Mondo
Il sogno infranto del paese multietnico
Quarant’anni fa esistevano in Libano ben dodici confessioni cristiane che erano nel complesso maggioranza nel paese. La quasi totalità era costituita da cristiani maroniti ma accanto ai seguaci del santo eremita Marone c’erano melchiti, armeni, siriani, caldei, coopti, latini sia del ramo cattolico che ortodosso. E dall’altra parte musulmani sciiti, sunniti, drusi e alaviti.
Una democrazia seppure sui generis era garantita dal patto nazionale del 1943 quando le 18 comunità del paese avevano accettato una regola di partecipazione al potere che assegnava ai maroniti la presidenza della Repubblica e ai sunniti la presidenza del Consiglio fino a prevedere minutamente la divisione dei ministri e dei parlamentari fra le tante tutte indispensabili minoranze. Perfino lo scrittore marocchino Tahar Ben Jelloun ha esaltato «la libertà fondamentale che regnava a Beirut fino al 1975, libertà di dire, di scrivere o più semplicemente di muoversi».
Il paese dei cedri era allora «la Svizzera del Medio Oriente» non solo per il suo spirito di convivenza ma anche per la sua potenza finanziaria, per le sue 93 banche nazionali, per i grattacieli di Beirut ultramoderni seppure in triste contrasto con un Sud del paese povero, agricolo e arretrato.
Di fronte ad un esercito libanese di fatto inesistente anche la falange maronita si arma e anche i drusi formano un loro esercito privato.
Il 13 aprile 1975 quattro maroniti sono uccisi davanti alla chiesa di Nostra Signora della salute a Beirut. Nel pomeriggio i maroniti fanno strage di un camion di palestinesi che passa davanti alla chiesa: 27 morti. L’esplosione della guerra civile con i maroniti asserragliati a Beirut est ed i palestinesi e i loro alleati confinati a Beirut ovest. È una guerra fatta di assalti improvvisi, di cannonate e di tiri di cecchini, di attentati dinamitardi e di massacri orribili. Nel gennaio 1976 le milizie palestinesi assaltano il piccolo borgo cristiano di Damour a sud di Beirut e massacrano oltre 400 dei suoi abitanti. Pochi giorni dopo i falangisti aggrediscono il campo palestinese della Quarantina a Beirut e lasciano nel terreno più di cento morti.
Nel giugno 1976 le truppe siriane entrano nel Libano per portarvi l’ordine di Damasco e per punire i palestinesi di Arafat considerati troppo indipendenti dalla Siria. Nell’agosto 1976, dopo 54 giorni di assedio, cade il campo profughi palestinese di Tell Al Zatar: sotto le sue macerie ci saranno tremila morti fra cui donne e bambini.
I siriani con un esercito che oscilla fra i 35.000 e i 45.000 uomini rimarranno nel paese per trenta anni anche se la guerra intestina finisce nel 1990. I quindici anni di guerra civile hanno fatto 1.500.000 morti. Un milione di libanesi, in maggioranza cristiani, hanno lasciato il Libano. La presenza cristiana è ridotta al 37%.
Il 23 agosto viene eletto presidente della Repubblica Bechir Gemayel, il figlio di Pierre fondatore della Falange maronita. Appena ventidue giorni dopo una potente carica esplosiva fa saltare in aria il quartier generale di Gemayel insieme al neopresidente della repubblica. La Falange assale il campo profughi palestinese di Sabra e Chatila. In una notte si consuma il massacro di un migliaio di persone fra cui donne e bambini.
Anche la presenza della forza nazionale si dimostra impotente e dovrà alla fine battere in ritirata. Il 23 ottobre 1983, alle sei e mezzo del mattino, un camion esplosivo guidato da un kamikaze sfonda la protezione dell’accampamento americano e uccide 211 marines. Pochi minuti dopo un altro camion imbottito di tritolo sfonda il palazzo che ospita il contingente francese e massacra 54 parà. Reagan e Mitterand ritirano dal Libano le loro truppe. Il contingente italiano rimarrà ancora per pochi mesi. Ormai il compito di «pacificare» il Libano è lasciato in mano alle truppe di Damasco.
Nell’ottobre 2004 Rafic Hariri si dimette da presidente del consiglio del Libano per protestare contro le pressioni della Siria che vuole una modifica alla costituzione per prolungare il mandato del presidente della repubblica, il filo-siriano Emile Lahud, fino a nove anni.
Il 14 febbraio 2005 Hariri è assassinato. Centomila persone scendono in piazza a Beirut al grido: «Basta con la Siria». Il 20 febbraio il primo ministro Omar Kasamé si dimette provocando una grande manifestazione antisiriana in piazza dei Martiri. I siriani cominciano a ritirare le loro truppe dal paese.
Hezbollah riscuote un forte seguito fra la popolazione anche per le sue attività di carattere caritativo e assistenziale. Nel 2001 Hezbollah unito al movimento Amal ha vinto le elezioni nel Libano del Sud. È popolare fra la popolazione sciita che ormai rappresenta il 40% dei libanesi.
L’8 marzo dell’anno scorso Hezbollah ha organizzato a Beirut una manifestazione prosiriana a cui hanno partecipato 400.000 persone. In luglio 2005 Hezbollah entra a far parte del governo libanese ottenendo i ministeri del Lavoro, dell’Energia e degli Esteri.
Il 12 luglio scorso un comando di Hezbollah penetra in territorio israeliano, uccide otto soldati di Gerusalemme e ne fa prigionieri due. Immediatamente il governo israeliano di Olmert attacca il Libano per terra, per aria e per mare. Dopo 42 giorni di attacchi massicci nel Libano e di razzi che piovono sul nord di Israele, i libanesi, oltre alla distruzione di strade, ponti, porti e aeroporti a Beirut Sud contano oltre mille vittime contro le 180 di parte israeliana.
Nonostante l’enorme profusione di mezzi questa volta l’esercito israeliano non è riuscito a penetrare in territorio libanese se non per pochi chilometri. Ora per la sua resistenza all’attacco israeliano Hezbollah gode in Libano di una notevole popolarità.
La milizia di Hezbollah è costituita da 500-700 guerriglieri permanenti e da 3.000 miliziani di riserva. Si è dotata di missili di lunga gittata capaci di raggiungere il territorio di Israele da una distanza di 70 chilometri e di mezzi anticarro.
Dopo il ritiro dell’esercito israeliano dal Sud del Libano di sei anni fa Hezbollah ha costruito una grande rete di gallerie e di depositi sotterranei per nascondere e per proteggere le proprie armi. Secondo alcune dichiarazioni di suoi esponenti Hezbollah ha intenzione di rispettare la tregua, ma non di consegnare le armi.
Fra le regole di ingaggio della forza di pace c’è il diritto alla autodifesa in caso di attacco, l’uso delle armi se è necessario difendere dei civili e l’impiego della forza per allontanare qualsiasi milizia nel caso che intendesse servirsi della presenza dei Caschi Blu come scudo.