L’anno che sta terminando ha visto sovrapporsi ed intrecciarsi tre diversi fattori di crisi: la strisciante fragilità della nostra struttura socioculturale, già segnalata lo scorso anno; il proliferare di tante piccole e medie paure collettive; e poi, in termini subitanei ed esplosivi, il panico diffuso da un’implosione finanziaria internazionale senza ravvicinati precedenti: si aprono così le Considerazioni generali del 42° Rapporto sulla situazione sociale del Paese, presentato stamane a Roma dai vertici del Censis. Fragilità, paure, panico, sono le parole forti di questo rapporto che evidenzia come sono stati numerosi i fattori scatenanti questo clima di preoccupazione collettiva: i rom, le rapine, la microcriminalità di strada, gli incidenti provocati da giovani alla guida ubriachi o drogati, il bullismo, il lavoro che manca o è precario, la perdita del potere d’acquisto, la riduzione dei consumi, le rate del mutuo, il tutto dentro una crisi finanziaria molto pesante che non accenna a volgere in positivo. Il Censis nota che in un anno elettorale, la politica ha trovato vantaggioso enfatizzare le paure collettive e le promesse di securizzazione (dai militari per le strade alla social card per i meno abbienti), con ciò finendo per generare una più profonda insicurezza, una ulteriore sensazione di fragilità. Secondo il Censis alla crisi ci crediamo e non ci crediamo. Infatti, per alcuni si sfiammerà presto, per altri il tracollo durerà a lungo. Questa diversa percezione riflette l’assenza di una consapevolezza collettiva, a conferma del fatto che restiamo una società mucillagine’. Il Censis sostiene che il nostro contesto sociale è condizionato da una soggettività spinta dei singoli, senza connessioni fra loro e senza tensione a obiettivi e impegni comuni. Questa regressione antropologica, con i suoi pericolosi effetti di fragilità sociale, è visibile nel primato delle emozioni, nella tendenza a ricercarne sempre di nuove e più forti, al punto che la violenza o lo stravolgimento psichico si illudono di avere un bagliore irripetibile di eternità, mentre nei fatti sono solo passi nel nulla. Eppure, secondo il Censis di cui è presidente il sociologo Giuseppe De Rita, proprio la crisi finanziaria globale ha determinato un salutare allarme collettivo. Si tratta ora di vedere se il corpo sociale coglierà la sfida, se si produrrà una reazione vitale per recuperare la spinta in avanti, sebbene siano in agguato le italiche tentazioni alla rimozione dei fenomeni, alla derubricazione degli eventi, all’indulgente e rassicurante conferma della solidità di fondo del sistema’.Mentre quindi appaiono giustificati i timori di un gran numero di famiglie di finire in default, cioé fallite (sommando le varie categorie, si arriva a circa il 40% del totale), per via di mutui con rate molto care, risparmi collocati in azioni e fondi comuni azionari pesantemente colpiti dalla crisi delle borse, disoccupazione crescente, ci sono anche fattori di speranza in fondo al tunnel. Il Censis ricorda la presenza e il ruolo degli immigrati, con la loro vitalità demografica e la moltiplicazione emulativa di spiriti imprenditoriali; l’azione delle minoranze vitali già indicate lo scorso anno, specialmente dei player nell’economia internazionale; la crescita ulteriore della componente competitiva del territorio (dopo e oltre i distretti e i borghi, con le nuove mega conurbazioni urbane); la propensione a una temperata gestione dei consumi e dei comportamenti (si parla di nuova sobrietà); il passaggio dall’economia mista pubblico-privata a un insieme oligarchico di soggetti economici (fondazioni, gruppi bancari, utilities). Secondo il Censis la ricetta giusta è la seguente: mercato largo, economia aperta, policentrismo decisionale.Sir