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CARDINI: Una delle figure più splendenti nella storia della Chiesa
Come chiunque si sforzi di viver da uomo di fede, anch’io soffro d’infiniti dubbi. Le «certezze della fede» non sono mai in quanto tali assolute, perché l’assolutezza sta solo dalla parte della perfezione e noi tutti siamo imperfetti. Il dubbio e la paura sono nostri compagni, dobbiamo imparare a conviver con loro come a dominarli e a non permetter mai loro d’impadronirsi di noi: ma ci camminano a fianco, ed è attraverso di loro che passa la tentazione.
Sono nato nel 1940: ho conosciuto finora il regno mi piace chiamarlo così, ne sono orgoglioso di cinque pontefici: tre grandissimi, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI; uno profondamente buono, che avrebbe forse saputo esser non meno grande, Giovanni Paolo I; e questo, Karol Wojtyla, una delle figure più splendenti e gloriose non ho dubbi nell’affermarlo: e so di non far alcuna retorica di tutto il XX secolo e dell’intera storia della Chiesa e dello spirito umano.
Un grande combattente, un grande testimone, un grande maestro. È grazie a lui che abbiamo saputo metabolizzare appieno l’alta ma anche ardua sostanza del Concilio Vaticano II e armonizzarla al tempo stesso con la secolare tardizione cattolica, vivendo quella coerenza tra l’uno e l’altra che, secondo alcuni, appariva appannata e compromessa. Egli ha contribuito a rinnovare profondamente il mondo liberandolo dalla tirannia del totalitarismo sovietico, che dalla sua forte e pacata azione ha ricevuto forse il colpo di grazia: ma al tempo stesso ha teso con dolce vigore la mano ai popoli che ne erano stati vittime e li ha potentemente aiutati a tornar alla vita civile (il protagonista della perestrojka, Michail Gorbaciov, ne fu ammirato e riconoscente testimone). Ma quest’uomo che ha lottato senza quartiere il comunismo e qualunque altra forma di tirannia, ha al tempo stesso saputo senza paura metterci in guardia anche contro gli altri mali: contro i pericoli che derivano dal materialismo della società dei consumi e del profitto, contro l’antica e nuova tirannia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, contro il capitalismo feroce che non ha pietà né dei poveri né della natura e che tutto vorrebbe sottomettere alla sua spietata logica d’arricchimento. Giovanni Paolo II ci ha richiamati alla dottrina sociale della Chiesa, il cui Compendio ha voluto far ristampare dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: e, parlando il 4 maggio del 1987 dinanzi al duomo di Spira alle genti d’Europa, ha ricordato che senza solidarietà e senza giustizia sociale non si costruirà mai alcuna vera unione europea.
È stato maestro anche di patriottismo europeo, sostenendo con coraggio la nacessità di tener sempre presenti quelle radici cristiane d’Europa che qualcuno vorrebbe dimenticare e nascondere. Non ha mai indietreggiato dinanzi a nulla e a nessuno quando si è trattato di portar la parola del Cristo: sfidando il fariseismo dei benpensanti, ha parlato anche ai dittatori, ha accettato di colloquiare con Pinochet e con Castro, mai dimentico del principio cristiano di carità. Ha liberato il mondo cattolico dai residui della chiusura e dell’intolleranza accettando con gioia di entrar nella sinagoga di Roma e nella moschea di Damasco e di pregare insieme con gli ebrei e i musulmani indicando con questi stessi gesti così carichi di valore simbolico la via della pace, del dialogo, della comprensione reciproca, della fratellanza. Non ha mai avuto apura dei potenti della terra: minacciando l’anonimo potere della mafia, una volta – ce lo ricordiamo tutti – ha levato alta la sua croce pastorale: e per un attimo ci è parso che brandisse la Spada della Giustizia. Quando al principio del 2003 tutti i governi e i consessi internazionali tacevano imbarazzati o protestavano solo debolmente dinanzi alla Superpotenza che aveva scelto la guerra, lui solo ha levato alta – come Pio XII dinanzi al secondo conflitto mondiale – la sua parola di pace.