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RAPPORTO 2003 ISTAT: L’ITALIA È IN UNA FASE INQUIETA. OCCORRE UN SALTO DI QUALITÀ

Un’Italia in affanno, in una “fase inquieta”, ancora alle prese con gli effetti della stagnazione economica che si trascina dal 2001. È questa la fotografia dell’Istat nel Rapporto annuale 2003 sulla situazione del Paese, presentato oggi a Roma. “L’Italia – dice Luigi Biggeri, presidente dell’Istat – continua a fare sforzi per mantenere la posizione, ma non si organizza per investire a sufficienza in comportamenti propulsivi, limitandosi a tenere il minimo. Se vogliamo avere un ruolo più avanzato occorre un salto di qualità”. Non solo riforme strutturali, quindi, ma “una più equa distribuzione del reddito e del lavoro, uno sviluppo dei consumi e un sistema di welfare più attento ai bisogni reali dei cittadini, compresi gli immigrati”. Aumentano “le incertezze sul futuro e il clima di sfiducia”, e in generale il Paese “sembra non saper andare oltre le sfere individuali”.

Il ‘buco nero’ che preoccupa di più è la “caduta verticale della competitività”. “Non si può rinviare il rilancio degli investimenti – prosegue Biggeri – e soprattutto quell’insieme di presenze istituzionali, di conoscenze tecnologiche, di vocazioni imprenditoriali, di cooperazione tra le imprese e di comportamenti sociali che consentirebbero di aumentare il potenziale di sviluppo dell’economia”.

A partire dal 2002 la crescita dell’economia italiana rallenta rispetto ai 5 anni precedenti. Nel 2003 il Pil, che misura la ricchezza del Paese, è cresciuto di appena lo 0,3% (0,2% nel 2002), in linea con i Paesi dell’Eurozona (0,4%) ma inferiore al 2,7% del Pil mondiale. I consumi sono fermi (1,3% del Pil), gli investimenti fissi lordi diminuiscono del 2,1%, il risultato peggiore dal 1993. Le esportazioni si contraggono del 4% (-1,4% nel 2002) anche per effetto del rafforzamento dell’euro sul dollaro, ma anche le importazioni calano dell’1,6%. Rallenta l’attività produttiva in tutti i settori, a eccezione delle costruzioni. L’inflazione si stabilizza sul 2,3%, un tasso elevato. Cala la produttività, i salari segnano una modesta accelerazione e l’occupazione cresce solo dell’1% (+ 225mila occupati). Il tasso di occupazione italiano è ampiamente al di sotto della media Ue, mentre scende la disoccupazione all’8,7% (dal 9% nel 2002). Il rapporto debito/Pil passa dal 108 al 106,2% ed è il più alto dell’Ue. L’Unione europea a 25 Paesi diventa la prima area per dimensione economica del mondo, con una produzione pari al 21% del Pil mondiale, il 41% delle esportazioni mondiali e 455 milioni di abitanti. È quanto risulta dal Rapporto annuale 2003 dell’Istat. Ma l’ingresso di 10 Paesi ha comportato la riduzione del 9% del Pil pro capite medio dell’Ue25 rispetto all’Ue15 e l’aumento di un punto nel tasso di disoccupazione (dall’8 al 9%). Il divario rimane quindi elevato.

L’allargamento comporterà inoltre l’uscita di molte regioni europee dalle aree di intervento di Obiettivo per la ripartizione dei Fondi strutturali europei, tra queste anche la Basilicata e la Sardegna. Allarmanti i dati sulla povertà. Il 15% degli abitanti della vecchia Europa (55 milioni di persone) è a rischio povertà.

Nel 2002 risultano povere 2 milioni 456 mila famiglie italiane (l’11% del totale) . L’8% delle famiglie (1 milione e 800 mila) è quasi povero. 14 famiglie su 100 hanno difficoltà nel sostenere le spese per l’affitto, il 9% ha problemi per pagare le bollette e comprare vestiti. Aumentano le donne lavoratrici, ma il 36% delle neo-madri ha difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia. Tra i neo-padri solo il 7% fruisce del congedo parentale (contro il 27,1% delle donne) e solo il 4% intende fruirne in futuro. Sei bambini su 10 sono affidati ai nonni e solo 2 frequentano l’asilo nido (mancanza di posti, rette troppo onerose, carenza di asili nel comune di residenza). Il 45,2% delle madri usa la flessibilità dell’orario di lavoro.

Il volontariato è una componente ormai strutturale del panorama sociale del Paese. I volontari sono 4 milioni, il 51,4% svolge l’attività per associazioni o gruppi ‘laici’, ma il dato varia nelle diverse aree territoriali. Al Sud i volontari operano maggiormente in associazioni di ispirazione religiosa. Sir