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Primo Maggio 2005. Nota dell’Ufficio di pastorale sociale della diocesi di Firenze

La Chiesa fiorentina esprime «viva preoccupazione» per la situazione di crisi che riguarda molte aziende del territorio diocesano. A farsene portavoce è il direttore dell’Ufficio Diocesano di pastorale sociale don Giovanni Momigli che il primo maggio, festa di San Giuseppe Lavoratore, ha diffuso un ampio comunicato, in cui annuncia anche una iniziativa concreta: un incontro, promosso dalla Diocesi, che il prossimo 23 maggio alle 15 riunirà in Arcivescovado, alla presenza del cardinale Antonelli, istituzioni, categorie sociali ed economiche. Ecco il testo integrale della nota dell’Ufficio di Pastorale Sociale della Diocesi di Firenze.

Il Primo Maggio 1955, Pio XII istituì la festa di San Giuseppe Lavoratore, per sottolineare l’importanza e la dignità del lavoro, anche quello svolto umilmente e nel nascondimento. Quella di San Giuseppe è un’esistenza apparentemente non molto diversa da quella di tanti altri uomini del suo tempo. Ma, per la Chiesa, è un’esistenza degna di essere proposta come modello per ogni lavoratore, perché è un’esistenza tutta proiettata all’ascolto della parola di Dio e posta al servizio del Suo piano di salvezza.

Guardare a San Giuseppe lavoratore nel giorno della Festa internazionale del Lavoro, quindi, rappresenta uno stimolo forte a riscoprire la vera dignità del lavoro, di ogni lavoro, ed a prendere piena coscienza che «la fede in Gesù Cristo», ossia il porre Lui come fondamento e riferimento del nostro essere e del nostro agire, «permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di un umanesimo integrale e solidale» (Compendio 327).

Questo cinquantesimo dell’istituzione della festa di San Giuseppe lavoratore si colloca in una fase storica nella quale le sfide toccano decisivi processi economici e sociali. Lavoro e società si trovano oggi a percorrere strade sempre più complesse, anche per le innovazioni tecnologiche e i processi di globalizzazione. Innovazioni e processi che esigono una nuova intelligenza sociale, una rinnovata capacità di progettazione, una presenza negli ambiti delle decisioni che sia competente e di alta professionalità, ma soprattutto necessitano di un profondo ancoraggio ai valori ed un costante riferimento all’uomo e al bene comune. Innovazioni e processi che interpellano la coscienza credente e domandano una fede ed una spiritualità adulta e matura. Per dirla con il cardinale Ratzinger, come cristiani – anche per incidere positivamente sul piano sociale ed economico – siamo chiamati ad «essere realmente adulti nella fede», ossia non «sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina» [Omelia pro eligendo pontifice].

Il cristiano, anche per operare positivamente nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica, deve prima di tutto essere cristiano. Deve cioè coltivare il proprio radicamento in Cristo, nutrendosi costantemente della parola di Dio e partecipando alla celebrazione eucaristica, ed avere come riferimento il magistero sociale della Chiesa. Deve pure coltivare e sviluppare la propria competenza e professionalità ed operare senza aver paura del nuovo.

Spetta primariamente alle diocesi ed alle parrocchie formare cristiani maturi, capaci di una presenza significativa nel lavoro, nell’economia, nella vita sociale e nella politica. Tuttavia, rimangono ambiti privilegiati di formazione e di impegno le aggregazioni ecclesiali e le associazioni professionali di ispirazione cristiana. Queste aggregazioni e associazioni debbono però avere il coraggio di ripensarsi, per recuperare e rendere evidenti le profonde ragioni del loro esistere e le finalità che danno significato pieno alla partecipazione alla loro vita associata ed al loro porsi nel tessuto vivo della società. Appare, pertanto, indispensabile ed urgente che le varie aggregazioni ecclesiali e le associazioni professionali di ispirazione cristiana si diano un serio cammino formativo e procedano ad una revisione, a volte anche profonda, delle loro modalità di presenza e di espressione sia nei vari ambiti del lavoro, che nelle parrocchie e sul territorio. Come appare necessario un effettivo raccordo fra la vita di queste associazioni e la pastorale quotidiana della diocesi e delle parrocchie.Non è compito della Chiesa entrare nel merito di analisi riguardanti l’andamento dell’economia a livello generale e, in particolare, delle molteplici situazioni di crisi a livello locale. Molti soggetti, per ruolo e competenze, hanno prodotto e producono analisi, esprimono valutazioni, avanzano proposte. La Chiesa fiorentina, tuttavia, non può esimersi dall’esprimere la sua viva preoccupazione per le circa 60 crisi aperte in altrettante aziende della diocesi, segno che, anche a Firenze, le difficoltà si fanno ogni giorno più stringenti per le imprese, le famiglie, le persone. Serve uno scatto; un salto di qualità nelle riflessioni, nei rapporti, nelle scelte.

Per far fronte alle difficoltà ed alle trasformazioni in atto, appare proprio necessario ed urgente che divengano patrimonio del pensare e dell’agire quotidiano «nuove visioni e nuovi argomenti, una nuova propensione al rischio d’impresa e una nuova cultura del lavoro», come si dice nella premessa all’«Accordo per il patto per lo sviluppo sostenibile, la coesione sociale, l’integrazione», sottoscritto lo scorso 16 dicembre da Assindustria, Api, Cna, Confartigianato e Cgil, Cisl, Uil di Firenze.

Su questo piano, la diocesi ritiene di poter offrire un proprio specifico contributo, sia proponendo come punto di riferimento e di orientamento la Dottrina Sociale della Chiesa, oggi presentata nella sua interezza con la pubblicazione del Compendio, sia proponendo un’ulteriore opportunità di incontro e di confronto nel merito delle questioni che ci stanno davanti. Riteniamo che l’incontro di Studio su «Sviluppo economico e sociale dell’area fiorentina: quali strategie?», promosso dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e Lavoro per lunedì 23 maggio – al quale sono invitati i vari attori istituzionali, sociali ed economici -, possa costituire un utile occasione di riflessione comune su quanto è possibile e doveroso attivare per sostenere strategicamente un percorso di innovazione e sviluppo, coniugato con la valorizzazione della memoria e delle molteplici risorse del territorio.

Ricordando, come ha fatto nella Centesimus annus Giovanni Paolo II [che ricordiamo con affetto e con fiducia affidiamo al Signore], che «Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri» (n. 31), si può anche pensare che la vera potenzialità strategica consiste nell’osare un modello che potremmo chiamare di «competizione sinergica» fra le varie realtà, i vari settori e i vari soggetti, infondendo così un nuovo dinamismo nei comportamenti e sviluppando una più concreta co-responsabilità collettiva.

Per un vero e proprio sviluppo, è certamente necessario e doveroso il concorso di tutti, così come sono necessarie regole chiare e condivise, ma sono anche e primariamente necessari valori, etica, ragionevolezza, responsabilità.

Questo Primo Maggio 2005, coincidendo con la domenica e con la celebrazione della solennità della Pasqua Ortodossa, ci invita anche a riflettere con rinnovata attenzione sul senso e sul ruolo della festa, quale componente essenziale della vita dell’uomo e di ogni comunità umana, e sul valore specifico della domenica, come Giorno del Signore.La festa rappresenta un’alternativa alla vita quotidiana ed esprime addirittura una qualche rottura con essa. E’ il giorno in cui l’uomo si libera dalla logica del profitto per entrare nel mondo profondo e vitale del gratuito. E’ il giorno della relazione e del radicamento ad un territorio, ad una storia, ad una comunità.

La nostra società, per non continuare nel progressivo impoverimento umano e relazionale, ha bisogno di ritrovare il vero significato della festa. Per questo la domenica non può essere pensata e vissuta solo come «tempo libero», come giorno di semplice sospensione del lavoro

Il credente in Cristo, anche per offrire all’intera società il proprio specifico contributo al recupero del senso e del valore della festa e, quindi, del lavoro, è chiamato a vivere con rinnovata freschezza la domenica, Pasqua della settimana, come giorno della risurrezione del Signore, della riunione della comunità cristiana nell’assemblea liturgia, della celebrazione eucaristica quale memoriale dell’evento pasquale.Don Giovanni MomigliDirettore Ufficio di pastorale sociale dell’Arcidiocesi di Firenze