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STRAGE CASTELVOLTURNO, CARITAS CAMPANIA: NECESSARIA UNA SCALA DI PRIORITÀ

“La violenza non è mai giustificabile, anche se siamo in un momento in cui il nostro Paese è attraversato da tensioni in qualche modo xenofobe”. È il commento di Giancamillo Trani, responsabile del settore Immigrazione per la Delegazione Caritas Campania, alla guerriglia scatenata dagli immigrati a Castelvolturno venerdì scorso, dopo la strage avvenuta il giorno prima per mano della camorra. “Castelvolturno – prosegue Trani – è la punta di un iceberg che ci porta a ragionare su quale sia il modello di inclusione sociale che l’Italia ha saputo realizzare in questi anni. A Castelvolturno su una popolazione di circa 18mila autoctoni insiste una popolazione immigrata di 11mila persone. Il problema è che lì autoctoni e migranti vivono di fatto separati. La maggior parte degli extracomunitari si esprime in inglese provenendo da Nigeria e Ghana. Inoltre, i migranti convivono tra loro, spendono negli esercizi commerciali tenuti da loro in un territorio che si è degradato fino all’inverosimile”. Fino alla metà degli anni ’70, ricorda l’esperto, “queste zone rincorrevano ancora il sogno di vocazione turistica, oggi questi sogni si infrangono miseramente contro la realtà dei fatti, che a Castelvolturno supera ogni descrizione”.“Per comprendere pienamente l’esclusione sociale di cui sono vittime queste persone – suggerisce Trani – si dovrebbe andare sul posto per vedere quel territorio devastato. Quando alle persone non è riconosciuta nessuna dignità, poi è difficile chiedere loro conto del decoro sociale. Le stesse condizioni all’interno delle quali sono forzatamente costretti a vivere i migranti generano altri fenomeni di disgregazione sociale e materiale”. Il problema è che “ghetti” come quelli in cui vivono oggi i migranti a Castelvolturno c’erano già una ventina di anni fa a Villa Literno, “ma si sperava che fosse un fenomeno destinato a scomparire” (quello di Villa Literno fu incendiato), “invece si vanno propagando e moltiplicando, con condizioni ancora peggiori rispetto al passato”. “Il Santo Padre – ricorda Trani – in più di un’occasione ha rilanciato la necessità di assicurare condizioni di vita dignitose alle persone a prescindere dalla loro posizione di regolarità”. Quello che colpisce, secondo l’esperto, è che “questo degrado, i luoghi dove si spaccia la droga o si esercita la prostituzione sono sotto gli occhi di tutti, spesso denunciati dalla stampa, eppure l’ordine pubblico non si interviene”. “Personalmente – aggiunge Trani – sono molto allarmato sia dalla strage sia dalla reazione violenta, ma capisco la rabbia di queste persone”.“Stiamo parlando – continua Trani – di immigrati di seconda generazione, rispetto ai quali è necessario pensare di passare dallo ius sanguinis a quello solii”. Per l’esperto, “in questo campo siamo molto dietro e ci tira le orecchie pure l’Unione europea che ci dà le direttive in tema di immigrazione. Siamo una delle nazioni del G8, uno dei Paesi più industrializzati del mondo, amiamo definirci un Paese civile e certamente lo siamo per storia, patrimonio culturale, ma in termini di immigrazione ancora non ci siamo. Purtroppo, le cose che andavamo dicendo venti anni fa sono di una mostruosa attualità”. “Il clima che si respira in Italia parlando di immigrazione e di problemi a essa connessi – ammette Trani – non mi lascia tranquillo. Oggi c’è la necessità di ripensare le politiche che in questi anni si sono portate avanti in tema di immigrazione. Si parla tanto di società multietnica e multiculturale, ma sarebbe più necessario soffermarsi sulle condizioni di vita veramente disperate di migliaia di persone”. Di qui la proposta: “Assicuriamo prima le condizioni del vivere civile a tutti e poi ci porremmo il problema di un confronto tra le culture e del mantenimento della dignità delle culture di origine”. “Bisogna – conclude Trani – a questo punto realizzare una sorta di ideale scala di priorità”.Sir