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SETTIMANA SOCIALE, D’AGOSTINO: IL VERO PROBLEMA DEL TESTAMENTO BIOLOGICO È BUROCRATIZZARE L’ABBANDONO TERAPEUTICO

“Bisogna dire di no” al “paradigma della biopolitica oggi dominante”, che ha “inevitabili conseguenze” e “comporta rischi antropologici e sociali elevatissimi”. Lo ha detto ai giornalisti Francesco D’Agostino, ordinario di filosofia del diritto all’Università Tor Vergata di Roma, durante la seconda conferenza stampa della Settimana Sociale. La biopolitica, ha spiegato il giurista, “è una volontà normativa che potrebbe anche assumere la forma di una legge votata a stragrande maggioranza dal Parlamento, e che potrebbe anche arrivare a dire: non mi interessa la vita, mi interessa come votiamo sulla vita”. In tale concezione, ha proseguito D’Agostino, “il vivente è come se fosse amorfo, opaco. È la politica che qualifica il vivente in maniera autoritaria, e che autorizza alcune pratiche a partire da una volontà impositiva che non considera suo dovere quello di rispettare la realtà”. “Questo paradigma biopolitico – ha denunciato il relatore – oggi purtroppo è dominante, ed è del tutto parallelo al potere autoreferenziale teorizzato da alcuni dei massimi giuristi della modernità”. Per questo “bisogna dire di no” a tale paradigma, “nel nome del rispetto della verità delle cose e della salvezza della scienza”. “La prima pressione della biopolitica – ha fatto notare D’Agostino – è proprio orientata agli scienziati, spinti ad asservirsi a un sistema normativo che non sono essi stessi a darsi”.

ldquo;Il vero problema del testamento biologico è burocratizzare l’abbandono terapeutico”, ha detto ancora Francesco D’Agostino, durante la conferenza stampa. “Il testamento biologico, se rappresenta la volontà del soggetto, consapevole di voler rinunciare a qualunque terapia – ha spiegato il relatore – implica che la decisione sanitaria o terapeutica venga completamente privatizzata. Ma in situazioni estreme – ha fatto notare – la lucidità di sguardo su se stessi e sulle terapie ottimali è ben lungi dall’essere fredda e oggettiva”. Di qui la necessità di evitare “il rischio che, col pretesto di fare il bene, altri diventino gli interpreti migliori di una verità non formulata”. È il caso, ad esempio, dell’Olanda, dove in base alla legge sul suicidio assistito i medici che lo eseguono “vengono giustificati penalmente”. Una legge, quella olandese, che “si applica ai malati psichici, che per definizioni non possono essere ritenuti competenti”. In base a tale impostazione biopolitica, dunque, “vale la prassi per cui è il medico il miglior interprete della volontà del paziente, con la conseguenza di una gestione burocratica e amministrativa della fine della vita”.

Laura Palazzani, docente di filosofia del diritto all’Università Lumsa di Roma, ha sottolineato come in Parlamento siano in discussione “otto disegni di legge (ddl) sul testamento biologico, tra di loro spesso incompatibili. Sulla questione del fine della vita non ci si deve accanire dal punto di vista terapeutico, ma il testamento biologico non deve avere questa funzione”. “Se questo avvenisse – ha aggiunto – potrebbe voler dire che chi non vuole il testamento biologico vuole per ciò stesso l’accanimento terapeutico. Mentre quest’ultimo problema è di tipo medico e non legislativo e su di esso c’è larga condivisione sul piano medico stesso. Bisogna invece rilevare che alcuni disegni di legge veicolano messaggi eutanasici, togliendo la responsabilità al medico. Il che equivale a una legittimazione dell’eutanasia”.

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