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CONSULTA: PATENTE A PUNTI, NORMA IN PARTE ILLEGITTIMA

La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 126 bis comma 2 del decreto legislativo 285 del ’92 (nuovo codice della strada) nella parte in cui prevede che, in caso di mancata identificazione del trasgressore, i punti devono esser tolti al proprietario del veicolo, salvo che questi non comunichi, entro 30 giorni, il nome e la patente di chi guidava in quel momento l’auto. La Corte Costituzionale ha stabilito infatti che se non vi è l’identificazione del guidatore, resta l’obbligo per il proprietario di fornire, entro 30 giorni, il nome e il numero della patente di chi ha commesso la violazione, ma se ciò non avviene a carico del proprietario dell’auto scatta solo la sanzione pecuniaria, e non quella accessoria della decurtazione dei punti.

A sollevare la questione di legittimità della norma, sotto diversi profili, sono stati numerosi giudici di pace (Voltri, Mestre, Ficarolo, Bra, Montefiascone, Lanciano, Carrara e di Casale Monferrato). La Consulta, ha ritenuto «fondate le censure di violazione dell’art. 3 sotto il profilo dell’irragionevolezza della disposizione, nel senso che – si legge nella sentenza scritta dal giudice costituzionale Alfonso Quaranta – essa dà vita a una sanzione assolutamente sui generis», in quanto la sanzione, «pur essendo di natura personale, non appare riconducibile ad un contegno direttamente posto in essere dal proprietario del veicolo e consistente nella trasgressione di una specifica norma relativa alla circolazione stradale». In altre parole, se a violare il codice della strada è stata un’altra persona diversa dal proprietario dell’auto, per la Corte è irragionevole che quest’ultimo rischi di vedersi togliere i punti dalla patente. Si tratta – spiega la Consulta – di «una ipotesi di sanzione di carattere schiettamente personale», che «viene direttamente ad incidere sull’autorizzazione alla guida». Per la Consulta, infatti, è infatti «una ipotesi di illecito amministrativo che, per più aspetti, appare assimilabile a quella della sospensione della patente». «È, in effetti, proprio la peculiare natura della sanzione prevista dall’art. 126-bis, al pari della sospensione della patente incidente anch’essa sulla “legittimazione soggettiva alla conduzione di ogni veicolo”, che – afferma la Corte Costituzionale – fa emergere l’irragionevolezza della scelta legislativa di porre la stessa a carico del proprietario del veicolo che non sia anche il responsabile dell’infrazione stradale».

Stabilito che al proprietario dell’auto non possono essere tolti i punti della patente se l’infrazione è stata commessa da un’altra persona alla guida del mezzo, la Corte Costituzionale precisa che la sanzione pecuniaria resta: «Nel caso in cui il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente e del conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’art. 180, comma 8, del codice della strada». «In tal modo – specifica la Corte – viene anche fugato il dubbio” riguardo a «una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra i proprietari dei veicoli, discriminati a seconda della loro natura di persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base alla alla circostanza meramente accidentale, che le stesse siano munite o meno di patente». A fare ricorso alla Consulta erano stati i giudici di pace di Voltri, Mestre, Ficarolo, Bra, Montefiascone, Lanciano, Carrara e di Casale Monferrato: di numerose questioni di legittimità sollevate dai giudici di pace in fatto di norme sulla patente a punti, la Corte ha ritenuto fondata solo questa.