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L’arcivescovo di Baghdad: La visita di Etchegaray è un segno forte per noi

E' partito, lunedì 10 febbraio 2003, alla volta di Baghdad, quale inviato speciale di Giovanni Paolo II, il card. Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. "Scopo della missione pontificia - ha detto il portavoce vaticano, Navarro Valls - è dimostrare a tutti la sollecitudine del Santo Padre a favore della pace ed aiutare poi le Autorità irachene a fare una seria riflessione sul dovere di una fattiva cooperazione internazionale, basata sulla giustizia e sul diritto internazionale, in vista di assicurare a quelle popolazioni il bene supremo della pace". Di questa missione abbiamo parlato con mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad.DI DANIELE ROCCHI

a cura di Daniele Rocchi E’ partito, lunedì 10 febbraio 2003, alla volta di Baghdad, quale inviato speciale di Giovanni Paolo II, il card. Roger Etchegaray, presidente emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. “Scopo della missione pontificia – ha detto il portavoce vaticano, Navarro Valls – è dimostrare a tutti la sollecitudine del Santo Padre a favore della pace ed aiutare poi le Autorità irachene a fare una seria riflessione sul dovere di una fattiva cooperazione internazionale, basata sulla giustizia e sul diritto internazionale, in vista di assicurare a quelle popolazioni il bene supremo della pace”. Di questa missione abbiamo parlato con mons. Jean Benjamin Sleiman, arcivescovo latino di Baghdad.

Come giudica questa visita?

“E’ una visita importante che ha il merito di gettare una luce di speranza in questa crisi che sembra non mostrare sbocchi”.

Quali risultati potrebbe avere?

“Difficile dirlo adesso. In ogni caso ritengo che il primo risultato concreto è quello di mostrare la vicinanza della Chiesa cattolica attraverso la preghiera del Papa e gli sforzi di numerose conferenze episcopali. In questi momenti è fondamentale non sentirsi soli e abbandonati. Questa vicinanza aiuta la popolazione a vivere meno nell’angoscia”.

Sperate ancora nella diplomazia?

“Sappiamo tutto di quanto sta accadendo nel mondo e seguiamo con attenzione ogni sforzo diplomatico. La popolazione spera nella diplomazia. Ma sappiamo anche che gli Usa stanno ammassando truppe ai confini iracheni e che navi stazionano al largo delle coste. L’ottimismo, anche se con qualche riserva, dei capi degli ispettori delle Nazioni Unite, potrebbe favorire una soluzione diplomatica. E’ megl io parlare di diplomazia preventiva che di guerra preventiva”.

Cosa fare in concreto?

“Una cosa logica sarebbe, ad esempio, dare più tempo agli ispettori Onu”.

In che condizioni versa la popolazione irachena?

“La popolazione è angosciata e moralmente esausta, sfinita dal lungo embargo. Molti si abbandonano al fatalismo, molti altri preferiscono partire e raggiungere luoghi più sicuri in caso di attacco. Nessuno, in ogni caso, sembra credere in una soluzione positiva della crisi”.

Ci sono anche molti cristiani…

“Dei cristiani che vivono in Iraq molti sono andati via, qualcuno anche all’estero. Il timore è grande. La comunità cristiana irachena, così come quelle del Medio Oriente, ha perso fiducia nell’avvenire. E questo per la Chiesa locale è un grave colpo. Speriamo che questa visita possa rafforzare anche le comunità ecclesiali dell’Iraq”.

Che significato riveste per la Chiesa irachena la visita del cardinale Etchegaray?

“Quello di una testimonianza forte verso il mondo islamico e il popolo iracheno. E’ importante che si sappia chiaramente che i cristiani non vogliono la guerra, che la Chiesa ha sempre cercato di fermare ogni tentativo di guerra. Così come è importante che gli iracheni sappiano che i cristiani di qui sono i comunione con i cristiani del mondo che rifiutano la guerra. Non è una guerra di religione e neanche di culture o di civiltà ma si tratta di guerra che sa di economia”.

Cosa la turba maggiormente in questo momento?

“Direi, cosa mi scandalizza. E’ la facilità con cui si parla di guerra, quasi fosse un gioco senza considerare gli effetti devastanti che potrebbe provocare, in particolare, sulla Regione e sulla popolazione”.

La Chiesa cattolica in Iraq

Secondo l’Annuario statistico della Chiesa (2000), la Chiesa cattolica in Iraq conta 281 mila fedeli (su una popolazione di oltre 22 milioni di abitanti). Sono suddivisi in 17 diocesi, 92 parrocchie e 33 altri centri. La loro cura pastorale è affidata a 13 vescovi, 135 sacerdoti, di cui 20 religiosi. 1041 sono i catechisti. La Chiesa cattolica gestisce, inoltre, 2 ospedali, 9 ambulatori, 9 case di riposo per anziani, 6 orfanotrofi, 4 centri di rieducazione.

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