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Siria, testimonianza da Aleppo, dove si prepara lo scontro forse decisivo
«Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere». È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell'opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città.
«Ci sono scontri in atto in diverse zone e quartieri della città. Si odono continui colpi di arma da fuoco, tanti scoppi, alcuni molto forti, forse di mortaio. Siamo molto preoccupati perché non sappiamo cosa accadrà e a cosa andremo incontro. Si dice che si stia preparando una battaglia, che genere di conflitto sarà, quando comincerà e quanto durerà non lo possiamo sapere. Non possiamo fare altro che sperare in un compromesso che eviti uno spargimento di sangue, vittime innocenti. Altro sangue non farà che aumentare l’odio, le divisioni, e la distanza tra le parti». È una voce affranta quella di mons. Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo greco-melkita di Aleppo, la seconda città siriana, snodo economico della nazione, dove da giorni si stanno ammassando le truppe regolari del presidente Assad per cacciare le forze dell’opposizione armata barricate in alcuni quartieri della città. Si parla di 20 mila soldati pronti a sferrare un attacco che potrebbe rivelarsi decisivo per le sorti del conflitto. Alla capacità militare di Assad non corrisponde, però, un’altrettanta potenza politica soprattutto dopo la fuga in Giordania del premier, nominato solo un mese fa, Riad Hijab. Una defezione che, per gli analisti, è un segnale che il regime sarebbe avviato alla disgregazione. “L’abbandono dell’ex premier – dichiara il presule – mostrerebbe una certa debolezza del regime e getta sul popolo un ulteriore motivo di preoccupazione. Politica e diplomazia cerchino vie di dialogo che è quello che il popolo vuole ed auspica, non il suono cupo delle armi”. Invece, “siamo costretti ad assistere a scelte totalmente opposte, basti pensare alla decisione del presidente Usa, Barack Obama, di autorizzare missioni segrete in sostegno dei ribelli. Non è da oggi che gli Usa spingono in questa direzione”.
Un Paese in ginocchio. Chi è già in ginocchio è il Paese: dal marzo 2011, inizio del conflitto, i morti – secondo stime dell’Osservatorio siriano per i diritti umani – sarebbero oltre 21 mila, gli sfollati ancora in Siria un milione e mezzo. Centinaia di migliaia quelli fuggiti in Turchia, Libano e Giordania. L’economia è ferma, manca il lavoro e l’emergenza umanitaria è sempre più vicina, complici anche le sanzioni adottate dalla comunità internazionale.
Una città paralizzata. Contattato telefonicamente da Daniele Rocchi, per il Sir, l’arcivescovo non nasconde la sua “paura per quello che potrà accadere una volta che la città dovesse cadere in mano ad una delle due parti in lotta”. Aleppo, spiega mons. Jeanbart, “è una città strategica. Il suo Governatorato conta oltre 5 milioni di abitanti ed è un centro importante per l’economia, l’arte, la storia e la cultura. Ha un’età di settemila anni. Sarebbe un grave danno, non solo per la Siria ma per tutta l’umanità, che venisse distrutta nello scontro che si prepara. Faccio appello a tutti coloro che hanno qualche responsabilità affinché sia il dialogo a prevalere e non le armi”. Una preoccupazione condivisa con tutti gli altri confratelli vescovi della città, “con i quali mi sento tutti i giorni. Non sappiamo cosa succederà e la paura sale ogni ora di più specialmente davanti alla non remota eventualità che i quartieri dove vivono i cristiani vengano occupati dai combattenti anti regime, tra i quali ci sono bande islamiste. Abbiamo paura che anche ad Aleppo accada ciò che è successo ad Homs dove i quartieri abitati dai cristiani sono diventati teatro di scontri violenti costringendo i nostri fedeli a fuggire. I ribelli che combattono contro l’esercito di Assad – aggiunge l’arcivescovo greco-melkita – non sono tutti siriani, ma vengono da Egitto, Giordania, Libia, Turchia ed anche dall’Europa. Jaidisti – rivela – sono arrivati anche dal Belgio”. Mons. Jeanbart parla di una città “paralizzata dalla paura, in cui è sempre più difficile muoversi, dove il pericolo è in agguato, ma dove i cristiani non cessano di fare la loro parte portando aiuto a chi è nel bisogno maggiore. Come già detto in altre occasioni, abbiamo costituito un coordinamento di 11 laici, di tutte le denominazioni cristiane presenti ad Aleppo, con il compito di fare fronte alle esigenze delle persone e famiglie in difficoltà. Stanno coordinando le opere di solidarietà che ogni comunità locale ha messo in piedi. Ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno adesso è che ci sia chi spinga verso il negoziato e la pacificazione. Oggi, devo dire, che l’unica personalità al mondo a credere nella forza del dialogo per dirimere questa crisi è il papa, Benedetto XVI. Non c’è altra soluzione per la nostra nazione! Voglio sperare che questa fase di attesa prima dell’attacco nasconda l’estremo tentativo di trovare un accordo per una transizione pacifica. Purtroppo un simile accordo è possibile solo se a parlare ci sono persone che hanno a cuore le sorti della Siria. Ma ce ne sono?”.