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MONS. BETORI: LEGGE SUL FINE VITA, NO ALL’«AUTODETERMINAZIONE»

“Preferisco non parlare di testamento biologico, ma di legislazione di fine vita, in quanto la parola ‘testamento biologico’ si colloca all’interno di quella comprensione che ritiene l’autodeterminazione in ordine alla propria morte a disposizione della persona umana”. Al contrario, per la Chiesa “la vita e la morte non sono a disposizione di nessuno, neanche di sé stessi: noi preferiamo proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della propria esistenza”. Così mons. Giuseppe Betori, nella sua ultima conferenza stampa in veste di segretario generale della Cei, ha risposto alle domande dei giornalisti riguardo ad un presunto “sì” o “no” della Chiesa italiana sul testamento biologico. Riferendo del dibattito tra i vescovi sul caso Englaro, durante il recente Consiglio episcopale permanente, Betori ha detto che i vescovi italiani hanno espresso la loro “vicinanza” ai familiari di Eluana e alle “molte persone che nel nostro Paese si trovano nelle condizioni di Eluana”, ribadendo però che “il problema può trovare una soluzione solo se ci si prende carico delle sofferenze delle persone e del peso che procura alle loro famiglie”. Un compito, questo, che “spetta sia alla comunità cristiana, sia alla stessa società, che non può far mancare il necessario appoggio economico che serve per sostenere queste situazioni-limite”.Nello stesso tempo, ha proseguito Betori, “cè stato anche un cambiamento nella percezione delle situazione legislativa, ed alcuni procedimenti giudiziari stanno aprendo la strada all’interruzione legalizzata della vita”. Di qui “l’opportunità di una legislazione sul fine vita, nella direzione però del ‘favor vitae’, della salvaguardia della vita, non della disponibilità della persona a mettere fine alla propria esistenza, secondo quel principio di autodeterminazione che alcuni vorrebbero prevalente rispetto al principio di indisponibilità della vita”. In concreto, per la Cei questo significa “né accanimento, né abbandono terapeutico; attenzione alle volontà del paziente, purché chiare, esplicite, aggiornate, e non presupposte o derivate dallo stile di vita”. Ma “queste volontà – ha precisato Betori – sono solo un orientamento, che è competenza del medico valutare in scienza e coscienza, all’interno dell’alleanza terapeutica tra medico e paziente”. Contro la cultura dell’autodeterminazione”, dunque, per Betori “occorre dare valore a queste dichiarazioni, purché certe ed esplicite, in modo da combattere la deriva per cui il personale stile di vita viene interpretato per formulare una volontà da parte del paziente”. “Nessuna volontà può essere derivata dalli stili di vita di una persona, se questa volontà non viene messa per iscritto e legalizzata”, ha affermato Betori.“Questo non significa – ha puntualizzato tuttavia Betori – che questa volontà diventa volontà decisionale, ma una volontà con cui si confronta il medico per valutare quale sia la migliore cura, senza derive né in senso eutanasico, né nella direzione dell’accanimento terapeutico”. In una legge sul fine vita, insomma, servono “dichiarazioni inequivocabili e certe, ma non nel senso di una volontà che decide circa la propria vita, bensì di una volontà di cui il medico deve tener conto circa la valutazione della cura”. Da tutto ciò, inoltre, “vanno esclude l’idratazione e l’alimentazione, che non sono attività curative, ma si sostegno vitale della persona stessa”. In sintesi, l’indicazione della Cei in merito ad una legge sul fine vita è di “non dare spazio all’autodeterminazione: dire che siamo aperti al confronto – ha detto Betori – non significa che cediamo sui nostri principi”.Quanto ad un ipotetico” cambiamento di rotta” del mondo cattolico sulle tematiche del fine vita, Betori ha precisato che “non si tratta di un cambiamento voluto da noi, ma da chi ha creato una legislazione insicura per la vita delle persone. Con questo uso della legge, non c’è più sicurezza per la fine di vita di ciascuno di noi, dunque c’è bisogno di salvaguardarlo: è logico che tutto ciò provochi non una rottura, ma un dibattito”. “Spesso vi lamentate della troppa uniformità del mondo cattolico su certi temi – ha detto Betori rivolgendosi ai giornalisti – ma poi quando si alza il dibattito, parlate di rottura. Se volete, questo è un dibattito, che però arriva ad una concordanza. Si tratta di un dibattito fruttuoso, che aiuta a mettere a fuoco certe problematiche”. “Nessun dramma”, dunque, per la Cei: “Nella Chiesa – ha fatto Betori – il dibattito c’è stato sempre, anche quando siamo stati accusati di un certo soffocamento del dibattito stesso. A noi interessa che nella Chiesa ci sia teste pensanti, e la gente che pensa si confronta anche. Non mi risulta che ci siano rotture”.Sir