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MORTE WELBY, MONS. SGRECCIA: ‘PER IL SUO BENE O PER QUELLO DEL PARTITO?’

La vicenda di Piergiorgio Welby, a giudizio di mons. Elio Sgreccia, presidente dell’Istituto di bioetica dell’Università cattolica del Sacro Cuore, intervistato oggi da Radio Vaticana, “ha avuto una lunga polemica di carattere politico ed è stata anche caratterizzata da momenti giuridici. Dal punto di vista etico non si tratta, è stato detto, – di accanimento terapeutico. Questo va ripetuto, perché lo ha stabilito una commissione medica pienamente competente su questo fatto”. Si è, piuttosto, trattato, ha spiegato mons. Sgreccia, “di una richiesta di interruzione di cure”. Il trattamento a cui era sottoposto Welby “viene abitualmente somministrato ai malati di quel tipo di malattia, la gran parte di essi lo sopportano e lo desiderano, mentre in questo caso c’è stata una richiesta esplicita di rifiuto delle cure. Il rifiuto delle cure giuridicamente è ammesso dalla Costituzione italiana, però, manca la legge applicativa”. Dal punto di vista etico, dunque, “rifiutare le cure, se le cure sono proporzionate, è una richiesta illecita; però se il paziente insiste e rifiuta queste cure non lo si può costringere”; perciò, “il medico, che stacca la spina, si espone al giudizio della legge”.

Il caso Welby, secondo mons. Sgreccia, è difficile da capire: “Non possiamo sapere – ha osservato – se il paziente ha fatto richiesta (di interruzione delle cure, n.d.r.) perché rifiutava questo trattamento per lui insopportabile, e in qual caso la richiesta poteva essere moralmente lecita, oppure il paziente ne ha fatto richiesta per farne una battaglia politica e, quindi, per ottenere una legge che spiani la strada all’eutanasia”. Insomma, “questo fatto di aver ‘politicizzato’ il paziente, di averlo messo nelle condizioni di agganciare la sua richiesta ad una campagna pro-eutanasia, ha reso impossibile sapere se la sua richiesta era fondata sul suo bene o sul bene del suo partito”.

Certamente, ha aggiunto mons. Sgreccia, “di fronte alle prese di posizioni ideologiche, è necessario stabilire dei criteri chiari sia per quanto riguarda l’accanimento terapeutico, sul quale in un primo tempo si era impostato tutta la discussione, sia per quanto riguarda il rifiuto delle cure. Devono essere dei percorsi non solo etici, ma anche giuridici, perché eticamente si deve sapere quando è lecito rifiutare le cure e quando è lecito per il medico accettare questo rifiuto”. “Si deve poi sapere – ha concluso Sgreccia – da parte della legge cosa si deve fare quando il paziente rifiuta delle cure, anche in modo illecito e non motivato”.Sir