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ASSEMBLEA CAV; MONS. BETORI: IL SERVIZIO ALLA PERSONA PASSA DALLA DIFESA DELLA VITA

“Il servizio alla libertà e all’intelligenza della persona umana parte dal riconoscimento e dalla difesa della vita fin dal suo inizio e nelle fasi della sua massima debolezza”. Lo ha detto mons. Giuseppe Betori, segretario generale della Cei, aprendo oggi a Roma il XXVII Convegno nazionale dei Centri di Aiuto alla Vita. “La convergenza di tutto l’agire dei credenti intorno alla centralità della persona costituisce una delle scelte di fondo del Convegno di Verona”, ha ricordato Betori, secondo il quale “testimoniare la carità verso le giovani generazioni e verso la società di domani passa inevitabilmente” tramite l’assunzione della “sfida educativa”. “È la famiglia – ha detto il segretario generale della Cei – il soggetto verso il quale e nel quale la carità della Chiesa deve essere oggi attuata, senza distogliere l’attenzione dalle altre agenzie educative, come la parrocchia, la scuola, le associazioni, i movimenti e le nuove realtà ecclesiali”. “Testimoniare la carità verso i nostri concittadini – ha proseguito – significa “mettere insieme il servizio vicino ai più poveri e il servizio alla testimonianza della fede e delle sue ragioni”, senza “dissociare né tanto meno opporre” tali ambiti. Di qui la centralità del “progetto culturale”, con cui “si vuole al contrario condividere il vissuto delle persone, rendendolo capace di discernimento e di testimonianza”.

Per il Segretario della Cei, “La questione antropologica non è una sfida da raccogliere solo sul piano del dibattito intorno alla bioetica e alla difesa della vita”, ma “coinvolge l’antropologia concreta, quella che ciascuno di noi vive nel suo essere uomo o donna, nell’intera gamma dell’umanità che vive, di cui è portatore e custode, che valorizza o svilisce o addirittura calpesta”. “E’ qui in gioco la tutela della dignità della persona”, ha proseguito Betori, spiegando che “si tratta di una problematica innanzitutto culturale, perché ci impone di interagire con i presupposti antropologici e quindi filosofici che stanno alla base di alcune scelte nell’ambito sociale e pubblico, ma ancor più di tanti comportamenti del singolo nella sua vita quotidiana”. “Il compito assegnato alla nostra presenza nel contesto attuale”, secondo la Cei, è la “diaconia delle coscienze”, che consiste nel “porre in profondità e al cuore della nostra vita il primato assoluto di Dio, così che questa opzione fondamentale diviene comprensione di sé e della propria esperienza nella luce del Vangelo e, nella prassi, mentalità e stile di vita cristiani”. Di qui la “centralità” della “questione antropologica”, uno dei “frutti più maturi” del cammino della Chiesa italiana da Palermo a Verona.

“Solo una ragione che coglie e ascolta tutte le istanze dell’umano è capace di cogliere e ascoltare “le ragioni della vita”, ha detto ancora mons. Giuseppe Betori, che ha esortato a “porre sul tappeto una questione che sta a monte” al dibattito sulla bioetica: “quale razionalità, quale uso e – insieme – idea di ragione è richiesta per cogliere il valore della vita e per tutelarlo?”. Citando il discorso del Papa a Regensburg e l’intervento a Subiaco il 1° aprile 2005, Betori ha fatto notare che “il monito del Papa ci permette di collocare il dibattito intorno all’uomo – e quindi anche intorno alla difesa della vita – su un presupposto che lo determina: quale modello di razionalità informerà le nostre scelte? La razionalità ‘funzionale’ che si pone di fronte al mondo e all’agire dell’uomo senza la possibilità di cogliere l’istanza morale come proveniente dall’oggetto, dalla realtà? Oppure la razionalità che non deriva – come nel caso della razionalità ‘funzionale’ – da una positivistica ‘autolimitazione’ della ragione al campo del tecnicamente sperimentabile e dell’empiria, ma che assume tutta l’ampiezza del logos umano, capace di abbracciare tutto l’umano nella sua ricchezza e complessità e capace di autotrascendersi fino al Logos che tutto sovrasta e che tutto conosce?”.

È questo “secondo modello di razionalità”, secondo il segretario generale della Cei, che “è richiesto dalla vita e dall’esperienza”. “Non si può pensare di limitare la visuale all’empiria e al nostro intervento su di essa”, ha ammonito Betori, secondo il quale “la ragione funzionale non è che una modalità di approccio dell’uomo al reale, largamente insufficiente quando si pone dinanzi al fenomeno umano nella sua completezza”. In questa prospettiva, ha concluso Betori, la “questione antropologica” emerge “in tutto il suo spessore culturale”, anzi “esige, richiede un nuovo respiro propriamente culturale: afferrare l’inafferrabilità dell’umano; insistere sull’irriducibilità della nostra intelligenza, del nostro volere e del nostro sentire a quel loro supporto materiale che le neuroscienze studiano e la tecnologia cerca di riprodurre; disincagliare la ragione da quell’unilaterale ‘autolimitazione’ che costituisce un forte rischio ideologico capace di portare – come il Cardinale Joseph Ratzinger ha evidenziato coraggiosamente nel suo intervento di Subiaco – a nuove dittature”.

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