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Iraq, operazione umanitaria

Non è poi così vicina come sembrava la partenza di militari italiani per l'Iraq. E comunque non saranno solo Carabinieri, ma un contingente rappresentativo di tutte le Forze armate. A spiegarcelo è il sottosegretario alla Difesa, il senatore toscano dellUdc Francesco Bosi, che è anche sindaco di Rio Marina, all'Isola d'Elba. Ma come si configura da un punto di vista di legittimità costituzionale questo intervento dei nostri militari? Lo abbiamo chiesto al costituzionalista Emanuele Rossi. DI ANDREA FAGIOLI

di Andrea Fagioli

Non è poi così vicina come sembrava la partenza di militari italiani per l’Iraq. E comunque non saranno solo Carabinieri, ma un contingente rappresentativo di tutte le Forze armate. A spiegarcelo è il sottosegretario alla Difesa, il senatore toscano dellUdc Francesco Bosi, che è anche sindaco di Rio Marina, all’Isola d’Elba. «La richiesta era per i Carabinieri, che soprattutto nei Balcani hanno dimostrato di saper assolvere in modo egregio al loro compito, ma non possiamo sguarnire gli organici interni. Si tratta nel complesso di 2.500-3.000 uomini, che andranno ad aggiungersi a quelli già impegnati in altre missioni come quella in Afghanistan. Non possiamo tenere fuori 10-12 mila uomini con costi particolarmente elevati e difficoltà di tourn over». Per il momento i Carabinieri italiani in Iraq sono quelli inviati a protezione della nostra ambasciata appena riaperta e dell’ospedale da campo della Croce Rossa in fase di montaggio a Baghdad la cui prima struttura, del tutto autosufficiente, sarà in grado di accogliere 40 persone tra malati e feriti. Materiale e personale specializzato sono partiti lunedì scorso da Torino e da Pisa con un Hercules «C130». I Carabinieri, una trentina in tutto, garantiranno la sicurezza dei lavori e poi la sicurezza interna all’ospedale per il cui completamento, il 3 maggio, una nave-traghetto salpa da La Spezia verso Akaba, nel Golfo Persico. Una volta a regime, l’ospedale impegnerà 120 operatori, potrà accogliere 60 pazienti ed affettuare fino a 400 prestazioni ambulatoriali al giorno. Per l’invio in Iraq del resto del contingente dell’Arma (circa 350 uomini), così come del grosso degli oltre 2 mila militari italiani, bisognerà, come detto, aspettare ancora. Bosi ipotizza almeno un altro mese. «Molto è già stato stabilito – dice il sottosegretario –, ma le variabili sono molte e noi non abbiamo fretta. Dobbiamo vedere cosa deciderà l’Onu e anche quello che decideranno gli altri Paesi europei, oltre a raccordarsi con il comando americano». Inoltre dovranno essere definite le regole di ingaggio, la cornice giuridica internazionale, la catena di comando, tenendo anche conto che agli italiani dovrebbe essere assegnata l’area meridionale dell’Iraq, fra Bassora e Umm Qasr, zone fra l’altro sotto il controllo degli inglesi. Insomma, tutte questioni delicate che sono in queste ore al centro di trattative. A dare quasi per scontata la partenza più o meno immediata erano stati proprio gli americani con il segretario alla difesa Donald Rumsfeld in testa. «Forse – dice Bosi sorridendo – il ministro americano non era bene informato». Prima ancora del contingente terrestre, potrebbe arrivare la Marina, visto che le navi italiane sono già in zona e la «San Giorgio» potrebbe operare come una sorta d’ospedale per le necessità di feriti e ammalati. «I marinai, a quel punto – spiega ancora Bosi –, potrebbero poi compiere anche azioni in terra». Ma come si configura questo intervento militare? «C’è già stato un voto in Parlamento che consente di inviare soldati per le necessità di carattere umanitario e a difesa delle attività civili», risponde il sottosegretario. «Non si configura comunque come guerra», precisa il costituzionalista Emanuele Rossi, che proprio su queste pagine intervenne in merito all’articolo 11 della Costituzione che «ripudia la guerra come strumento di offesa della libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». «L’articolo 11 – a giudizio del docente del Sant’Anna di Pisa – non limita questo tipo di operazioni in quanto non si tratta di interventi bellici». Anche se – chiediamo a Rossi – i militari italiani fossero chiamati a rispettare il codice di guerra anziché quello di pace? «Bisogna sapere – risponde – che l’Italia ogni sei mesi rinnova il mandato per le missioni militari umanitarie all’estero, come quella in Afghanistan, attraverso un decreto legge. Proprio in uno di questi decreti si disse che si poteva applicare il codice militare di guerra anche in tempo di pace. Quindi, dal punto di vista legislativo, l’applicazione del codice di guerra è sganciata dalla situazione o meno di pace. Resta comunque inteso che a queste missioni non possono partecipare i militari di leva, anche se ormai la questione sta per essere superata proprio con la fine della leva obbligatoria».