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Il viaggio apostolico in Kazakhstan e Armenia

Il discorso all’aeroporto di Astana (Kazakhstan)Un esempio di convivenzaAll’arrivo all’aeroporto internazionale di Astana, previsto per le 19.30 (ora locale), il Papa è accolto dal Presidente della Repubblica di Kazakhstan, il Sig. Nursultan Abishevich Nazarbayev, dalle Autorità politiche e civili, dagli Ordinari della Chiesa Cattolica in Asia Centrale, dai membri del Corpo Diplomatico, dal Nunzio Apostolico,  Mons. Marian Oles e dall’Amministratore Apostolico di Astana,   Mons. Tomasz Peta.Dopo il saluto del Presidente della Repubblica di Kazakhstan, Sig. Nursultan Abishevich Nazarbayev, il Santo Padre ha pronunciato il seguente discorso in lingua russa. Signor Presidente,Illustri Membri del Corpo Diplomatico,Distinte Autorità,Rappresentanti delle varie Confessioni religiose,Cari Fratelli e Sorelle!1. Rendo grazie a Dio, che ha guidato i miei passi sino alla città di Astanà, capitale di questo nobile e sconfinato Paese, situato nel cuore del territorio eurasiatico. Bacio con affetto questa Terra, che ha dato origine a uno stato multietnico, erede di secolari e molteplici tradizioni spirituali e culturali, ed ora incamminato verso nuovi traguardi sociali ed economici. Da tanto tempo sentivo il desiderio di questo incontro, ed è grande la mia gioia nel poter stringere in un abbraccio di ammirazione e di affetto tutti gli abitanti del Kazakhstan. Sin da quando ebbi modo di ricevere in Vaticano Lei, Signor Presidente della Repubblica, e di ascoltare dalle sue labbra l’invito a visitare questa Terra, ho cominciato a prepararmi nella preghiera all’odierno incontro. Chiedo ora al Signore che questo sia un giorno benedetto per tutte le amate genti del Kazakhstan. 2. Grazie dunque, Signor Presidente, per l’invito a suo tempo rivoltomi, e grazie per l’impegno posto nel predisporre la visita nei suoi complessi aspetti organizzativi. Grazie anche per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome del Governo e di tutto il Popolo kazakhstano. Saluto con deferenza le Autorità civili e militari, come pure i membri del Corpo Diplomatico, attraverso i quali vorrei inviare un affettuoso pensiero ai popoli che ciascuno di loro degnamente rappresenta. Saluto i responsabili e i fedeli dell’Islam, che in questa regione vanta una lunga tradizione religiosa. Estendo il mio beneaugurante pensiero alle persone di buona volontà, che cercano di promuovere i valori morali e spirituali atti a garantire per tutti un futuro di pace. Un particolare saluto rivolgo ai fratelli Vescovi e fedeli della Chiesa ortodossa ed ai cristiani delle altre Chiese e Comunità ecclesiali. Mi è grato qui rinnovare l’invito a congiungere gli sforzi, perché il terzo millennio possa vedere i discepoli di Cristo proclamare con una sola voce e un solo cuore il Vangelo, messaggio di speranza per l’intera umanità. Abbraccio con fraterno affetto soprattutto voi, cari Vescovi, sacerdoti, religiosi, religiose, missionari, catechisti e fedeli, che formate la Comunità cattolica che vive sul vasto suolo kazako. So della vostra dedizione al lavoro e del vostro entusiasmo; mi è nota pure la vostra fedeltà alla Sede Apostolica e prego Iddio perché sostenga ogni vostro proposito di bene. 3. Questa mia visita ha luogo a dieci anni dalla proclamazione dell’indipendenza del Kazakhstan, raggiunta dopo un lungo periodo buio e sofferto. La data del 16 dicembre del 1991 è incisa a caratteri indelebili negli annali della vostra storia. La riacquistata libertà ha riacceso in voi una più solida fiducia nel futuro e sono persuaso che l’esperienza vissuta sia ricca di ammaestramenti ai quali attingere per muovervi con coraggio verso nuove prospettive di pace e di progresso. Il Kazakhstan vuole crescere nella fraternità, nel dialogo e nella comprensione, premesse indispensabili per “gettare ponti” di solidale cooperazione con gli altri popoli, nazioni e culture. È in questa prospettiva che il Kazakhstan, con coraggiosa iniziativa, ha deciso già nel 1991 la chiusura del poligono nucleare di Semipalatinsk e successivamente ha proclamato la rinuncia unilaterale all’armamento nucleare e l’adesione all’Accordo per il totale divieto degli esperimenti atomici. Alla base di questa decisione vi è la convinzione che le questioni controverse debbano essere risolte non con il ricorso alle armi, ma con i mezzi pacifici della trattativa e del dialogo. Non posso che incoraggiare questa linea d’impegno, che ben risponde alle fondamentali esigenze della solidarietà e della pace a cui gli esseri umani aspirano con crescente consapevolezza. 4. Nel vostro Paese, che occupa uno dei primi posti nel mondo per estensione, convivono a tutt’oggi cittadini appartenenti a oltre cento nazionalità ed etnie, ai quali la Costituzione della Repubblica garantisce gli stessi diritti e le stesse libertà. Lo spirito di apertura e di collaborazione fa parte della vostra tradizione, perché da sempre il Kazakhstan è terra di incontro e di convivenza fra tradizioni e culture differenti. Ciò ha dato luogo a significative forme culturali, espresse in originali realizzazioni artistiche, come pure in una fiorente tradizione letteraria. Guardo con ammirazione a città come Balasagun, Merke, Kulan, Taraz, Otrar, Turkestan e altre, una volta importanti centri di cultura e di commercio. In esse hanno vissuto illustri personalità della scienza, dell’arte e della storia, a partire da Abu Nasr al-Farabi, che ha fatto riscoprire per l’Europa Aristotele, fino al ben noto pensatore e poeta Abai Kunanbai. Formatosi alla scuola dei monaci ortodossi, egli conobbe anche il mondo occidentale e ne apprezzò il patrimonio di pensiero. Tuttavia era solito ripetere: “L’Occidente è diventato il mio Oriente”, ponendo in luce come il contatto con altri movimenti culturali avesse in lui ridestato l’amore per la propria cultura. 5. Cari Popoli del Kazakhstan! Ammaestrati dalle esperienze del vostro passato antico e recente, e specialmente dagli eventi tristi del XX secolo, sappiate sempre mettere a fondamento del vostro impegno civile la tutela della libertà, diritto inalienabile e aspirazione profonda d’ogni persona. In particolare, sappiate riconoscere il diritto alla libertà religiosa, nella quale si esprimono le convinzioni custodite nel sacrario più intimo della persona. Quando all’interno di una comunità civile i cittadini sanno accettarsi nelle rispettive convinzioni religiose, è più facile che s’affermi tra loro l’effettivo riconoscimento degli altri diritti umani e un’intesa sui valori di fondo di una convivenza pacifica e costruttiva. Ci si sente infatti accomunati dalla consapevolezza di essere fratelli, perché figli dell’unico Dio, creatore dell’universo. Prego Dio onnipotente di voler benedire e incoraggiare i vostri passi su questo cammino. Egli vi aiuti a crescere nella libertà, nella concordia, nella pace. Sono queste le condizioni indispensabili, perché s’instauri il clima adatto per uno sviluppo umano integrale, attento alle esigenze di ciascuno, specialmente a quelle dei poveri e dei sofferenti. 6. Popolo kazakhstano, un’impegnativa missione ti attende: costruire un Paese all’insegna del vero progresso, nella solidarietà e nella pace. Kazakhstan, Terra di martiri e di credenti, Terra di deportati e di eroi, Terra di pensatori e di artisti, non temere! Se profondi e molteplici restano i segni delle piaghe inferte al tuo corpo, se difficoltà e ostacoli si frappongono nell’opera della ricostruzione materiale e spirituale, a balsamo e sprone ti valgano le parole del grande Abai Kunanbai: “L’umanità ha come principio l’amore e la giustizia, esse sono il coronamento dell’opera dell’Altissimo” (I detti, cap. 45). L’amore e la giustizia! L’Altissimo, che guida i passi degli uomini, faccia rifulgere queste stelle sui tuoi passi, Terra sconfinata del Kazakhstan! Sono questi i sentimenti che pulsano nel mio cuore, mentre inizio la mia visita ad Astanà. Guardando i colori della vostra bandiera, cari kazakhstani, domando per voi all’Altissimo i doni che essi simboleggiano: la stabilità e l’apertura, di cui è simbolo l’azzurro; la prosperità e la pace, a cui si riferisce l’oro. Dio benedica te, Kazakhstan, e tutti i tuoi abitanti e ti conceda un futuro di concordia e di pace! L’omelia nella Messa ad AstanaIl cristianesimo non è alienazioneAlle 10.30 di domenica 23 settembrei, XXV domenica “per annum”, il Papa ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Piazza della Madre Patria ad Astana. Concelebrano con il Santo Padre gli Ordinari del Kazakhstan, i Vescovi ospiti e i Sacerdoti operanti nel Paese, insieme ai Cardinali, ai Vescovi e ai Sacerdoti del seguito papale. Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di omaggio dell’Amministratore Apostolico di Astana,  Mons. Tomasz Peta, Giovanni Paolo II pronuncia l’omelia in lingua russa. Di seguito ne pubblichiamo la traduzione in italiano: 1. “Uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2, 5). In questa espressione dell’apostolo Paolo, tratta dalla prima Lettera a Timoteo, è contenuta la verità centrale della fede cristiana. Sono lieto di poterla annunciare quest’oggi a voi, carissimi Fratelli e Sorelle del Kazakhstan. Sono tra voi, infatti, come apostolo e testimone di Cristo; sono tra voi come amico di ogni uomo di buona volontà. A tutti e a ciascuno vengo ad offrire la pace e l’amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. Conosco la vostra storia. Conosco le sofferenze a cui molti di voi sono stati sottoposti, quando il precedente regime totalitario li ha strappati dalla loro terra d’origine e li ha qui deportati in condizioni di grave disagio e privazione. Sono lieto di poter essere oggi qui tra voi per dirvi che il cuore del Papa vi è vicino. Abbraccio con affetto ciascuno di voi, cari Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio. In particolare, saluto il Vescovo Tomasz Peta, Amministratore Apostolico di Astanà, e lo ringrazio per i sentimenti espressi a nome di tutti. Saluto poi i rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali, come pure i rappresentanti delle varie Religioni presenti in questa vasta regione eurasiatica. Saluto il Signor Presidente della Repubblica, le Autorità civili e militari e tutti coloro che hanno voluto unirsi a questa celebrazione. 2. “Uno solo è Dio”. L’Apostolo afferma anzitutto l’assoluta unicità di Dio. Questa verità i cristiani l’hanno ereditata dai figli di Israele e la condividono con i fedeli musulmani: è la fede nell’unico Dio, “Signore del cielo e della terra” (Lc 10,21), onnipotente e misericordioso. Nel nome di quest’unico Dio, mi rivolgo al popolo di antiche e profonde tradizioni religiose, che vive nel Kazakhstan. Mi rivolgo anche a quanti non aderiscono ad una fede religiosa e a coloro che sono alla ricerca della verità. Vorrei ripetere ad essi le celebri parole di san Paolo, che ho avuto la gioia di riascoltare nello scorso mese di maggio all’Areopago di Atene: “Dio non è lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (At 17,27-28). Torna alla mente quanto scrisse il vostro grande poeta Abai Kunanbai: “Si può forse dubitare della sua esistenza / se ogni cosa sulla terra ne è testimonianza?” (Poesia 14). 3. “Uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù”. Dopo aver additato il mistero di Dio, l’Apostolo porta lo sguardo su Cristo, unico mediatore di salvezza. Una mediazione – sottolinea Paolo in un’altra sua lettera – che si è attuata nella povertà: “Da ricco che era, si fece povero, per arricchire noi con la sua povertà” (2 Cor 8,9 – Acclamaz. al Vangelo). Gesù “non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio” (Fil 2,6); non volle presentarsi alla nostra umanità, che è fragile e indigente, con la sua schiacciante superiorità. Se lo avesse fatto, non avrebbe obbedito alla logica di Dio, ma a quella dei prepotenti di questo mondo, denunciata senza mezzi termini dai profeti d’Israele, come Amos, dal cui Libro è tratta oggi la prima Lettura (cfr Am 8,4-6). La vita di Gesù è stata coerente col disegno salvifico del Padre, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità” (1 Tm 2,4). Egli ha testimoniato fedelmente questa volontà, dando “se stesso in riscatto per tutti” (1 Tm 2,6). Spendendo per amore tutto se stesso, ci ha procurato l’amicizia con Dio, perduta a causa del peccato. Questa “logica dell’amore” Egli suggerisce anche a noi, chiedendoci di applicarla soprattutto attraverso la generosità verso i bisognosi. È una logica che può accomunare cristiani e musulmani, impegnandoli a costruire insieme la “civiltà dell’amore”. È una logica che supera ogni scaltrezza di questo mondo e ci permette di procurarci amici veri, che ci accolgono “nelle dimore eterne” (cfr Lc 16,9), nella “patria” del Cielo. 4. Carissimi, la patria dell’umanità è il Regno di Dio! È assai eloquente per noi meditare su questa verità proprio qui, nella Piazza intitolata alla Madre Patria, dinanzi a questo monumento che simbolicamente la rappresenta. Come insegna il Concilio Ecumenico Vaticano II, vi è un rapporto tra la storia umana e il Regno di Dio, tra le realizzazioni parziali della civile convivenza e la meta ultima a cui, per libera iniziativa di Dio, l’umanità è chiamata (cfr Gaudium et spes, 33-39). Il decimo anniversario dell’indipendenza del Kazakhstan, che quest’anno voi celebrate, ci porta a riflettere in questa prospettiva. Che rapporto vi è tra questa patria terrena, con i suoi valori e i suoi traguardi, e la patria celeste, in cui, superando ogni ingiustizia e conflitto, è chiamata ad entrare l’intera famiglia umana? La risposta del Concilio è illuminante: “Benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Cristo, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio” (ivi, 39). 5. I cristiani sono al tempo stesso abitanti del mondo e cittadini del Regno dei cieli. Si impegnano senza riserve nella costruzione della società terrena, ma restano orientati verso i beni eterni, quasi rifacendosi a un modello superiore, trascendente, per attuarlo sempre più e sempre meglio nell’esistenza di ogni giorno. Il cristianesimo non è alienazione dall’impegno terreno. Se talora, in alcune situazioni contingenti, dà questa impressione, ciò è dovuto all’incoerenza di tanti cristiani. In realtà, il cristianesimo autenticamente vissuto è come lievito per la società: la fa crescere e maturare sul piano umano e la apre alla dimensione trascendente del Regno di Cristo, realizzazione compiuta dell’umanità nuova. Questo dinamismo spirituale trae forza dalla preghiera, come ha ricordato poc’anzi la seconda Lettura. Ed è quanto, in questa celebrazione, noi vogliamo fare pregando per il Kazakhstan e per i suoi abitanti, affinché questo grande Paese, nella varietà delle sue componenti etniche, culturali e religiose, progredisca nella giustizia, nella solidarietà e nella pace. Progredisca grazie alla collaborazione, in particolare, di cristiani e musulmani, impegnati ogni giorno, fianco a fianco, nell’umile ricerca della volontà di Dio. 6. La preghiera dev’essere sempre accompagnata da opere coerenti. La Chiesa, fedele all’esempio di Cristo, non separa mai l’evangelizzazione dalla promozione umana, ed esorta i suoi fedeli ad essere in ogni ambiente promotori di rinnovamento e di progresso sociale. Carissimi Fratelli e Sorelle, possa la “Madre Patria” del Kazakhstan trovare in voi dei figli devoti e solleciti, fedeli al patrimonio spirituale e culturale ereditato dai padri e capaci di adattarlo alle nuove esigenze. Distinguetevi, secondo il modello evangelico, per la vostra umiltà e coerenza, facendo fruttificare i vostri talenti al servizio del bene comune e privilegiando le persone più deboli e svantaggiate. Il rispetto dei diritti di ciascuno, anche se di convinzioni personali diverse, è il presupposto di ogni convivenza autenticamente umana. Vivete un profondo e fattivo spirito di comunione tra di voi e con tutti, ispirandovi a quanto gli Atti degli Apostoli attestano della prima comunità dei credenti (At 2,44-45; 4,32). La carità, che alimentate alla Mensa eucaristica, testimoniatela nell’amore fraterno e nel servizio ai poveri, ai malati, agli esclusi. Siate artefici di incontro, di riconciliazione e di pace tra persone e gruppi differenti, coltivando l’autentico dialogo, perché emerga sempre la verità. 7. Amate la famiglia! Difendete e promuovete questa cellula fondamentale dell’organismo sociale; abbiate cura di questo primordiale santuario della vita. Accompagnate con cura il cammino dei fidanzati e dei giovani sposi, perché siano davanti ai figli e all’intera comunità segno eloquente dell’amore di Dio. Carissimi, con gioia ed emozione desidero rivolgere a voi qui presenti e a tutti i credenti che sono a noi uniti l’esortazione che a più riprese vado ribadendo in questo inizio di millennio: Duc in altum! Ti abbraccio con affetto, Popolo del Kazakhstan, e ti auguro di portare a compimento ogni progetto d’amore e di salvezza. Dio non ti abbandonerà. Amen! Appello per la pace dal Kazaksthan (Dopo l’Angelus, domenica 23 settembre)La religione non diventi fonte di conflittiDa questa città, dal Kazakhstan, un Paese che è esempio di armonia tra uomini e donne di diverse origini e credenze, desidero lanciare un fervido appello a tutti, cristiani e seguaci di altre religioni, affinché cooperino per edificare un mondo privo di violenza, un mondo che ami la vita e si sviluppi nella giustizia e nella solidarietà. Non dobbiamo permettere che quanto è accaduto conduca ad un inasprirsi delle divisioni. La religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto.Da questo luogo, invito sia i cristiani sia i musulmani a pregare intensamente l’Unico Dio Onnipotente, che tutti ci ha creati, affinché possa regnare nel mondo il fondamentale bene della pace. Che le persone di tutti i luoghi, rafforzate dalla saggezza divina, operino per una civiltà dell’amore, nella quale non vi sia spazio per l’odio, la discriminazione e la violenza.Con tutto il cuore imploro Dio di mantenere la pace nel mondo. AmenIncontro con i giovani all’Università di Astana (Kazakhstan)Dio vi ama e vi affida il mondo Incontro con i giovani all”Università Eurasia (Astana, Kazakhstan 23 settembre)Dopo il saluto al Papa del Rettore, Prof. M. Zholdasbekov, e di due rappresentanti dei giovani convenuti all’incontro, Giovanni Paolo II ha pronuncia il discorso in lingua russa. Ne pubblichiamo di seguito la traduzione in italiano: Carissimi giovani!1. Con grande gioia mi incontro con voi e vi ringrazio vivamente per questa cordiale accoglienza. Un saluto particolare rivolgo al Signor Rettore ed alle Autorità accademiche di questa recente e già prestigiosa Università. Il suo stesso nome, Eurasia, ne indica la peculiare missione, che è la stessa del vostro grande Paese posto come cerniera tra l’Europa e l’Asia: missione di collegamento tra due continenti, tra le rispettive culture e tradizioni, tra gruppi etnici diversi che vi si sono incontrati nel corso dei secoli.In realtà, il vostro è un Paese in cui la convivenza e l’armonia tra popoli differenti possono essere additate al mondo come segno eloquente della chiamata di tutti gli uomini a vivere insieme nella pace, nella conoscenza ed accoglienza reciproca, nella scoperta progressiva e nella valorizzazione delle tradizioni proprie di ciascuno. Il Kazakhstan è terra di incontro, di scambio, di novità; terra che stimola in ciascuno l’interesse per nuove scoperte e induce a vivere la differenza non come una minaccia ma come un arricchimento.È con questa consapevolezza, cari giovani, che rivolgo a ciascuno di voi il mio saluto. A tutti dico con cuore d’amico: la pace sia con voi, la pace ricolmi i vostri cuori! Sentitevi chiamati ad essere artefici di un mondo migliore. Siate operatori di pace, perché una società saldamente fondata sulla pace ha davanti a sé il futuro.2. Preparando questo mio viaggio, mi sono domandato che cosa i giovani del Kazakhstan vorrebbero sentire dal Papa di Roma, che cosa vorrebbero chiedergli. Conosco i giovani e so che essi vanno alle questioni di fondo. Probabilmente la prima domanda che voi desiderereste pormi è questa: “Chi sono io secondo te, Papa Giovanni Paolo II, secondo il Vangelo che tu annunci? Qual è il senso della mia vita? Qual è il mio destino?”. La mia risposta, cari giovani, è semplice, ma di enorme portata: Ecco, tu sei un pensiero di Dio, tu sei un palpito del cuore di Dio. Affermare questo è come dire che tu hai un valore in certo senso infinito, che tu conti per Dio nella tua irripetibile individualità.Voi capite allora, cari giovani, perché io mi accosto a voi, questa sera, con rispetto e trepidazione e vi guardo con grande affetto e fiducia. Sono lieto di incontrarmi con voi, discendenti del nobile popolo kazakhstano, fieri del vostro indomabile desiderio di libertà, sconfinato come la steppa in cui siete nati. Avete vicende diverse alle spalle, non prive di sofferenza. Siete qui seduti, l’uno accanto all’altro, e vi sentite amici, non perché avete dimenticato il male che c’è stato nella vostra storia, ma perché giustamente vi interessa di più il bene che potrete costruire insieme. Non c’è infatti vera riconciliazione, che non sfoci generosamente in un impegno comune.Siate consapevoli del valore unico che ciascuno di voi possiede e sappiate accettarvi nelle rispettive convinzioni, pur cercando assieme la verità piena. Il vostro Paese ha sperimentato la violenza mortificante dell’ideologia. Che non succeda a voi di essere ora preda della violenza non meno distruttrice del “nulla”. Quale vuoto asfissiante, se nella vita non v’è nulla che conti, se non si crede a nulla! Il nulla è la negazione dell’infinito, che la vostra steppa sconfinata evoca con forza, di quell’Infinito a cui aspira in modo irresistibile il cuore dell’uomo.3. Mi hanno detto che nella vostra bellissima lingua, il kazako, “ti amo” si dice: “mien siené jaksè korejmen”, espressione che si può tradurre: “io ti guardo bene, ho su di te uno sguardo buono”. L’amore dell’uomo, ma ancora prima l’amore stesso di Dio verso l’uomo e verso il creato nasce da uno sguardo buono, uno sguardo che fa vedere il bene e induce a fare il bene: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, è detto nella Bibbia (Gn 1, 31). Un tale sguardo permette di cogliere tutto il positivo che c’è nella realtà e conduce a considerare, al di là di un approccio superficiale, la bellezza e la ricchezza di ogni essere umano che ci si fa incontro.È spontaneo chiederci: “Che cosa rende bello e grande l’essere umano?”. Ecco la risposta che vi propongo: ciò che rende grande l’essere umano è l’impronta di Dio che egli porta in sé. Secondo la parola della Bibbia, egli è creato “ad immagine e somiglianza di Dio” (cfr Gn 1,26). Proprio per questo il cuore dell’uomo non è mai pago: vuole di meglio, vuole di più, vuole tutto. Nessuna realtà finita lo soddisfa e lo acqueta. Diceva Agostino d’Ippona, l’antico Padre della Chiesa: “Ci hai fatti, o Signore, per te e il nostro cuore è inquieto finché non trova pace in te” (Confes. 1,1). Non scaturisce forse da questa stessa intuizione la domanda che il vostro grande pensatore e poeta Ahmed Jassavi più volte ripete nei suoi versi: “A che serve la vita, se non per essere donata, e donata all’Altissimo?”.4. Cari amici, questa parola di Ahmed Jassavi contiene in sé un grande messaggio. Richiama ciò che la tradizione religiosa qualifica come “vocazione”. Dando la vita all’uomo, Dio gli affida un compito e attende da lui una risposta. Affermare che la vita dell’uomo, con le sue vicende, le sue gioie e i suoi dolori, ha come fine di “essere donata all’Altissimo”, non costituisce diminuzione o rinuncia. È piuttosto la conferma dell’altissima dignità dell’essere umano: fatto ad immagine e somiglianza di Dio, egli è chiamato a divenire suo collaboratore nel trasmettere la vita e nel dominare la creazione (cfr Gn 1, 26-28).Il Papa di Roma è venuto per dirvi proprio questo: c’è un Dio che vi ha pensato e vi ha dato la vita. Egli vi ama personalmente e vi affida il mondo. È Lui che suscita in voi la sete di libertà e il desiderio di conoscere. Permettetemi di professare davanti a voi con umiltà e fierezza la fede dei cristiani: Gesù di Nazaret, Figlio di Dio fatto uomo duemila anni orsono, è venuto a rivelarci questa verità con la sua persona e il suo insegnamento. Solo nell’incontro con Lui, Verbo incarnato, l’uomo trova pienezza di autorealizzazione e di felicità. La religione stessa, senza un’esperienza di stupita scoperta e di comunione con il Figlio di Dio, fattosi nostro fratello, si riduce a una somma di principi sempre più ardui da capire e di regole sempre più difficili da sopportare.5. Cari amici, voi intuite che nessuna realtà terrestre vi potrà soddisfare pienamente. Voi siete coscienti che l’apertura al mondo non è sufficiente a colmare la vostra sete di vita e che la libertà e la pace possono venire solo da un Altro, infinitamente più grande di voi, eppure a voi familiarmente vicino.Sappiate riconoscere di non essere i padroni di voi stessi, e apritevi a Colui che vi ha creati per amore e vuole fare di voi persone degne, libere e belle. Io vi incoraggio in questo atteggiamento di fiduciosa apertura: imparate ad ascoltare nel silenzio la voce di Dio, che parla nell’intimo di ciascuno; date basi solide e sicure alla costruzione dell’edificio della vostra vita; non abbiate paura dell’impegno e del sacrificio, che richiedono oggi un grande investimento di forze, ma che sono garanzia del successo di domani. Scoprirete la verità su voi stessi e nuovi orizzonti non cesseranno di aprirsi davanti a voi.Cari giovani, questo discorso vi può forse apparire inconsueto. Io ritengo invece che sia attuale ed essenziale per l’uomo moderno, che talvolta si illude di essere onnipotente, perché ha realizzato grandi progressi scientifici e riesce in qualche modo a controllare il complesso mondo tecnologico. Ma l’uomo ha un cuore: se l’intelligenza dirige le macchine, il cuore pulsa per la vita! Date al vostro cuore risorse vitali, permettete a Dio di entrare nella vostra esistenza: essa sarà allora rischiarata dalla sua luce divina.6. Sono venuto a voi per incoraggiarvi. Siamo all’inizio di un nuovo millennio: è un’epoca importante per il mondo, perché nell’animo della gente si sta diffondendo la convinzione che non è possibile continuare a vivere così divisi. Purtroppo, se da un lato le comunicazioni divengono ogni giorno più facili, le differenze sono spesso avvertite in modo persino drammatico. Vi incoraggio a lavorare per un mondo più unito, e a farlo nel quotidiano della vita, portandovi il contributo creativo di un cuore rinnovato.Il vostro Paese conta su di voi e aspetta molto da voi per gli anni futuri: l’orientamento della vostra Nazione sarà quello che le imprimerete voi con le vostre scelte. Il Kazakhstan di domani avrà il vostro volto! Siate coraggiosi ed intrepidi, e non sarete delusi.Vi accompagnino la protezione e la benedizione dell’Altissimo, che invoco su ciascuno di voi, sui vostri cari e su tutta la vostra vita! All’aeroporto di Astana al termine della visita in KazakhstanSiete un ponte tra l’Asia e l’EuropaAll’aeroporto di Astana, il Santo Padre, introdotto dal saluto del Presidente della Repubblica di Kazakhstan, Nursultan Abishevich Nazarbayev, ha pronunciato un breve discorso in lingua russa. Ne pubblichiamo di seguito la traduzione in italiano: Signor Presidente,Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,Gentili Signore e Signori!1. Stanno per concludersi questi tre memorabili giorni, che mi hanno permesso di incontrare, qui ad Astanà, tante persone e di conoscere da vicino molte forze vive del popolo kazakhstano. Mi accompagnerà a lungo il ricordo del mio soggiorno in questa nobile Nazione, ricca di storia e di tradizioni culturali.Grazie per la gentile e cordiale accoglienza che mi è stata riservata. Grazie, Signor Presidente, per la Sua squisita ospitalità, testimoniata in molti modi! Grazie alle Autorità amministrative, militari e religiose, come pure a quanti hanno preparato la mia visita e ne hanno curato i dettagli organizzativi: a tutti e a ciascuno va l’espressione della mia più viva riconoscenza.Mi restano impresse nell’animo le parole che ho ascoltato nei vari momenti che insieme abbiamo vissuto. Ho ben presenti le speranze e le attese di questo caro popolo, che ho potuto più profondamente conoscere e apprezzare. Un popolo che ha sofferto anni di dura persecuzione, ma che non esita a riprendere con lena il cammino del proprio sviluppo. Un popolo che vuole costruire un futuro sereno e solidale per i suoi figli, perché ama e cerca la pace.2. Kazakhstan, Nazione carica di secoli di storia, tu ben sai quanto la pace sia importante e urgente! Per conformazione geografica, tu sei Terra di confine e di incontro. Qui, in queste sconfinate steppe, si sono incontrati e continuano a incontrarsi pacificamente uomini e donne appartenenti a etnie, culture e religioni diverse.Kazakhstan, possa tu, con l’aiuto di Dio, crescere unito e solidale! E’ questo l’augurio cordiale che rinnovo, riprendendo il tema ispiratore di tutta la visita: “Amatevi gli uni gli altri”! (Gv 13,34). Queste impegnative parole di Gesù, pronunciate alla vigilia della sua morte sulla croce, hanno illuminato e ritmato le tappe di questo mio pellegrinaggio.“Amatevi gli uni gli altri”! Di salde intese e di stabili rapporti sociali ha bisogno questo Paese, dove convivono uomini e donne di origini diverse. Non è esagerato sostenere che il vostro è un Paese con una vocazione tutta particolare: quella di essere, in modo sempre più consapevole, un ponte fra l’Europa e l’Asia. Sia questa la vostra scelta civile e religiosa. Siate un ponte di uomini che abbracciano altri uomini; persone che veicolano pienezza di vita e di speranza.3. Mentre mi congedo da te, caro popolo kazakhstano, voglio assicurarti che la Chiesa continuerà a camminare al tuo fianco. In stretta collaborazione con le altre Comunità religiose e con ogni uomo e donna di buona volontà, i cattolici non faranno mancare il loro sostegno, perché insieme si possa costruire una casa comune, sempre più ampia ed accogliente.La ricerca del dialogo e dell’armonia ha qui contraddistinto le relazioni tra il Cristianesimo e l’Islam sin dal periodo della formazione del Canato turco negli sconfinati spazi delle vostre steppe, e ha consentito al Paese di diventare anello di congiunzione tra Oriente ed Occidente sulla grande via della seta. Su questa linea anche le nuove generazioni devono proseguire con impegno rinnovato.“Amatevi gli uni gli altri”. Su questa parola del Signore si gioca la credibilità di noi cristiani. E’ Gesù stesso ad ammonirci: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35).4. Il Grande Giubileo dell’anno Duemila, sollecitando i cristiani ad un intenso risveglio spirituale, li ha anche invitati ad essere testimoni dell’amore per rispondere alle sfide del terzo millennio. Siatelo senza sosta anche voi! Siate pronti a dare corpo al bisogno “di pace, spesso minacciata con l’incubo di guerre catastrofiche” (Novo millennio ineunte, 51). Siate sentinelle vigilanti attente al “rispetto della vita di ciascun essere umano” (ibid.).Siate testimoni dell’amore anche voi, uomini e donne di altre religioni, che avete a cuore le sorti del vostro popolo! La domanda che si poneva Abai Kunanbai interpella tutti: “Se mi è stato dato il nome di uomo, / posso io fare a meno di amare?” (Poesia 12). Questa domanda mi è caro far echeggiare ora, mentre mi congedo da voi: può un essere umano fare a meno di amare?Quale Successore dell’apostolo Pietro, ripercorrendo nella mente i tanti eventi che hanno segnato la storia del secolo passato, vi ripeto: Guardate fiduciosi verso l’avvenire! Sono venuto tra voi come pellegrino di speranza, ed ora mi accingo a riprendere la strada del ritorno non senza commozione e nostalgia. Porterò con me i ricordi di questi giorni; porterò con me la certezza che tu, popolo del Kazakhstan, non verrai meno alla tua missione di solidarietà e di pace.Dio ti benedica e sempre ti protegga! La cerimonia di accoglienza all’aeroporto di Yerevan (Armenia, 25 settembre)Un Paese radicato nella fedeAll’arrivo all’aeroporto internazionale di Yerevan, il Papa è stato accolto dal Presidente della Repubblica Armena,  il Sig. Robert Kotcharian, dalle Autorità politiche e civili, dal Catholicos Patriarca Supremo di tutti gli Armeni, S.S. Karekin II, dagli Ordinari della Chiesa Cattolica in Armenia, dai membri del Corpo Diplomatico e dal Nunzio Apostolico  Mons. Peter Stephan Zurbriggen. Dopo i saluti del Presidente della Repubblica Armena, Sig. Robert Kotcharian, e del Catholicos Karekin II, il Santo Padre ha pronunciato unl discorso in lingua inglese di cui pubblichiamo di seguito la traduzione in lingua italiana: Signor Presidente,Santità,Cari Amici dell’Armenia!1. Rendo grazie a Dio Onnipotente perché oggi, per la prima volta, il Vescovo di Roma si trova sul suolo armeno, in questa antica ed amata terra, della quale così cantava il vostro grande poeta Daniel Varujan: “Dai villaggi fino agli orizzonti / si estende la maternità della vostra terra” (Il richiamo delle terre). Da lungo tempo ho atteso questo momento di grazia e di gioia, e in modo speciale sin dalle visite in Vaticano effettuate da Lei, Signor Presidente, e da Lei, Santità, Supremo Patriarca e Catholicos di Tutti gli Armeni.Le sono profondamente grato, Signor Presidente, per le gentili parole di benvenuto che mi ha rivolto a nome del Governo e degli abitanti dell’Armenia. Ringrazio altresì le Autorità Civili e Militari, come pure il Corpo Diplomatico accreditato in Armenia, per avermi dato oggi il benvenuto. Nel rivolgermi a Lei, Signor Presidente, desidero estendere l’espressione della mia stima e della mia amicizia non soltanto ai concittadini che vivono in patria, ma anche ai milioni di Armeni sparsi in tutto il mondo, i quali rimangono fedeli al loro retaggio e alla loro identità, ed oggi guardano alla loro terra di origine con rinnovato orgoglio e contentezza. Anche nel loro cuore pulsano i sentimenti espressi da Varujan in una sua poesia: “È squisito per il mio cuore tuffarsi nell’onda luminosa di azzurro, / naufragare – se è necessario – nei fuochi celesti; / conoscere nuove stelle, l’antica patria perduta, / da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo” (Notte sull’aia).2. Santità, Catholicos Karekin, abbraccio con fraterno amore nel Signore Lei e la Chiesa che Ella presiede. Senza il Suo incoraggiamento io non sarei ora qui, come pellegrino in viaggio spirituale per onorare la straordinaria testimonianza di vita cristiana offerta dalla Chiesa Apostolica Armena lungo tanti secoli, e soprattutto nel ventesimo secolo, che per voi è stato un tempo di indicibile terrore e sofferenza. Nel 1700E anniversario della proclamazione del Cristianesimo come religione ufficiale di questa terra amatissima, l’intera Chiesa Cattolica condivide la vostra intima gioia e quella di tutti gli Armeni.Porgo il mio abbraccio ai Fratelli Vescovi e a tutti i fedeli della Chiesa Cattolica in Armenia e delle regioni vicine, lieto di confermarvi nell’amore del nostro Signore Gesù Cristo, come pure nel servizio al prossimo e al vostro Paese.3. Sono profondamente commosso al pensiero della gloriosa storia del Cristianesimo in questa terra, che, secondo la tradizione, si rifa’ alla predicazione degli apostoli Taddeo e Bartolomeo. In seguito, attraverso la testimonianza e l’opera di san Gregorio l’Illuminatore, il Cristianesimo divenne, per la prima volta, la fede di un’intera Nazione. Gli Annali della Chiesa universale affermeranno per sempre che le genti dell’Armenia furono le prime, come popolo, ad abbracciare la grazia e la verità del Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo. Da quei tempi epici, la vostra Chiesa non ha mai cessato di cantare le lodi di Dio Padre, di celebrare il mistero della morte e risurrezione del Figlio suo Gesù Cristo, e di invocare l’aiuto dello Spirito Santo, il Consolatore. Voi custodite con zelo la memoria dei vostri numerosi martiri, e in verità il martirio è stato un marchio speciale della Chiesa e del popolo armeni.4. Il passato dell’Armenia è inseparabile dalla sua fede cristiana. La fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo contribuirà ugualmente anche al futuro che la Nazione sta costruendo, dopo le devastazioni del secolo passato. Signor Presidente, cari Amici, avete appena celebrato il decimo anniversario della vostra indipendenza. Si è trattato di un passo significativo sul cammino verso una società giusta e armoniosa, nella quale tutti si sentano pienamente come a casa e possano vedere rispettati i loro legittimi diritti. Tutti, e in particolare, quanti sono responsabili della cosa pubblica, sono chiamati oggi a un genuino impegno per il bene comune, nella giustizia e nella solidarietà, ponendo il progresso del popolo davanti a qualsiasi altro interesse parziale. E questo è vero anche nell’urgente ricerca della pace in questa regione. La pace può essere costruita solo sulle solide fondamenta del rispetto reciproco, della giustizia nelle relazioni fra comunità diverse, e nella magnanimità da parte dei forti.L’Armenia è divenuta membro del Consiglio d’Europa, e ciò indica la vostra determinazione di operare con decisione e coraggio nel porre in atto le riforme democratiche delle istituzioni dello Stato, necessarie per garantire il rispetto dei diritti umani e civili dei cittadini. Sono tempi difficili, ma anche tempi che sfidano la Nazione e le infondono coraggio. Ognuno deve fermamente decidere di amare la propria terra e di sacrificare se stesso per il genuino sviluppo come pure per il benessere spirituale e materiale del suo popolo!Dio benedica il popolo armeno con la libertà, la prosperità e la pace! La preghiera al Memoriale di TzitzernakaberdIl grido di AbeleMercoledì 26 settembre Giovanni Paolo II e S.S. Karekin II si sono recati al Memoriale di Tzitzernakaberd, complesso architettonico costruito a Yerevan a ricordo delle vittime armene cadute nel 1915 per mano dell’Impero Ottomano. Qui dopo aver pregato insieme per tutte le vittime della nazione armena e per la pace nel mondo, il Papa ha recitato una preghiera in lingua inglese di cui pubblichiamo di seguito anche la traduzione in lingua italiana: O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!Ascolta, o Signore, il lamento che si leva da questo luogo,l’invocazione dei morti dagli abissi del Metz Yeghérn,il grido del sangue innocente che implora come il sangue di Abele,come Rachele che piange per i suoi figli perché non sono più.Ascolta, o Signore, la voce del Vescovo di Roma,che riecheggia la supplica del suo Predecessore, il Papa Benedetto XV,quando nel 1915 alzò la voce in difesa“del popolo armeno gravemente afflitto,condotto alla soglia dell’annientamento”. Guarda al popolo di questa terra,che da così lungo tempo ha posto in te la sua fiducia,che è passato attraverso la grande tribolazionee mai è venuto meno alla fedeltà verso di te.Asciuga ogni lacrima dai suoi occhie fa che la sua agonia nel ventesimo secololasci il posto ad una messe di vita che dura per sempre. Profondamente turbati dalla terribile violenza inflitta al popolo armeno,ci chiediamo con sgomento come il mondo possa ancoraconoscere aberrazioni tanto disumane. Ma rinnovando la nostra speranza nella tua promessa, o Signore,imploriamo riposo per i defunti nella pace che non ha fine,e la guarigione, mediante la potenza del tuo amore, di ferite ancora aperte.La nostra anima anela a te, Signore, più che la sentinella il mattino,mentre attendiamo il compimento della redenzione conquistata sulla Croce,la luce di Pasqua che è l’alba di una vita invincibile,la gloria della nuova Gerusalemme dove la morte non sarà più. O Giudice dei vivi e dei morti, abbi pietà di noi!Signore pietà, Cristo pietà, Signore pietà (in Armeno) Incontro ecumenico nella nuova cattedrale apostolica di S. Gregorio l’Illuminatore a YerevanUno scambio di doniAlle 18 di mercoledì 26 settembre Giovanni Paolo II e S.S. il Catholicos Karekin II si sono recati nella nuova Cattedrale Apostolica di S. Gregorio l’Illuminatore a Yerevan, edificata in occasione del 1700° anniversario della proclamazione del Cristianesimo come religione ufficiale dell’Armenia e consacrata nei giorni scorsi. La chiesa ospita la reliquia di S. Gregorio l’Illuminatore che il Papa ha donato lo scorso anno alla Chiesa armena apostolica. Dopo l’omelia del Catholicos Karekin II, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha pronunciato in lingua armena un’omelia di cui pubblichiamo di seguito la traduzione in lingua italiana: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133, 1)Sia lodato Gesù Cristo!1. La scorsa domenica, Vostra Santità e l’intero Catholicossato di Etchmiadzin hanno avuto la gioia di consacrare questa nuova Cattedrale di san Gregorio l’Illuminatore, quale degno memoriale dei diciassette secoli di fedeltà dell’Armenia al Signore nostro e Salvatore Gesù Cristo. Questo splendido Santuario testimonia la fede consegnatavi dai vostri padri, e parla a tutti noi della speranza che oggi muove il popolo armeno a guardare al futuro con rinnovata fiducia e coraggiosa determinazione.Per me, presiedere con Vostra Santità questa Liturgia Ecumenica è sorgente di grande gioia personale. È come se fosse la continuazione della nostra Preghiera comune dell’anno scorso nella Basilica di san Pietro a Roma. Là, insieme, abbiamo venerato la reliquia di san Gregorio l’Illuminatore, ed il Signore ci dona oggi di ripetere lo stesso gesto qui a Yerevan. Abbraccio Vostra Santità con lo stesso fraterno affetto con il quale Ella mi salutò durante la visita a Roma.Sono grato a Sua Eccellenza il Presidente della Repubblica, per la Sua presenza a questo incontro ecumenico, segno della nostra comune convinzione che la Nazione sarà rigogliosa e prospera in virtù del reciproco rispetto e della cooperazione di tutte le sue Istituzioni. Il mio pensiero si rivolge in questo momento a Sua Santità Aram I, Catholicos della Grande Casa di Cilicia, come pure ai Patriarchi Armeni di Gerusalemme e di Costantinopoli: invio loro un saluto nell’amore del Signore. Saluto cordialmente i distinti membri di tutte le istanze civili e religiose e le comunità qui rappresentate questa sera.2. Quando, attraverso la predicazione di san Gregorio, il re Tiridate III si convertì, una nuova luce albeggiò nella lunga storia del popolo armeno. L’universalità della fede si unì in maniera inseparabile con la vostra identità nazionale. La fede cristiana si radicò in modo permanente in questa terra, raccolta attorno al monte Ararat, e la parola del Vangelo influenzò profondamente la lingua, la vita familiare, la cultura e l’arte del popolo armeno.Pur preservando e sviluppando la propria identità, la Chiesa Armena non esitò ad impegnarsi nel dialogo con altre tradizioni cristiane, attingendo al loro patrimonio spirituale e culturale. Già sin dagli inizi, non soltanto le Sacre Scritture, ma anche le opere principali dei Padri Siriaci, Greci e Latini furono tradotte in armeno. La liturgia armena trasse la propria ispirazione dalle tradizioni liturgiche della Chiesa in Oriente e in Occidente. Grazie a questa straordinaria apertura di spirito, la Chiesa Armena, lungo la propria storia, è stata particolarmente sensibile alla causa dell’unità dei cristiani. Santi Patriarchi e Dottori, quali sant’Isacco Magno, Babghèn di Otmus, Zaccaria di Dzag, Nerses Šnorhali, Nerses di Lambron, Stefano di Salmasta, Giacomo di Julfa e altri, erano ben conosciuti per lo zelo verso l’unità della Chiesa.Nella sua lettera all’imperatore bizantino, Nerses Šnorhali delineò principi di dialogo ecumenico che non hanno perso niente della loro rilevanza. Tra le molte sue intuizioni, egli insiste sul fatto che la ricerca dell’unità è un compito di tutta la comunità e non si può lasciare che si creino divisioni all’interno delle Chiese; insegna inoltre che è necessaria una sanazione dei ricordi per superare i risentimenti e i pregiudizi del passato, come è pure indispensabile il mutuo rispetto e un senso di uguaglianza tra gli interlocutori che rappresentano le rispettive Chiese; infine, egli dice che i cristiani devono avere una profonda convinzione interiore che l’unità è essenziale non per un vantaggio strategico o un guadagno politico, ma per l’interesse della predicazione del Vangelo come Cristo comanda. Le intuizioni di questo grande Dottore armeno sono frutto di una straordinaria saggezza pastorale, e le faccio mie mentre sono oggi tra voi.3. “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme!” (Sal 133, 1). Quando nel 1970 il Papa Paolo VI e il Catholicos Vazken I si scambiarono il bacio della pace, lanciarono una nuova era di contatti fraterni tra la Chiesa di Roma e la Chiesa Armena. Il loro incontro fu seguito presto da altre importanti visite. Io stesso conservo memorie veramente liete delle visite a Roma di Sua Santità Karekin I, prima come Catholicos della Gran Casa di Cilicia, poi come Catholicos di Etchmiadzin. Sin da quando egli prese parte come osservatore al Concilio Ecumenico Vaticano II, il Catholicos Karekin I non cessò mai di operare per promuovere relazioni fraterne e cooperazione pratica fra i cristiani dell’Oriente e dell’Occidente. Avrei vivamente desiderato di rendergli visita qui in Armenia, ma la sua cattiva salute e poi la prematura morte resero ciò impossibile. Rendo grazie al Signore per averci dato questo grande uomo di Chiesa, un saggio e coraggioso campione dell’unità dei cristiani.Santità, sono lieto di poter restituire la visita da Lei fattami a Roma, insieme con una delegazione di Vescovi e di fedeli armeni. Interpretai allora il Suo generoso invito a visitare l’Armenia e la Santa Etchmiadzin come un grande segno di amicizia e di carità ecclesiale. Per lunghi secoli i contatti tra la Chiesa Armena Apostolica e la Chiesa di Roma furono intensi e calorosi, e il desiderio della piena unità non scomparì mai del tutto. La mia visita oggi testimonia il nostro condiviso anelito di giungere alla piena unità che il Signore ha voluto per i suoi discepoli. Siamo vicini al Monte Ararat, dove, secondo la tradizione, l’Arca di Noè trovò l’approdo. Come la colomba ritornò con il ramo d’ulivo della pace e dell’amore (cfr Gn 8, 11), così prego perché la mia visita sia come una consacrazione della ricca e fruttuosa collaborazione già esistente tra noi.Vi è una reale ed intima unità fra la Chiesa Cattolica e la Chiesa d’Armenia, dato che ambedue hanno preservato la successione apostolica e hanno validi Sacramenti, in modo particolare il Battesimo e l’Eucaristia. La consapevolezza di ciò ci deve ispirare ad operare ancor più intensamente per rafforzare il nostro dialogo ecumenico. In questo dialogo di fede e di amore, nessuna questione, per quanto difficile, dovrebbe essere trascurata. Conscio dell’importanza del ministero del Vescovo di Roma nella ricerca dell’unità dei cristiani, ho chiesto – nella mia Lettera enciclica Ut unum sint – che i Vescovi e i teologi delle nostre Chiese riflettano sulle “forme nelle quali questo ministero può realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” (n. 95). L’esempio dei primi secoli della vita della Chiesa ci può guidare in questo discernimento. La mia preghiera ardente è che possa nuovamente realizzarsi quello “scambio di doni” di cui la Chiesa del primo millennio diede meraviglioso esempio. Possa la memoria del tempo in cui la Chiesa respirava con “ambedue i polmoni” spronare i cristiani dell’Oriente e dell’Occidente a camminare insieme nell’unità della fede e nel rispetto delle legittime diversità, accettandosi e sostenendosi gli uni gli altri quali membra dell’unico Corpo di Cristo (cfr Novo millennio ineunte, 48).4. Con un cuore solo contempliamo Cristo nostra pace, che ha unito ciò che un tempo era diviso (cfr Ef 2, 14). In verità, il tempo ci sollecita e il nostro è un dovere sacro e urgente. Dobbiamo proclamare la Buona Novella della salvezza agli uomini e alle donne della nostra epoca. Dopo aver sperimentato il vuoto spirituale del comunismo e del materialismo, essi cercano il sentiero della vita e della felicità: sono assetati di Vangelo. Abbiamo una grande responsabilità nei loro confronti, ed essi si attendono da noi una testimonianza convincente di unità nella fede e nel reciproco amore. Poiché operiamo per la piena comunione, facciamo insieme quanto non dobbiamo fare separatamente. Lavoriamo insieme, nel pieno rispetto delle nostre distinte identità e tradizioni. Mai più cristiani contro cristiani, mai più Chiesa contro Chiesa! Camminiamo piuttosto insieme, mano nella mano, affinché il mondo del ventunesimo secolo e del nuovo millennio possa credere.5. Gli Armeni hanno sempre avuto grande venerazione per la Croce di Cristo. Lungo i secoli, la Croce è stata la loro inesauribile sorgente di speranza in tempi di prova e di sofferenza. Una caratteristica toccante di questa terra sono le molte croci in forma di katchkar, che testimoniano la vostra salda fedeltà alla fede cristiana. In questo tempo dell’anno, la Chiesa armena celebra una delle sue grandi feste: l’Esaltazione della Santa Croce.Innalzato da terra sul legno della Croce, Cristo Gesù, nostra salvezza, vita e risurrezione, ci attira tutti a sé (cfr Gv 12, 32).O Croce di Cristo, nostra vera speranza! Ogni qualvolta il peccato e la debolezza umana sono causa di divisione, donaci la forza di perdonare e di riconciliarci gli uni con gli altri. O Croce di Cristo, sii il nostro sostegno mentre operiamo per restaurare la piena comunione fra quanti guardano al Signore crocifisso, quale nostro Salvatore e nostro Dio. Amen.Vi ringrazio della vostra attenzione e invoco la benedizione di Dio sui nostri passi verso la piena unità. L’omelia durante la Messa nel giardino di Etchmiadzin ad Yerevan (Armenia)Tutti siete nati nella croceGiovedì 27 settembre, alle ore 9.30, il Papa ha celebrato la Messa secondo il Rito latino presso il “Grande Altare” nel giardino di Etchmiadzin. Prima della Celebrazione, S.S. il Catholicos Karekin II ha rivolto al Santo Padre un indirizzo di saluto. Ecco la traduzione italiana dell’omelia del Papa, pronunciata in armeno: Carissimi Fratelli e Sorelle!Vi saluto e vi benedico tutti!“Il Signore è mia luce e mia salvezza” (Sal 26, 1)1. Queste parole del Salmista risuonarono nel cuore degli Armeni quando, diciassette secoli fa, la fede cristiana, proclamata per la prima volta in questa terra dagli apostoli Bartolomeo e Taddeo, divenne la religione della Nazione. Da quel tempo in poi i cristiani armeni sono vissuti e morti nella grazia e nella verità (cfr Gv 1, 17) del Signore nostro Gesù Cristo. La luce e la salvezza del Vangelo vi hanno ispirato e sostenuto in ogni fase del vostro pellegrinaggio lungo i secoli. Noi oggi onoriamo e commemoriamo la fedeltà dell’Armenia a Gesù Cristo in questa Eucaristia, che Sua Santità il Catholicos Karekin II, con fraterno amore, mi ha invitato a celebrare sul sacro suolo dove il Figlio di Dio è apparso al vostro padre nella fede, san Gregorio l’Illuminatore.Quanto il Vescovo di Roma ha atteso questo giorno! Con intensa gioia, saluto Sua Santità il Catholicos, i suoi confratelli Arcivescovi e Vescovi, come pure tutti i fedeli della Chiesa Apostolica Armena. Saluto calorosamente l’Arcivescovo Nerses Der Nersessian con l’Arcivescovo Coadiutore Vartan Kechichian e, attraverso di loro, il mio pensiero si rivolge a Sua Beatitudine il Patriarca Nerses Bedros XIX e ai Vescovi e fedeli Armeni Cattolici sparsi per il mondo. Abbraccio i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, e voi tutti, figli e figlie della Chiesa Cattolica Armena. Do il mio benvenuto al Vescovo Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso dei Latini, e a quanti sono giunti dalla Georgia e da altre parti del Caucaso.2. Per molti anni la voce del sacerdote non risuonò più nelle vostre chiese, e tuttavia la voce della fede del popolo era ancora udita, colma di devozione e di affetto filiale al Successore dell’apostolo Pietro.Quando uomini dal cuore malvagio spararono alla Croce del campanile di Panik, essi cercavano di offendere quel Dio in cui non credevano. Ma la loro violenza era diretta anzitutto contro il popolo, che aveva raccolto le pietre per costruire una casa al Signore; contro di voi, che in quelle chiese avevate ricevuto il dono della fede nelle acque del Battesimo e il dono dello Spirito Santo nella Cresima; contro di voi, che in esse vi riunivate per condividere il banchetto celeste alla mensa dell’Eucaristia; contro di voi, i cui matrimoni, in quei luoghi di preghiera, erano stati benedetti così che le vostre famiglie fossero sante, e che lì avevate dato l’estremo saluto ai vostri cari nella sicura speranza di essere riuniti con loro un giorno in Paradiso.Aprirono il fuoco contro la Croce; e tuttavia, voi continuaste a cantare le lodi del Signore, custodendo e venerando la veste sacerdotale del vostro ultimo prete, quale traccia della sua presenza in mezzo a voi. Cantavate i vostri inni nella sicura consapevolezza che dal Cielo la sua voce era unita alla vostra nella lode a Cristo, l’eterno Sommo Sacerdote. Adornavate i vostri luoghi di culto al meglio che potevate; e oltre alle immagini di Gesù e di sua Madre Maria, vi era spesso l’immagine del Papa di Roma insieme a quella del Catholicos della Chiesa Apostolica Armena. Avevate compreso che ovunque i cristiani soffrivano, anche se divisi tra di loro, esisteva già una profonda unità.3. Questa è la ragione per cui la vostra storia recente non è stata segnata dalla triste opposizione tra le Chiese, che ha travagliato i cristiani in altre terre non lungi da qui. Ricordo ancora quando, una volta scomparso l’inverno dell’ateismo ideologico, il defunto Catholicos Vazken I invitò la Santa Sede di Roma a mandare un sacerdote per i cattolici di Armenia. Scelsi allora per voi Padre Komitas, uno dei figli spirituali dell’Abate Mechitar. Quest’anno la comunità mechitarista celebra i trecento anni di fondazione. Rendiamo grazie al Signore per la gloriosa testimonianza che i monaci hanno dato; e manifestiamo loro la nostra gratitudine per quanto stanno facendo per rinnovare la cultura armena!Benché non fosse più giovane, Padre Komitas accettò immediatamente e con entusiasmo di unirsi a voi nel compito difficile della ricostruzione. Venne a vivere a Panik, dove restaurò la Croce che le armi da fuoco avevano tentato di distruggere. Con spirito fraterno nei confronti del clero e dei fedeli della Chiesa Apostolica Armena, riaprì e abbellì la chiesa per i cattolici, che l’avevano difesa così a lungo. Ora egli riposa al lato di essa, vicino anche nella morte al suo popolo, mentre attende la risurrezione dei giusti.4. In seguito, con la fraterna comprensione del Catholicos Vazken, che nel Parlamento nazionale difese i diritti dei cattolici in Armenia, sono stato in grado di inviarvi come Pastore un altro mechitarista, Padre Nerses, che consacrai Vescovo nella Basilica di san Pietro. Egli è figlio di un confessore della fede che pagò la sua fedeltà a Cristo nelle prigioni comuniste. All’Arcivescovo Nerses voglio dire una parola speciale di gratitudine. Quando ne fu richiesto, egli lasciò prontamente la sua amata comunità mechitarista nell’isola di san Lazzaro a Venezia per venire a rendere il suo servizio tra di voi come padre amorevole e maestro rispettato. Ora è aiutato dall’Arcivescovo Vartan, un altro figlio spirituale dell’Abate Mechitar. Auguro anche a lui un lungo e fruttuoso ministero pastorale.Insieme con il suo Vicario precedente, divenuto in seguito Vescovo dei cattolici armeni in Iran, ed ora con l’Arcivescovo Coadiutore, i sacerdoti e le religiose che spendono così generosamente le loro energie per amore del Vangelo, l’Arcivescovo Nerses vi ha insegnato e vi ha fatto vedere che la Chiesa Cattolica in questa terra non è una rivale. I nostri rapporti sono improntati a spirito fraterno. Come negli anni del silenzio avevate posto l’immagine del Papa accanto a quella del Catholicos, così oggi in questa liturgia pregheremo non solo per la gerarchia cattolica, ma anche per Sua Santità Karekin II, Catholicos di Tutti gli Armeni.Nella sua cortesia, Santità, Ella ha invitato il Vescovo di Roma a celebrare l’Eucaristia con la comunità cattolica nella Santa Etchmiadzin e Lei ci onora della Sua presenza in questa gioiosa circostanza. Non è forse, questo, un segno meraviglioso della nostra fede comune? Non esprime forse l’ardente desiderio di tanti fratelli e sorelle, i quali desiderano di vederci procedere speditamente sulla via dell’unità? Il mio cuore brama di accelerare il giorno in cui celebreremo insieme il Divino Sacrificio, che fa di tutti noi una cosa sola. In questo, che è il Suo altare, Santità, chiedo al Signore di perdonare le nostre passate mancanze contro l’unità e di condurci all’amore che sorpassa ogni barriera.5. Carissimi Fratelli e Sorelle cattolici, siete giustamente fieri di questa antica terra dei vostri padri, e voi stessi siete eredi della sua storia e cultura. Nella Chiesa Cattolica l’inno di lode si innalza a Dio da molti popoli e in molte lingue.Ma questo amalgama di voci diverse in un’unica melodia non distrugge in alcun modo la vostra identità di Armeni. Voi parlate la dolce lingua dei vostri antenati. Cantate la vostra liturgia come vi è stata insegnata dai santi Padri della Chiesa Armena. Con i vostri fratelli della Chiesa Apostolica, date testimonianza al medesimo Signore Gesù, che non è diviso. Voi non appartenete né ad Apollo né a Cefa, né a Paolo: “Voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1 Cor 3, 23).6. Come Armeni, con gli stessi diritti e gli stessi doveri di tutti gli altri Armeni, voi aiutate a ricostruire la Nazione. In tale compito di grande rilievo, sono certo che i nostri fratelli e sorelle della Chiesa Apostolica Armena considerano i membri della comunità cattolica quali figli della stessa Madre, la terra benedetta dell’Armenia, terra di martiri e di monaci, di dotti e di artisti. Le divisioni intervenute hanno lasciato le radici intatte. Dobbiamo gareggiare tra noi non nel creare divisioni o nell’accusarci reciprocamente, bensì nel dimostrarci mutua carità. L’unica competizione possibile tra i discepoli del Signore è quella di verificare chi è in grado di offrire l’amore più grande! Ricordiamo le parole del vostro grande Vescovo Nerses di Lambron: “Non vi è modo di essere in pace con Dio, per nessuno, se prima non è stabilita la pace con gli uomini… Se amiamo e questa è la nostra misura, l’amore sarà la nostra parte; se nostra misura sono il rancore e l’odio, ci attendono rancore e odio”.Oggi l’Armenia attende da tutti i suoi figli e figlie vivaci sforzi e rinnovati sacrifici. L’Armenia ha bisogno che tutti i suoi figli lavorino di tutto cuore per il bene comune. Solo questo assicurerà che il servizio onesto e generoso di quanti operano nella vita pubblica sia ricompensato con la fiducia e la stima del popolo; che le famiglie siano unite e fedeli; che ogni vita umana sia accolta amorevolmente sin dal momento del concepimento e premurosamente curata anche quando è colpita da malattia o da povertà. E dove potrete trovare forza per questo grande impegno comune? La troverete dove il popolo armeno ha sempre trovato l’ispirazione per perseverare nei suoi alti ideali e per difendere la propria eredità culturale e spirituale: nella luce e nella salvezza che viene a voi da Gesù Cristo.L’Armenia ha fame e sete di Gesù Cristo, per il quale molti dei vostri antenati diedero la vita. In questi tempi difficili, le persone sono alla ricerca di pane. Ma quando lo hanno, il loro cuore vorrebbe di più, vorrebbe una ragione per vivere, una speranza che le sostenga nel quotidiano duro lavoro. Chi le spingerà a porre la propria fiducia in Gesù Cristo? Voi, cristiani d’Armenia, tutti voi insieme!7. Tutti i cristiani armeni guardano insieme alla Croce di Gesù Cristo quale unica speranza del mondo, e vera luce e salvezza dell’Armenia. Tutti siete nati sulla Croce, dal fianco squarciato di Cristo (cfr Gv 19, 34). Avete cara la Croce perché sapete che è vita e non morte, vittoria e non sconfitta. Voi lo sapete, perché avete appreso la verità che san Paolo proclama ai Filippesi: la sua incarcerazione è servita soltanto a far progredire il Vangelo (1, 12). Considerate la vostra amara esperienza, che fu pure, a suo modo, una forma di incarcerazione. Avete preso su di voi la vostra Croce (cfr Mt 16, 24) ed essa non vi ha distrutto! Anzi, vi ha ricreati in modi misteriosi e meravigliosi. Questa è la ragione per cui, dopo mille e settecento anni, potete affermare con le parole di Michea: “Non gioire della mia sventura, o mia nemica! Se sono caduta mi rialzerò; se siedo nelle tenebre, il Signore sarà la mia luce” (7, 8). Cristiani d’Armenia, dopo la grande prova, ora è tempo di rialzarsi! Risorgete con Colui che in ogni epoca è stato la vostra luce e la vostra salvezza!8. In questo pellegrinaggio ecumenico, desideravo ardentemente visitare i luoghi dove i fedeli cattolici vivono in gran numero. Avrei voluto pregare sulle tombe delle vittime del terribile terremoto del 1988, sapendo che molti ne soffrono ancora le tragiche conseguenze. Desideravo visitare personalmente l’ospedale Redemptoris Mater, al quale io stesso sono stato felice di contribuire quando l’Armenia era in difficoltà, e che so essere molto apprezzato per il servizio che offre, grazie all’infaticabile lavoro dei Camilliani e delle Piccole Sorelle di Gesù. Ma niente di ciò è stato, purtroppo, possibile. Sappiate che tutti voi avete un posto nel mio cuore e nelle mie preghiere.Carissimi Fratelli e Sorelle, quando tornerete a casa da questo santo luogo, ricordate che il Vescovo di Roma è venuto per onorare la fede del popolo armeno, del quale siete parte a lui specialmente cara. Egli è venuto per celebrare la vostra fedeltà e il vostro coraggio, e per lodare Dio che vi ha concesso di vedere il giorno della libertà. Qui, presso questo splendido altare, ricordiamoci di quanti hanno combattuto per vedere questo giorno e non lo videro, ma lo contemplano ora nella gloria eterna del Regno di Dio.La gran Madre di Dio, da voi teneramente amata, vegli sui suoi figli armeni, e tutti custodisca per sempre – i piccoli, i giovani, le famiglie, gli anziani, i malati – sotto il suo manto protettore.Armenia semper fidelis! La benedizione di Dio sia sempre con voi! Amen. Il saluto di congedo dall’Armenia (aeroporto Zvartnotz)Proseguite nel sentiero della paceGiovedì 27 settembre, alle 18, lasciato il Monastero di Khor Virap, il Papa si è trasferito all’aeroporto internazionale Zvartnotz di Yerevan per il ritorno a Roma. Dopo il saluto del Presidente della Repubblica di Armenia, Sig. Robert Kotcharian, e del Catholicos Patriarca di tutti gli Armeni, S.S. Karekin II, Giovani Paolo II ha pronunciato il discorso di commiato in lingua inglese. Ne pubblichiamo la traduzione in lingua italiana Eccellenza Presidente Kocharian,Santità,Carissimi amici armeni!1. È giunto il tempo di congedarci e di ringraziare Lei, Signor Presidente, e i membri del Governo per la splendida ospitalità che ho trovato in Armenia. Sono grato a tutti, alle autorità e ai collaboratori, civili e militari, agli uomini e alle donne della comunicazione, a quanti hanno speso tempo e perizia per rendere questa visita un successo.Con profonda emozione esprimo la mia gratitudine a Lei, Santità, Supremo Patriarca e Catholicos, alla Gerarchia e ai fedeli della Chiesa Apostolica Armena per lo spirito di amore fraterno e di comunione che abbiamo condiviso in questi giorni.2. Saluto con affetto voi, carissimi Arcivescovo Nerses, Arcivescovo Vartan, Vescovo Giuseppe; e voi, sacerdoti, consacrati, consacrate e fedeli laici della Chiesa Cattolica: con gioia intensa abbiamo celebrato insieme il mistero della nostra fede, e ho sperimentato personalmente il vostro desiderio di operare insieme con i vostri compatrioti per una maggiore giustizia e per una vita migliore dei cittadini armeni. Il Papa vi porta nel suo cuore e Dio stesso vi darà la forza per affrontare le sfide che vi stanno davanti.Desidero manifestare ancora una volta la mia stima nei confronti dei rappresentanti di tutte le Chiese e Comunità ecclesiali, che hanno preso parte agli eventi di questa mia visita. Che tutti i seguaci di Cristo crescano nella fiducia e nell’amicizia ecumenica, mentre ci inoltriamo nel Terzo Millennio e proseguiamo sulla strada di una sempre più stretta unione e collaborazione!3. Grazie a te, popolo d’Armenia, per il calore della tua amicizia, per la preghiera che abbiamo condiviso, per il tuo ardente desiderio dell’unità dei cristiani. Grazie soprattutto per la testimonianza della tua fede; una fede che non hai mai abbandonato durante i tempi oscuri; una fede che rimane profondamente radicata nelle tue famiglie e nella tua vita nazionale.Lungo la storia, il monte Ararat è stato un simbolo di stabilità e una sorgente di fiducia per il popolo armeno. Varie volte tale stabilità e fiducia sono state duramente provate dalla violenza e dalla persecuzione. Il popolo armeno ha pagato a caro prezzo la sua esistenza di frontiera, così che i termini “santità” e “martirio” sono divenuti quasi sinonimi nel vostro vocabolario. Le terribili vicende che all’inizio del secolo scorso hanno condotto il vostro popolo “alla soglia dell’annientamento”, i lunghi anni di oppressione totalitaria, la devastazione di un disastroso terremoto: nessuno di questi fatti è stato in grado di impedire all’animo armeno di ritrovare coraggio e di recuperare la sua grande dignità.4. È vero, questi sono anni difficili e il vostro cuore è talvolta stanco e turbato. Molti vostri giovani hanno lasciato la terra dove sono nati; non vi è sufficiente lavoro e la povertà persiste; è difficile continuare a lavorare per il bene comune. Ma, carissimi amici armeni, rimanete saldi nella speranza! Ricordatevi che avete posto la vostra fiducia in Cristo e avete detto di sì a lui per sempre.Sostenuti dai vostri fratelli e sorelle armeni in tutto il mondo, siete impegnati nel compito di ricostruire nella libertà il vostro Paese e la vostra società.Il tempo è maturo perché la vostra Nazione riunisca le sue risorse culturali e le energie spirituali in un grande sforzo concertato per promuovere il suo sviluppo e la sua prosperità sulla base delle fondamentali verità della sua eredità cristiana: la dignità di ogni essere umano, la centralità della persona in ogni relazione e situazione, l’imperativo morale di eguale giustizia per tutti e di solidarietà con i deboli e i meno fortunati. Prego inoltre il Signore affinché i leaders dell’Armenia e degli altri Popoli della regione abbiano la saggezza e la perseveranza di procedere coraggiosamente sul sentiero della pace, poiché senza la pace non vi potrà essere genuino sviluppo e prosperità.5. Nel congedarmi da voi, sono pieno di fiducia, poiché ho visto la vostra capacità di ripresa e la nobiltà delle vostre aspirazioni. Risuonino sempre nel cuore degli Armeni le parole del vostro grande poeta Hovannès Tumaniàn sulla patria:“Tu resti viva, ritta in piedi nelle tue piaghesul misterioso cammino del passato, del presentein piedi, saggia e pensosa, e triste, con il tuo Dio…E verrà quest’aurora ove felice è la vita,questa luce alla fine in mille e mille animee sui fianchi sacri del tuo monte Araratirraggerà alla fine il fuoco dell’avvenire.Allora canti nuovi e nuovi poemisaranno con l’aurora sulle labbra dei poeti”.San Gregorio l’Illuminatore e il gran numero di Martiri e Santi armeni veglino sul vostro presente e sul vostro futuro! La Madre di Cristo, Arca della Nuova Alleanza, guidi l’Armenia alla pace che è oltre il diluvio, la pace di Dio il quale ha posto il suo arcobaleno tra le nubi quale segno del suo amore che non ha fine (cfr Gn 9, 13).Grazie, Signor Presidente! Grazie, carissimo Fratello Karekin! Grazie a voi tutti!