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PIOVANELLI: Tanti motivi per un solo grandissimo grazie

di Silvano PiovanellicardinaleIn questi giorni, ogni volta che il Papa si è affacciato alla finestra del Policlinico Gemelli o alla finestra del suo studio in piazza San Pietro, ho sentito stringermi il cuore: tu vedevi la sua sofferenza di non poter parlare e capivi subito che il suo corpo diventava una prigione sempre più stretta. Che impressione, l’ultima volta, quando ha chiesto il microfono, l’ha preso in mano e poi ha aperto la bocca, ma la voce non è uscita!

E tutte le volte la voglia che mi sono sentito dentro è stata quella di abbracciarlo. Abbracciarlo come mi capitò di fare nell’ottobre del 1986, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, dinanzi alla folla che aveva ascoltato la sua parola di Pastore della Chiesa universale. Ho sentito la voglia di abbracciarlo per dirgli la vicinanza affettuosissima della nostra preghiera e soprattutto, in quest’ultima pagina della sua testimonianza, dirgli grazie dal più profondo del cuore.

Grazie, Padre Santo, perché sei stato un testimone di speranza per tutto il mondo! Grazie, perché hai lottato per la libertà e la dignità dei popoli del mondo intero! Grazie, perché hai difeso la vita, l’innocenza dei bambini, il valore della donna, l’unità e la gioia della famiglia, il rispetto degli anziani! Grazie, perché hai capito i giovani ed hai acceso i loro cuori di entusiasmo per le cose belle e il servizio degli altri! Grazie, perché anche nei momenti più critici, hai difeso la pace ed hai lanciato ponti verso tutti, sperando contro ogni speranza!

Grazie, per aver riproposto a tutti con convinzione la santità come «misura alta» della vita cristiana ordinaria! Grazie, per aver riproposto e sviluppato il Concilio Vaticano II con l’abbondanza di un insegnamento altissimo e con una testimonianza ed un programma di vita al di là di ogni immaginazione!

Mille cose vengono in mente, segnate dalla sua presenza, illuminate dalla sua dottrina, sostenute dal suo personale impegno di testimonianza.

Ma un grazie particolare voglio dirlo per l’amore che ha avuto per la Toscana! Nel 1986, nella Visita ad limina, disse ai Vescovi: «La vostra Regione nel corso della sua lunga storia si è distinta in maniera del tutto eccezionale nel campo della cultura. Senza Firenze e la Toscana il mondo sarebbe stato diverso ed oggi apparirebbe umanamente più povero». Ed ha riconosciuto che la fioritura di poeti, artisti, pensatori, scienziati, costituisce «un fatto unico, reso possibile dalla stretta alleanza tra fede e cultura». Ha anche affermato che la Toscana, «universalmente nota per le suggestive bellezze del suo paesaggio e per i tesori insigni della sua arte», non lo è meno per «le radiose figure dei suoi santi» e per le gloriose tradizioni di fede e di solidarietà umana e cristiana che hanno caratterizzato ed ancor oggi segnano la sua storia.

Ha riconosciuto l’umanesimo fiorentino e toscano come «un evento profetico, aperto al futuro, dove si coniugavano la santità di Antonino Pierozzi, la spiritualità dell’Angelico, la veemenza del Savonarola, la pluricultura di Leonardo e di Michelangelo» ed ha affermato, nel salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio: «L’umanità si trova oggi nel travaglio di una mutazione senza precedenti, che non potrà avvenire nel senso della salvezza se non in virtù di una cultura nuova, a dimensioni planetarie. La forza vitale decisiva perché il trapasso da una cultura all’altra avvenga secondo una linea di crescente universalità, è la Fede, che, non identificandosi mai con una cultura data, offre all’uomo il punto di appoggio per sollevarsi oltre l’orizzonte di ciò che sta tramontando».

Non si possono dimenticare le parole impegnative che Egli pronunciò, nello stadio comunale di Firenze, durante la Messa di chiusura della sua Visita pastorale: «Questa eredità ha forse soltanto l’eloquenza del passato? L’eredità parla, l’eredità chiama». E ancora, in piazza della Signoria: «Vi esorto a ritrovare le energie interiori dello spirito, che la tradizione cristiana ha inserito nel vostro tessuto culturale e sociale e ad acquistare sempre più chiaramente la coscienza che voi siete chiamati a irradiare nel mondo quei valori immortali così luminosamente proclamati dai vostri Santi e dai vostri Grandi».

Sì, avrei voluto abbracciarLo il Papa quando si è affacciato in silenzio alla finestra del Gemelli e alla finestra del suo studio in Vaticano. E non soltanto per quello che Lui – per oltre 26 anni – è stato per la Chiesa e per l’umanità intera, ma, in particolare per quello che è stato negli ultimi giorni e negli ultimi momenti della sua vita terrena.La parola decisiva di Gesù è quella che Egli dice senza parlare; lo aveva predetto: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono». Anche per Giovanni Paolo II – come io penso per ogni uomo – la Parola più forte e piena è quella che ha detto quando non ha potuto più parlare: nel silenzio delle labbra, ha gridato la vita. Un grido di fede e di amore. Amore verso i fedeli, i suoi giovani, gli uomini e le donne dell’umanità intera, a cui vorrebbe ancora rivolgersi, che vorrebbe ancora salutare. Fede luminosa, per cui nel volto di Cristo contempla il suo tesoro, la sua gioia e, attraverso le braccia materne di Maria, si consegna all’amore del Padre.

Grazie, Padre Santo, di averci insegnato in mille modi, ma soprattutto con questo discorso scritto nella vita e non pronunciato dalle labbra, che il segreto della vita terrena è credere che Dio ci ama sino a donarci il Figlio e ci accoglie per sempre fra le braccia della sua misericordia senza limiti.

Ventisei anni fa, quando la Provvidenza ti scelse perché tu fossi la roccia visibile che dà saldezza alla Chiesa, tu ci dicesti: Non abbiate paura!

Alla fine della tua vita terrena, squassata da tante tempeste e in molti modi ferita, tu ci ripeti la stessa parola: Tu non hai avuto paura!