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L’appello di Kofi Annan: il mondo deve restare unito

Rinviato a un giorno imprecisato che potrebbe forse essere entro la settimana, il voto del Consiglio di Sicurezza dell'Onu sulla questione irachena sta arroventando il clima del mondo. Dall'Aja, dove ha inaugurato il Tribunale penale internazionale, il segretario generale dell'Onu, Kofi Annan, ha lanciato un accorato appello a superare le spaccature in seno al Consiglio di sicurezza, tenendo conto che «in tutto il pianeta, la gente vuole vedere questa crisi risolta in maniera pacifica».Un digiuno per cambiare il mondo (di Giulio Albanese)Mons. Tauran: La guerra all'Iraq sarebbe un crimineDigiuno per la pace, dalla Toscana un coro di sìIl nostro no alla guerra è un no convinto e motivato (di Alberto Migone)Un fermo no alla guerra all'Iraq. Il testo del messaggio dei vescovi toscaniI costi della guerra (di Romanello Cantini)Iraq, parla Warduni, il vescovo ausiliare di BaghdadMartini, la Toscana è con il PapaLa Carta dell'OnuOnu-Iraq, la risoluzione sul disarmoVai al sondaggio

Rinviato a un giorno imprecisato che potrebbe forse essere entro la settimana, il voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla questione irachena sta arroventando il clima del mondo, mezzi di informazione inclusi, soprattutto dopo le notizie secondo le quali la Francia, se necessario, farebbe ricorso al veto per bloccare la seconda risoluzione anglo-americano-spagnola e la Russia, nonostante alcuni segnali contraddittori giunti da Mosca, voterebbe per lo meno contro. Un quadro che sembra farsi sempre più fluido anche alla luce della ventilata ipotesi di un’ulteriore riscrittura del testo in questione.

Sul frenetico susseguirsi di ogni forma di attività diplomatica – o sugli imprevedibili e alterni sviluppi del “mercato dei voti” e delle minacce di veti o gli annunci di astensioni (il Pakistan?) – qualunque tentativo di cronaca appare esposto, da un’ora all’altra e da una fonte di informazione all’altra, al pericolo certo di imprecisione, smentita, correzione, rettifica, reinterpretazione, involontaria manipolazione. Programmi radio e televisivi, ma anche i titoloni dei giornali, nella migliore delle ipotesi hanno relegato in secondo, terzo o ultimo piano (dipende anche dalla convinzioni politiche) il segretario generale dell’Onu Kofi Annan e quel che ha detto all’Aja, dove si trova per partecipare martedì 11 marzo alla seduta inaugurale del Tribunale penale internazionale – a cui gli Stati Uniti non aderiscono – e già lunedì 10 per un incontro diplomatico sul futuro di Cipro. L’agenzia missionaria MISNA ha deciso di prepararne un ampio estratto, incluse alcune frasi minori e di circostanza, utili però a carpire e capire proprio quegli stati d’animo, toni, sfumature e atmosfere che i notiziari televisivi non hanno in pratica documentato. Segue quindi, con brevi incisi, una traduzione di gran parte del discorso con cui Annan ha aperto la conferenza-stampa tenuta ieri all’Aja, disponibile in sei lingue sul sito Internet dell’Onu.

“Signore e signori, so che molti di voi vorrebbero sapere come stanno andando i colloqui di Cipro. Mi perdonerete se non vi dico subito qualcosa, ma i colloqui continuano (….) Una delle difficoltà che mi trovo di fronte, in quest’ultima fase della ricerca di un accordo per Cipro, è che il nostro lavoro è stato coperto d’ombra dall’atmosfera di crisi e di grande ansia che colpisce il mondo intero. La questione del disarmo dell’Iraq ha portato la comunità internazionale a un punto pericoloso di divisione e di discordia. Sono certo che mi capirete se il resto delle mie parole riguarderà questo argomento”. E’ un’introduzione semplice ma vi si coglie una sorta di pathos. Dopo aver ribadito che non esistono dubbi sulla volontà comune di disarmare Saddam Hussein, Annan ha continuato: “In tutto il pianeta, la gente vuole vedere questa crisi risolta in maniera pacifica. C’è una preoccupazione diffusa sulle conseguenze a lungo termine della guerra in Iraq rispetto alla lotta contro il terrorismo, al processo di pace in Medio Oriente e per quel che riguarda la capacità del mondo di affrontare in futuro problemi comuni, se divisioni profonde vengono scavate oggi tra nazioni e tra popoli di religioni diverse. Non è assolutamente possibile coltivare illusioni su quel che la guerra significa. In determinate circostanze l’uso della forza può essere necessario per garantire una pace duratura. Ma la realtà è che la guerra, lunga o breve, causerebbe grandi sofferenze umane, potrebbe portare a instabilità regionali e a crisi economiche; e può portare – come spesso ha fatto in passato – a conseguenze non volute che producono nuove minacce e nuovi pericoli. La guerra deve essere sempre l’ultima risorsa, da usare solo se e quando ogni altra strada ragionevole per ottenere il disarmo dell’Iraq con strumenti pacifici fosse stata già interamente percorsa. Le Nazioni Unite, fondate per sottrarre generazione dopo generazione alla piaga della guerra, hanno il dovere di impegnarsi fino alla fine per la risoluzione pacifica dei conflitti”.

Le parole di Kofi Annan sembrano riecheggiare e comunque fanno tornare in mente quelle ascoltate più volte in questi ultimi mesi soltanto da Papa Giovanni Paolo II e da altri esponenti della Chiesa cattolica. Nessuna altra voce è stata così chiara e cristallina sul modo di risolvere il caso che sta sconvolgendo il mondo. L’uomo venuto dal Ghana a custodire il Palazzo di Vetro usa ovviamente il linguaggio della politica, anzi del diritto internazionale, ma il suo rifiuto della guerra, proprio per questo, rievoca anche l’art.11 della Costituzione italiana con cui sembra dialogare alla perfezione, in un’intesa solenne: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

“Signore e signori – ha ripreso il segretario dell’Onu, quasi a richiamare l’attenzione di tutti i presenti – i membri del Consiglio di Sicurezza sono di fronte a una grande scelta. Se non riescono a mettersi d’accordo su una posizione comune, e l’azione viene intrapresa senza l’autorità del Consiglio, la legittimazione e il sostegno per qualsiasi azione del genere risulteranno gravemente compromessi. Se invece riescono a unirsi, anche così tardi, per far fronte alla minaccia in maniera compatta e ad assicurare l’esecuzione delle precedenti risoluzioni, l’autorità del Consiglio verrà esaltata e il mondo sarà un posto più sicuro. L’Iraq non esiste infatti in un vacuum. Quello che accade lì avrà implicazioni profonde, per il meglio o per il peggio, su altri argomenti di grande importanza nell’area circostante e nel mondo. Più vasto sarà il consenso sull’Iraq, migliori saranno le possibilità di trovarci ancora uniti per gestire in maniera efficace altri brucianti conflitti nel mondo, a cominciare da quello tra israeliani e palestinesi. Solo una risoluzione giusta di quel conflitto può portare una speranza reale di stabilità duratura nell’area.

Toccato questo tasto dolente, la vera spina conficcata nel fianco del mondo, Annan è andato oltre il Medio Oriente e ha ricordato, tra gli altri punti oggi sofferenti del pianeta, per i quali l’unità e l’autorevolezza dell’Onu sono più che mai necessarie, la penisola coreana, la Costa d’Avorio, la Repubblica democratica del Congo. E le piaghe della povertà, dell’ignoranza e della malattia. Con tono convinto e accorato, non certo da “Cicero pro domo sua” come alcuni in malafede sembrano pensare, Annan ha concluso: “Comunque questo conflitto dovesse risolversi, le Nazioni Unite rimarranno comunque tanto importanti come lo sono oggi. In questi ultimi mesi abbiamo visto quale immenso significato Stati e popoli di tutto il mondo annettano alla legittimazione fornita dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e dalle Nazioni Unite stesse come struttura comune per garantire la pace. Mentre si avvicinano alla loro grave decisione, io devo solennemente raccomandare a tutti i membri del Consiglio di tenere tutto ciò in mente e di essere degni della fiducia che i popoli del mondo hanno in loro riposto“.

Rispondendo poi alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se un attacco all’Irak sferrato senza una seconda risoluzione che integri la 1441 potesse considerarsi un’infrazione della Carta dell’Onu, Annan ha precisato: “…la Carta è molto chiara sulle circostanze in cui può essere usata la forza (…) se gli Stati Uniti dovessero agire fuori dal Consiglio e scegliere l’azione militare, ciò non sarebbe in conformità con la Carta“.

Allo stato attuale, le posizioni dei 15 membri del Consiglio restano, a quanto pare, così distribuite: sei incerti e cioè Cile, Messico, Guinea, Angola, Camerun e Pakistan; quattro da una parte, Stati Uniti, Gran Bretagna, Spagna e Bulgaria; cinque dall’altra: Francia, Russia, Cina, Germania e Siria. Il diritto di veto è detenuto dai primi due Paesi del secondo gruppo e dai primi tre del terzo. E’ quasi una torre di Babele delle intenzioni. Nonostante l’accorato appello di Annan, saranno mai veramente componibili per una soluzione volta al bene supremo del mondo? (Mariano Benni)

Misna

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