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Discorso al Corpo diplomatico per gli auguri 2017
Eccellenze, cari Ambasciatori, Signore e Signori,
Vi do il benvenuto e Vi ringrazio per la Vostra presenza così numerosa e attenta a questo tradizionale appuntamento che permette di scambiarci vicendevolmente l’augurio che l’anno da poco iniziato sia per tutti un tempo di gioia, di prosperità e di pace. Un particolare sentimento di riconoscenza rivolgo al Decano del Corpo Diplomatico, Sua Eccellenza il Signor Armindo Fernandes do Espírito Santo Vieira, Ambasciatore di Angola, per le deferenti parole di saluto che ha rivolto a nome dell’intero Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, il quale si è recentemente allargato in seguito all’allacciamento dei rapporti diplomatici con la Repubblica Islamica di Mauritania, avvenuto un mese fa. Desidero parimenti esprimere gratitudine ai molti Ambasciatori residenti nell’Urbe, il cui numero si è accresciuto nel corso dell’ultimo anno, come pure agli Ambasciatori non residenti, che con la loro presenza odierna intendono sottolineare i vincoli di amicizia che uniscono i loro popoli alla Santa Sede. In pari tempo, mi è caro rivolgere una particolare espressione di cordoglio all’Ambasciatore della Malesia, ricordando il suo predecessore, Dato’ Mohd Zulkephli Bin Mohd Noor, deceduto nel febbraio scorso.
Nel corso dell’anno passato, i rapporti fra i Vostri Paesi e la Santa Sede hanno avuto occasione di approfondirsi ulteriormente grazie alle gradite visite di numerosi Capi di Stato e di Governo, anche in concomitanza con i vari appuntamenti che hanno costellato il Giubileo straordinario della Misericordia, da poco conclusosi. Diversi sono stati pure gli Accordi bilaterali firmati o ratificati, sia di carattere generale, volti a riconoscere lo statuto giuridico della Chiesa, con la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centroafricana, il Benin e con Timor-Leste, sia di carattere più specifico come l’Avenant siglato con la Francia, o la Convenzione in materia fiscale con la Repubblica Italiana, recentemente entrata in vigore, ai quali si aggiunge il Memorandum d’Intesa tra la Segreteria di Stato e il Governo degli Emirati Arabi Uniti. Inoltre, nella prospettiva dell’impegno della Santa Sede a tener fede alle obbligazioni assunte dagli accordi sottoscritti, è stata data anche piena attuazione al Comprehensive Agreement con lo Stato di Palestina, entrato in vigore un anno fa.
Cari Ambasciatori,
un secolo fa, il mondo si trovava nel pieno del primo conflitto mondiale. Una inutile strage
Vorrei perciò dedicare l’incontro odierno al tema della sicurezza e della pace, poiché nel clima di generale apprensione per il presente e d’incertezza e di angoscia per l’avvenire, nel quale ci troviamo immersi, ritengo importante rivolgere una parola di speranza, che indichi anche una prospettiva di cammino.
Proprio alcuni giorni fa abbiamo celebrato la 50
In tale prospettiva esprimo il vivo convincimento che ogni espressione religiosa sia chiamata a promuovere la pace. L’ho potuto sperimentare in modo significativo nel corso della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace, tenutasi ad Assisi nel settembre scorso, durante la quale i rappresentanti delle diverse religioni si sono trovati per «dar voce insieme a quanti soffrono, a quanti sono senza voce e senza ascolto»
Sappiamo come non siano mancate violenze religiosamente motivate, a partire proprio dall’Europa, dove le storiche divisioni fra i cristiani sono durate troppo a lungo. Nel mio recente viaggio in Svezia ho inteso richiamare l’urgente bisogno di sanare le ferite del passato e camminare insieme verso mete comuni. Alla base di tale cammino non può che esservi il dialogo autentico fra le diverse confessioni religiose. È un dialogo possibile e necessario, come ho cercato di testimoniare nell’incontro avvenuto a Cuba con il Patriarca Cirillo di Mosca, come pure nel corso dei viaggi apostolici in Armenia, Georgia e Azerbaigian, dove ho percepito la giusta aspirazione di quelle popolazioni a ricomporre i conflitti che da anni pregiudicano la concordia e la pace.
In pari tempo, è opportuno non dimenticare le molteplici opere, religiosamente ispirate, che concorrono, talvolta anche con il sacrificio dei martiri, all’edificazione del bene comune, attraverso l’educazione e l’assistenza, soprattutto nelle regioni più disagiate e nei teatri di conflitto. Tali opere contribuiscono alla pace e danno testimonianza di come si possa concretamente vivere e lavorare insieme, pur appartenendo a popoli, culture e tradizioni differenti, ogniqualvolta si colloca al centro delle proprie attività la dignità della persona umana.
Purtroppo, siamo consapevoli di come ancor oggi, l’esperienza religiosa, anziché aprire agli altri, possa talvolta essere usata a pretesto di chiusure, emarginazioni e violenze. Mi riferisco particolarmente al terrorismo di matrice fondamentalista, che ha mietuto anche lo scorso anno numerose vittime in tutto il mondo: in Afghanistan, Bangladesh, Belgio, Burkina Faso, Egitto, Francia, Germania, Giordania, Iraq, Nigeria, Pakistan, Stati Uniti d’America, Tunisia e Turchia. Sono gesti vili, che usano i bambini per uccidere, come in Nigeria; prendono di mira chi prega, come nella Cattedrale copta del Cairo, chi viaggia o lavora, come a Bruxelles, chi passeggia per le vie della città, come a Nizza e a Berlino, o semplicemente chi festeggia l’arrivo del nuovo anno, come a Istanbul.
Si tratta di una follia omicida che abusa del nome di Dio per disseminare morte, nel tentativo di affermare una volontà di dominio e di potere. Faccio perciò appello a tutte le autorità religiose perché siano unite nel ribadire con forza che non si può mai uccidere nel nome di Dio. Il terrorismo fondamentalista è frutto di una grave miseria spirituale, alla quale è sovente connessa anche una notevole povertà sociale. Esso potrà essere pienamente sconfitto solo con il comune contributo dei leader religiosi e di quelli politici. Ai primi spetta il compito di trasmettere quei valori religiosi che non ammettono contrapposizione fra il timore di Dio e l’amore per il prossimo. Ai secondi spetta garantire nello spazio pubblico il diritto alla libertà religiosa, riconoscendo il contributo positivo e costruttivo che essa esercita nell’edificazione della società civile, dove non possono essere percepite come contraddittorie l’appartenenza sociale, sancita dal principio di cittadinanza, e la dimensione spirituale della vita. A chi governa compete, inoltre, la responsabilità di evitare che si formino quelle condizioni che divengono terreno fertile per il dilagare dei fondamentalismi. Ciò richiede adeguate politiche sociali volte a combattere la povertà, che non possono prescindere da una sincera valorizzazione della famiglia, come luogo privilegiato della maturazione umana, e da cospicui investimenti in ambito educativo e culturale.
Al riguardo, accolgo con interesse l’iniziativa del Consiglio d’Europa sulla dimensione religiosa del dialogo interculturale, che lo scorso anno ha messo a tema il ruolo dell’educazione nella prevenzione della radicalizzazione che conduce al terrorismo e all’estremismo violento. Si tratta di un’opportunità per approfondire il contributo del fenomeno religioso e il ruolo dell’educazione a una vera pacificazione del tessuto sociale, necessaria per la convivenza in una società multiculturale.
In tal senso, desidero esprimere il convincimento che ogni autorità politica non debba limitarsi a garantire la sicurezza dei propri cittadini – concetto che può facilmente ricondursi ad un semplice “quieto vivere” – ma sia chiamata anche a farsi vera promotrice e operatrice di pace. La pace è una “virtù attiva”, che richiede l’impegno e la collaborazione di ogni singola persona e dell’intero corpo sociale nel suo insieme. Come osservava il Concilio Vaticano II, «la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente»
Edificare la pace esige anche che «si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre»
Sono convinto che per molti il Giubileo straordinario della Misericordia sia stata un’occasione particolarmente propizia anche per scoprire la «grande e positiva incidenza della misericordia come valore sociale»
Lo scorso anno la comunità internazionale si è confrontata con due importanti appuntamenti convocati dalle Nazioni Unite: il primo Vertice Umanitario Mondiale e il Vertice sui Vasti Movimenti di Rifugiati e Migranti. Occorre un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa. Ciò implica saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse»
Un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione. Soprattutto non si può ridurre la drammatica crisi attuale ad un semplice conteggio numerico. I migranti sono persone, con nomi, storie, famiglie e non potrà mai esserci vera pace finché esisterà anche un solo essere umano che viene violato nella propria identità personale e ridotto ad una mera cifra statistica o ad oggetto di interesse economico.
Il problema migratorio è una questione che non può lasciare alcuni Paesi indifferenti, mentre altri sostengono l’onere umanitario, non di rado con notevoli sforzi e pesanti disagi, di far fronte ad un’emergenza che non sembra aver fine. Tutti dovrebbero sentirsi costruttori e concorrenti al bene comune internazionale, anche attraverso gesti concreti di umanità, che costituiscono fattori essenziali di quella pace e di quello sviluppo che intere nazioni e milioni di persone attendono ancora. Sono perciò grato ai tanti Paesi che con generosità accolgono quanti sono nel bisogno, a partire dai diversi Stati europei, specialmente l’Italia, la Germania, la Grecia e la Svezia.
Mi rimarrà sempre impresso il viaggio che ho compiuto nell’isola di Lesvos, insieme ai miei fratelli il Patriarca Bartolomeo e l’Arcivescovo Ieronymos, dove ho visto e toccato con mano la drammatica situazione dei campi profughi, ma anche l’umanità e lo spirito di servizio delle molte persone impegnate per assisterli. Né bisogna dimenticare l’accoglienza offerta da altri Paesi europei e del Medio Oriente, quali il Libano, la Giordania, la Turchia, come pure l’impegno di diversi Paesi dell’Africa e dell’Asia. Anche nel corso del mio viaggio in Messico, dove ho potuto sperimentare la gioia del popolo messicano, mi sono sentito vicino alle migliaia di migranti dell’America Centrale, che patiscono terribili ingiustizie e pericoli nel tentativo di poter avere un futuro migliore, vittime di estorsione e oggetto di quel deprecabile commercio – orribile forma di schiavitù moderna – che è la tratta delle persone.
Nemica della pace è una tale “visione ridotta” dell’uomo, che presta il fianco al diffondersi dell’iniquità, delle disuguaglianze sociali, della corruzione. Proprio nei confronti di quest’ultimo fenomeno, la Santa Sede ha assunto nuovi impegni, depositando, formalmente lo scorso 19 settembre, lo strumento di adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Corruzione, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003.
Nella sua Enciclica Populorum progressio, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario, il beato Paolo VI ricordava come tali disuguaglianze provochino discordie. «Il cammino della pace passa attraverso lo sviluppo»
I bambini e i giovani sono il futuro, sono coloro per i quali si lavora e si costruisce. Non possono venire egoisticamente trascurati e dimenticati. Per tale ragione, come ho richiamato recentemente in una lettera inviata a tutti i Vescovi, ritengo prioritaria la difesa dei bambini, la cui innocenza è spesso spezzata sotto il peso dello sfruttamento, del lavoro clandestino e schiavo, della prostituzione o degli abusi degli adulti, dei banditi e dei mercanti di morte
Nel corso del mio viaggio in Polonia, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù, ho avuto modo di incontrare migliaia di giovani, pieni di entusiasmo e di gioia di vivere. Di tanti altri ho però visto il dolore e la sofferenza. Penso ai ragazzi e alle ragazze che subiscono le conseguenze dell’atroce conflitto in Siria, privati delle gioie dell’infanzia e della giovinezza: dalla possibilità di giocare liberamente all’opportunità di andare a scuola. A loro e a tutto il caro popolo siriano va il mio costante pensiero, mentre faccio appello alla comunità internazionale perché si adoperi con solerzia per dare vita ad un negoziato serio, che metta per sempre la parola fine al conflitto, che sta provocando una vera e propria sciagura umanitaria. Ciascuna delle parti in causa deve ritenere come prioritario il rispetto del diritto umanitario internazionale, garantendo la protezione dei civili e la necessaria assistenza umanitaria alla popolazione. Il comune auspicio è che la tregua recentemente firmata possa essere un segno di speranza per tutto il popolo siriano, che ne ha profonda necessità.
Ciò esige anche che ci si adoperi per debellare il deprecabile commercio delle armi e la continua rincorsa a produrre e diffondere armamenti sempre più sofisticati. Notevole sconcerto destano gli esperimenti condotti nella penisola coreana, che destabilizzano l’intera regione e pongono inquietanti interrogativi all’intera comunità internazionale circa il rischio di una nuova corsa alle armi nucleari. Rimangono ancora molto attuali le parole di san Giovanni XXIII nella Pacem in terris, allorché affermava che «saggezza ed umanità domandano che venga arrestata la corsa agli armamenti, si riducano simultaneamente e reciprocamente gli armamenti già esistenti; si mettano al bando le armi nucleari»
Anche per quanto riguarda gli armamenti convenzionali, occorre rilevare che la facilità con cui non di rado si può accedere al mercato delle armi, anche di piccolo calibro, oltre ad aggravare la situazione nelle diverse aree di conflitto, produce un diffuso e generale sentimento di insicurezza e di paura, tanto più pericoloso, quanto più si attraversano momenti di incertezza sociale e cambiamenti epocali come quello attuale.
Nemica della pace è l’ideologia che fa leva sui disagi sociali per fomentare il disprezzo e l’odio e che vede l’altro come un nemico da annientare. Purtroppo nuove forme ideologiche si affacciano continuamente all’orizzonte dell’umanità. Mascherandosi come portatrici di bene per il popolo, lasciano invece dietro di sé povertà, divisioni, tensioni sociali, sofferenza e non di rado anche morte. La pace, invece, si conquista con la solidarietà. Da essa germoglia la volontà di dialogo e la collaborazione, che trova nella diplomazia uno strumento fondamentale. Nella prospettiva della misericordia e della solidarietà si colloca l’impegno convinto della Santa Sede e della Chiesa cattolica nello scongiurare i conflitti o nell’accompagnare processi di pace, di riconciliazione e di ricerca di soluzioni negoziali agli stessi. Rincuora poter vedere che alcuni tentativi intrapresi incontrano la buona volontà di tante persone che, da più parti, si adoperano attivamente e fattivamente per la pace. Penso agli sforzi compiuti nell’ultimo biennio per riavvicinare Cuba e gli Stati Uniti. Penso anche allo sforzo intrapreso con tenacia, seppure fra difficoltà, per terminare anni di conflitto in Colombia.
Tale approccio intende favorire la fiducia reciproca, sostenere cammini di dialogo e sottolineare la necessità di gesti coraggiosi, che sono quanto mai urgenti anche nel vicino Venezuela, dove le conseguenze della crisi politica, sociale ed economica, stanno da tempo gravando sulla popolazione civile; o in altre parti del globo, a cominciare dal Medio Oriente, non solo per porre fine al conflitto siriano, ma anche per favorire società pienamente riconciliate in Iraq e in Yemen. La Santa Sede rinnova inoltre il suo pressante appello affinché riprenda il dialogo fra Israeliani e Palestinesi, perché si giunga ad una soluzione stabile e duratura che garantisca la pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti. Nessun conflitto può diventare un’abitudine dalla quale sembra quasi che non ci si riesca a separare. Israeliani e Palestinesi hanno bisogno di pace. Tutto il Medio Oriente ha urgente bisogno di pace!
Parimenti auspico la piena attuazione degli accordi volti a ristabilire la pace in Libia, dove è quanto mai urgente ricomporre le divisioni di questi anni. Allo stesso modo incoraggio ogni sforzo a livello locale e internazionale per ripristinare la convivenza civile in Sudan, in Sud Sudan e nella Repubblica Centroafricana, martoriate da persistenti scontri armati, massacri e devastazioni, come pure in altre Nazioni del continente segnate da tensioni e instabilità politica e sociale. In particolare, esprimo l’auspicio che il recente accordo firmato nella Repubblica Democratica del Congo contribuisca a far sì che quanti hanno responsabilità politiche si adoperino con solerzia per favorire la riconciliazione e il dialogo fra tutte le componenti della società civile. Il mio pensiero va, inoltre, al Myanmar affinché si favorisca una pacifica coesistenza e, con l’aiuto della comunità internazionale, non si manchi di assistere coloro che ne hanno grave e urgente necessità.
Anche in Europa, dove non mancano le tensioni, la disponibilità al dialogo è l’unica via per garantire la sicurezza e lo sviluppo del continente. Accolgo pertanto con favore le iniziative volte a favorire il processo di riunificazione di Cipro – proprio oggi riprendono i negoziati –, mentre auspico che in Ucraina si prosegua con determinazione nella ricerca di soluzioni percorribili per la piena realizzazione degli impegni assunti dalle Parti e, soprattutto, si dia una pronta risposta alla situazione umanitaria, che rimane tuttora grave.
L’Europa intera sta attraversando un momento decisivo della sua storia, nel quale è chiamata a ritrovare la propria identità. Ciò esige di riscoprire le proprie radici per poter plasmare il proprio futuro. Di fronte alle spinte disgregatrici, è quanto mai urgente aggiornare “l’idea di Europa” per dare alla luce un nuovo umanesimo basato sulle capacità di integrare, di dialogare e di generare
Eccellenze, Signore e Signori,
edificare la pace significa anche adoperarsi attivamente per la cura del creato. L’Accordo di Parigi sul clima, entrato recentemente in vigore, è un segno importante del comune impegno per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo bello e vivibile. Auspico che lo sforzo intrapreso in tempi recenti per fronteggiare i cambiamenti climatici trovi una sempre più vasta cooperazione di tutti, poiché la Terra è la nostra casa comune e occorre considerare che le scelte di ciascuno hanno ripercussioni sulla vita di tutti.
Tuttavia, è evidente anche che ci sono fenomeni che superano le possibilità dell’azione umana. Mi riferisco ai numerosi terremoti che hanno colpito alcune regioni del mondo. Penso anzitutto a quelli avvenuti in Ecuador, in Italia e in Indonesia, che hanno provocato numerose vittime, e tuttora molte persone vivono in condizioni di grande precarietà. Ho potuto visitare personalmente alcune aree colpite dal terremoto nel centro Italia, dove, nel constatare le ferite che il sisma ha provocato ad una terra ricca di arte e di cultura, ho potuto condividere il dolore di tante persone, insieme al loro coraggio e alla determinazione a ricostruire quanto è andato distrutto. Auspico che la solidarietà che ha unito il caro popolo italiano nelle ore successive al terremoto, continui ad animare l’intera Nazione, soprattutto in questo tempo delicato della sua storia. La Santa Sede e l’Italia sono particolarmente legate da ovvie motivazioni storiche, culturali e geografiche. Tale legame è apparso in modo evidente nell’anno giubilare e ringrazio tutte le Autorità italiane per l’aiuto offerto nell’organizzazione di tale evento, anche per garantire la sicurezza dei pellegrini, giunti da ogni parte del mondo.
Cari Ambasciatori,
la pace è un dono, una sfida e un impegno. Un dono perché essa sgorga dal cuore stesso di Dio; una sfida perché è un bene che non è mai scontato e va continuamente conquistato; un impegno perché esige l’appassionata opera di ogni persona di buona volontà nel ricercarla e costruirla. Non c’è, dunque, vera pace se non a partire da una visione dell’uomo che sappia promuoverne lo sviluppo integrale, tenendo conto della sua dignità trascendente, poiché «lo sviluppo è il nuovo nome della pace»
Nella liturgia pronunciamo il saluto «la pace sia con voi». Con questa espressione, pegno di copiose benedizioni divine, rinnovo a ciascuno di Voi, distinti membri del Corpo Diplomatico, alle Vostre famiglie, ai Paesi che qui rappresentate, i miei più sinceri auguri per il nuovo anno.
Grazie.
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[00032-IT.01] [Testo originale: Italiano]
[B0015-XX.01]