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RUANDA, INIZIA PROCESSO PER GENOCIDIO A PADRE SEROMBA. SOLIDARIETA’ DA EX PARROCCHIANI FIORENTINI
Genocidio, istigazione al genocidio e crimini contro l’umanità: questi i principali capi d’accusa contro padre Athanase Seromba, prete cattolico, il cui processo inizia oggi dinanzi al Tribunale Internazionale di Arusha (Tanzania) chiamato a giudicare i principali responsabili del genocidio che sconvolse il Ruanda 10 anni fa: 800.000 persone massacrate in meno di tre mesi, quasi tutti di etnia tutsi, ma anche hutu moderati. Padre Seromba, che si proclama innocente, si era consegnato alle autorità, che lo ricercavano, nel febbraio dello scorso anno a Firenze dove, dal ’97 e malgrado le accuse che pendevano sul suo capo, svolgeva il suo esercizio pastorale. L’accusa – con molte e tragiche testimonianze a supporto – sostiene che il prete diresse una delle più orribili stragi avvenute durante la mattanza del Ruanda. Era curato della parrocchia di Nyange, dove circa 2.000 tutsi della zone avevano cercato rifugio. Ma invece di proteggerli, ne avrebbe programmato – sempre stando all’accusa – lo sterminio. Avrebbe chiamato le milizie di estremisti hutu (lui stesso è un hutu), che cominciarono a bombardare la chiesa, e quindi la spianarono, mentre i 2.000 disperati erano ancora all’interno, con i bulldozer. Quei pochi che riuscirono a fuggire, furono ripresi e massacrati. Padre Seromba avrebbe poi detto ai criminali: «Ora levatemi di qui questa immondizia»: e così i miseri resti furono buttati alla rinfusa in fosse comuni. Dopo la strage della chiesa, la mattanza continuò: i circa 6.000 tutsi della zona furono ammazzati tutti.
Il Tribunale Internazionale di Arusha è stato costituito alla fine del ’94. Finora ha sentenziato 19 condanne, e tre assoluzione. Padre Seromba è il primo prete cattolico ad essere giudicato; in precedenze lo era stato un pastore avventista della Chiesa del Settimo Giorno (Elizaphan Ntakirutimana, condannato a 10 anni), mentre un ministro anglicano, Samuel Musabymana, è morto in detenzione (prigioni molto confortevoli, peraltro, quelle di Arusha destinate agli imputati del genocidio ruandase) nel gennaio dello scorso anno, prima che il suo processo iniziasse.
Una lettera di solidarietà al sacerdote ruandese giunge dal «Comitato soccorso padre Atanasio», composta da parrocchiani dell’Immacolata a Montughi e di San Mauro a Signa, le due chiese fiorentine dove il sacerdote esercitò il suo ministero pastorale dal 1997 al 2002. «Alla infamante accusa don Atanasio ha sempre gridato la sua innocenza si legge nella lettera – e poiché l’innocente vuole la verità, don Atanasio, non appena gli fu legalmente possibile, volle consegnarsi, nel febbraio 2002, al Tpir delle Nazioni Unite: alla organizzazione mondiale verso la quale sono rivolte le speranze degli offesi per un mondo migliore. Ferma è sempre stata in don Atanasio la fiducia nella giustizia come ferma la speranza di essere rapidamente giudicato per dimostrare la falsità delle accuse e la conseguente necessità di fare chiarezza quel tormentato, buio, recente periodo della storia del suo Paese e dell’Africa».
I fedeli «che hanno conosciuto don Atanasio per la sua caritatevole attività sacerdotale si legge ancora nel documento – testimoniano a lui i sentimenti di stima e di affetto, sin dal dicembre del 2002, con la costituzione del Comitato soccorso don Atanasio, e per essergli, ora, ancor più vicini hanno indetto per domenica 19 settembre una speciale preghiera durante la S. Messa delle ore 11 e per il 20 settembre alle ore 21,15 una Preghiera particolare nella Chiesa stessa. Si vuole con la preghiera, legame perenne di solidale carità cristiana, sentirsi vicini all’uomo e al sacerdote Atanasio così ingiustamente accusato».