al SIR Lê Quyên Ngô Dình, presidente della Commissione migrazioni di Caritas Europa e responsabile dell’area immigrati della Caritas di Roma, intervenendo sulla vicenda del respingimento coatto in Libia di una barcone con 227 immigrati. Non possiamo tollerare che le persone rischino la vita, siano torturate e che l’85% delle donne che arrivano a Lampedusa siano state violentate afferma Ngô Dình -. E’ una vergogna. Anche perché hanno già subito delle persecuzioni nei rispettivi Paesi. Bisogna trovare un sistema che consenta in maniera effettiva almeno una preliminare richiesta d’asilo. E’ un evento storico ma nel senso negativo del termine dichiara -. Ciò che ha fatto l’Italia è sicuramente lesivo del diritto d’asilo. Il problema è che la Libia non ha nemmeno firmato la Convenzione di Ginevra del ’91. Non dobbiamo essere ipocriti e non riconoscere che quando si parla di pattugliamenti alle frontiere queste situazioni rischiano di proliferare. Ngô Dình ricorda che da anni si parla, a livello europeo, della necessità di prevedere l’ingresso regolare per i richiedenti asilo predisponendo nei Paesi di transito delle strutture (presso le ambasciate o i consolati) per accogliere, in via preliminare, le richieste d’asilo. Altrimenti continueranno a partire irregolarmente. Su questo punto, osserva, le varie sedi diplomatiche europee non hanno mai dato disponibilità perché non sono attrezzate. Ma considerando tutti i soldi che stiamo spendendo per il controllo delle frontiere, sarebbe più opportuna questa alternativa. Potremmo evitare morti in mare e violazioni dei diritti umani. A proposito del suicidio, avvenuto ieri, di una donna tunisina nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Ponte Galeria a Roma, Ngô Dình, in quanto responsabile dell’area immigrati della Caritas di Roma, afferma: Tutti i Cie, in ogni Paese d’Europa, sono luoghi senza speranza. Sono peggio di un carcere, dal quale si può uscire con la possibilità di un reinserimento in società. Per questo si verificano tanti casi di suicidi, autolesionismo e depressioni. Per limitare i rischi non sono sufficienti gli psicologi o gli operatori sociali: bisogna ridurre il numero di persone nei centri e i tempi di permanenza, proponendo forme di rimpatrio assistito con qualche penale, ad esempio il divieto di ingresso in Italia per un certo periodo di tempo.Sir