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Famiglia, matrimonio e unioni di fatto (26-07-2000) (I)
Presentazione
Uno dei fenomeni oggi più diffusi e che interpellano fortemente la coscienza della comunità cristiana, è il numero crescente delle unioni di fatto nell’insieme della società, con la conseguente disaffezione per la stabilità del matrimonio che ne deriva. Nel suo discernimento dei segni dei tempi, la Chiesa non poteva dunque mancare di prestare attenzione a questa realtà.
Consapevole delle gravi ripercussioni sociali e pastorali di questa situazione, il Pontificio Consiglio per la Famiglia ha organizzato, nel corso del 1999 e nei primi mesi del 2000, una serie di riunioni di studio cui hanno partecipato eminenti personalità e prestigiosi esperti di tutto il mondo, al fine di analizzare adeguatamente questo delicato problema, di così vasta portata per la Chiesa e per il mondo.
Il presente documento è frutto di questo lavoro. Esso affronta una problematica attuale e difficile, che tocca da vicino il nucleo centrale delle relazioni umane, la questione più delicata dell’intima unione tra famiglia e vita, le zone più sensibili del cuore umano. Allo stesso tempo, di fronte all’innegabile portata pubblica dell’attuale congiuntura politica internazionale, si rende necessaria e urgente una parola di orientamento, diretta soprattutto a quanti hanno responsabilità in questa materia. Sono loro, in effetti, che, nelle loro attività legislative, possono dare consistenza giuridica all’istituzione matrimoniale o, al contrario, diminuire la consistenza del bene comune che questa istituzione naturale protegge, partendo da una visione dei problemi personali che non corrisponde alla realtà.
Queste riflessioni sono dirette altresì ai pastori d’anime, che devono accogliere e guidare tanti cristiani d’oggi, e accompagnarli in un itinerario di apprezzamento del valore naturale, protetto dall’istituto matrimoniale e confermato dal sacramento cristiano. La famiglia fondata sul matrimonio corrisponde al disegno del Creatore fin da principio (Mt 19,4). Nel Regno di Dio non può essere seminato altro seme di quello della verità già iscritta nel cuore umano, l’unica capace di produrre frutto con la perseveranza (Lc 8,15); una verità che si fa misericordia, comprensione e invito a riconoscere in Gesù la luce del mondo (Gv 8,12) e la forza che libera dai vincoli del male.
Questo documento intende inoltre contribuire in modo positivo al dialogo al fine di mettere in luce la verità delle cose e le esigenze che procedono dallo stesso ordine naturale, partecipando al dibattito socio-politico e alla responsabilità verso il bene comune.
Voglia Dio che queste considerazioni, serene e responsabili, condivise da tanti uomini di buona volontà, siano di beneficio per quella comunità di vita, necessaria per la Chiesa e per il mondo, che è la famiglia.
Introduzione
(1) In questi ultimi anni le cosiddette “unioni di fatto” hanno acquisito un rilievo particolare nella società. Ci sono iniziative che reclamano il loro riconoscimento istituzionale e perfino la loro equiparazione alle famiglie nate dall’impegno matrimoniale. Di fronte a una questione di una tale importanza, che può avere tante ripercussioni future sull’intera comunità umana, il Pontificio Consiglio per la Famiglia si propone, attraverso le riflessioni che seguono, di attirare l’attenzione sui pericoli che scaturirebbero da un tale riconoscimento ed equiparazione per l’identità dell’unione matrimoniale e sul grave deterioramento che ne deriverebbe per la famiglia e per il bene comune della società.
Dopo aver esaminato l’aspetto sociale delle unioni di fatto, i loro elementi costitutivi e le loro motivazioni esistenziali, il presente documento affronta il problema del loro riconoscimento e della loro equiparazione giuridica, rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio e all’insieme della società. Considera poi la famiglia come bene sociale, insistendo sui valori oggettivi da stimolare e sul dovere di giustizia che la società ha di difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio. Esamina quindi in maniera approfondita alcuni aspetti di questa rivendicazione in rapporto al matrimonio cristiano. Presenta infine alcuni criteri generali di discernimento pastorale per orientare le comunità cristiane.
I – Le “unioni di fatto”
Aspetto sociale delle “unioni di fatto”
(2) L’espressione “unione di fatto” abbraccia un insieme di realtà umane molteplici ed eterogenee, che hanno come elemento comune quello di essere delle convivenze (di tipo sessuale) senza matrimonio. Le unioni di fatto sono caratterizzate precisamente dal fatto che esse ignorano, rimandano o perfino rifiutano l’impegno coniugale. Da ciò derivano gravi conseguenze.
Con il matrimonio si assumono pubblicamente, mediante il patto d’amore coniugale, tutte le responsabilità che derivano dal vincolo così stabilito. Da questa assunzione pubblica di responsabilità risulta un bene non solo per i coniugi e i figli nella loro crescita affettiva e formativa, bensì anche per gli altri membri della famiglia. La famiglia fondata sul matrimonio è così un bene fondamentale e prezioso per l’intera società, le cui fondamenta riposano solidamente sui valori che si concretizzano nei rapporti familiari e che trova la propria garanzia nel matrimonio stabile. Il bene generato dal matrimonio è ugualmente essenziale per la Chiesa, che riconosce nella famiglia la “Chiesa domestica”[2]. Tutto ciò si trova minacciato dall’abbandono dell’istituzione matrimoniale, abbandono implicito nelle unione di fatto.
(3) Può succedere che si desideri fare o che si faccia un uso della sessualità diverso da quello iscritto da Dio nella natura umana e nella finalità specificamente umana dei suoi atti. In questo modo viene negato il linguaggio interpersonale dell’amore e gravemente compromesso, mediante un disordine oggettivo, il dialogo autentico di vita disposto dal Creatore e Redentore del genere umano. Essendo la dottrina della Chiesa cattolica ben conosciuta dall’opinione pubblica, non è necessario tornarvi in questa sede[3]. La dimensione sociale del problema richiede tuttavia uno sforzo supplementare di riflessione per mostrare, specialmente a coloro che detengono responsabilità pubbliche, la non auspicabilità di elevare queste situazioni private al rango di pubblico interesse. Con il pretesto di regolamentare un quadro di convivenza sociale e giuridica, si cerca di giustificare il riconoscimento istituzionale delle unioni di fatto, che diventano istituzioni sanzionate a livello legislativo da diritti e da doveri, a detrimento della famiglia fondata sul matrimonio. Le unioni di fatto vengono poste così ad un livello giuridico simile a quello del matrimonio. Una tale convivenza viene qualificata pubblicamente di “bene”, elevandola ad una condizione simile, o perfino equiparandola al matrimonio, a pregiudizio della verità e della giustizia. In questo modo, si contribuisce fortemente al deterioramento di questa istituzione naturale, assolutamente vitale, fondamentale e necessaria all’insieme del corpo sociale, che è il matrimonio.
Elementi costitutivi delle unioni di fatto
(4) Le unioni di fatto non hanno tutte la stessa portata sociale né le stesse motivazioni. Quando si cerca di determinare le loro caratteristiche positive, oltre ai loro punti comuni negativi che consistono nel rimandare, ignorare o rifiutare l’unione matrimoniale, risaltano alcuni elementi. Anzitutto, il carattere puramente pratico (fattuale) di un tale rapporto. È opportuno precisare che esso suppone una coabitazione accompagnata da una relazione sessuale (il che le distingue da altri tipi di convivenza) e da una relativa tendenza alla stabilità (che le distingue dai legami con coabitazioni sporadiche o occasionali). Le unioni di fatto non comportano diritti e doveri matrimoniali, né pretendono una stabilità basata sul vincolo matrimoniale. Si distinguono per la ferma rivendicazione di non implicare alcun vincolo. L’instabilità costante, dovuta alla possibilità di interrompere la vita in comune è, di conseguenza, caratteristica delle unioni di fatto. Esiste anche un certo “impegno”, più o meno esplicito, di “fedeltà” reciproca, per così dire, fintanto che dura la relazione.
(5) Alcune unioni di fatto sono chiaramente la conseguenza di una scelta ben precisa. L’unione di fatto “ad esperimento” è frequente tra coloro che progettano di sposarsi nel futuro, ma che condizionano il loro matrimonio all’esperienza di un’unione senza vincolo matrimoniale. Essa costituisce in qualche modo una “tappa condizionata” al matrimonio, paragonabile al matrimonio “per esperimento”[4], però, a differenza di questo, aspira ad un certo riconoscimento sociale.
Alcune persone che convivono giustificano la loro scelta con motivi economici o per evitare difficoltà legali. Molte volte i veri motivi sono più profondi. Non è raro che questo genere di pretesti nasconda una mentalità che valorizza poco la sessualità. È una mentalità che porta l’impronta del pragmatismo, dell’edonismo e di una concezione dell’amore senza alcuna responsabilità. Permette di evitare l’impegno di stabilità, le responsabilità, i diritti e i doveri, inerenti all’amore coniugale autentico.
In altri casi, le unioni di fatto vengono stabilite tra persone divorziate. Rappresentano allora un’alternativa al matrimonio. Con la legislazione divorzista il matrimonio tende spesso a perdere la propria identità nella coscienza individuale. A questo proposito bisogna sottolineare che la sfiducia verso l’istituzione matrimoniale nasce a volte dall’esperienza negativa e traumatica di un divorzio precedente, o dal divorzio dei propri genitori. Questo preoccupante fenomeno comincia ad essere socialmente rilevante nei paesi economicamente sviluppati.
(6) Tuttavia non sempre le unioni di fatto sono il risultato di una chiara scelta positiva: a volte le persone che convivono in queste unioni mostrano di tollerare o subire questa situazione. In alcuni paesi, la maggior parte delle unioni di fatto è dovuta ad una disaffezione al matrimonio, non per motivi ideologici, bensì per l’assenza di una formazione adeguata alla responsabilità, prodotta della situazione di povertà e di emarginazione dell’ambiente in cui vivono. La mancanza di fiducia nel matrimonio, può essere ugualmente dovuta a condizionamenti familiari, soprattutto nel Terzo Mondo. Inoltre le situazioni di ingiustizia e le strutture di peccato rappresentano un fattore non trascurabile, di cui bisogna tenere conto. La predominanza culturale di atteggiamenti machisti o razzisti contribuisce ad aggravare notevolmente queste situazioni di difficoltà.
In questo contesto non è raro trovare unioni di fatto in cui sia espressa, fin dall’inizio, un volontà di convivenza, in principio autentica, in cui i conviventi si considerano uniti come se fossero marito e moglie, e si sforzano di assolvere obblighi simili a quelli del matrimonio[5]. La povertà, risultato spesso di squilibri nell’ordine economico mondiale, e le lacune strutturali in materia di istruzione, rappresentano per loro gravi ostacoli alla formazione di una vera famiglia.
Altrove, è più frequente che ci sia coabitazione (per periodi di tempo più o meno lunghi) fino al concepimento o alla nascita del primo figlio. Questi costumi corrispondono a pratiche ancestrali e tradizionali, particolarmente forti in certe regioni dell’Africa e dell’Asia, legate a quello che viene chiamato “matrimonio a tappe”. Sono pratiche contrarie alla dignità umana, difficili da sradicare, e che configurano un deterioramento negativo, con una problematica sociale caratteristica e ben definita. Questo tipo di unioni non deve essere classificato tra le unioni di fatto di cui ci occupiamo qui (che si manifestano al di fuori di un’antropologia culturale di tipo tradizionale) e rappresentano una sfida per l’inculturazione della fede nel terzo millennio dell’era cristiana.
La complessità e la diversità della problematica delle unioni di fatto, appaiono chiaramente se si considera, ad esempio, che a volte la loro causa più immediata può corrispondere a motivi assistenziali. È il caso, ad esempio, nei sistemi più sviluppati, di persone in età avanzata che stabiliscono relazioni solo di fatto per paura che il matrimonio comporti maggiori carichi fiscali o la perdita della pensione.
I motivi personali e il fattore culturale
(7) E’ importante interrogarsi sui motivi profondi che, nella società contemporanea, sono all’origine della crisi del matrimonio, tanto nella sua dimensione religiosa quanto in quella civile, e delle iniziative per ottenere il riconoscimento delle unioni di fatto e la loro equiparazione. In questo modo, situazioni instabili che si definiscono più per il loro aspetto negativo (l’omissione del vincolo matrimoniale), che per quello positivo, sembrano collocate ad un livello simile a quello del matrimonio. Effettivamente, tutte queste situazioni si consolidano in forme diverse di relazione, ma tutte sono in contrasto con una vera e totale donazione reciproca, stabile e socialmente riconosciuta. La complessità dei motivi di ordine economico, sociologico e psicologico, iscritti in un contesto di privatizzazione dell’amore e di soppressione del carattere istituzionale del matrimonio, suggerisce l’opportunità di esaminare più approfonditamente la prospettiva ideologica e culturale a partire dalla quale si è andato progressivamente sviluppando ed affermando il fenomeno delle unioni di fatto, così come lo conosciamo oggi.
La progressiva diminuzione del numero dei matrimoni e delle famiglie riconosciute come tali dalla legge di diversi Stati, e l’aumento in alcuni paesi del numero di coppie non sposate conviventi, non possono essere sufficientemente spiegati da un movimento culturale isolato e spontaneo, bensì rispondono a cambiamenti storici intervenuti nelle società contemporanee, in questo momento culturale che alcuni autori chiamano “post-moderno”. È certo che la minore incidenza del mondo agricolo, lo sviluppo del settore terziario dell’economia, l’aumento della durata media di vita, l’instabilità dell’impiego e delle relazioni personali, la riduzione del numero dei membri della famiglia che vivono sotto lo stesso tetto, la globalizzazione dei fenomeni sociali ed economici, hanno avuto come risultato una maggiore instabilità della famiglia ed hanno favorito un ideale di famiglia meno numeroso. Ma basta questo a spiegare la situazione attuale del matrimonio? L’istituzione matrimoniale conosce una crisi meno forte laddove le tradizioni familiari sono più forti.
(8) In questo processo che potremmo denominare di graduale destrutturazione culturale e umana dell’istituzione matrimoniale, non deve essere sottovalutata la diffusione di una certa ideologia di “gender”. L’essere uomo o donna non sarebbe determinato fondamentalmente dal sesso, bensì dalla cultura. Tale ideologia attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali. Occorre fare alcune considerazioni al riguardo, data l’importanza di questa ideologia nella cultura contemporanea, e la sua influenza sul fenomeno delle unioni di fatto.
Nel decennio 1960-70, si sono affermate alcune teorie (che oggi gli esperti qualificano generalmente come “costruzioniste”) secondo le quali l’identità sessuale di genere (“gender”) sarebbe non solo il prodotto dell’interazione tra la comunità e l’individuo, ma anche indipendente dall’identità sessuale personale. In altri termini, nella società i generi maschile e femminile sarebbero esclusivamente il prodotto di fattori sociali, senza alcuna relazione con la dimensione sessuale della persona. In questo modo, ogni azione sessuale sarebbe giustificabile, inclusa l’omosessualità, e spetterebbe alla società cambiare per fare posto, oltre a quello maschile e femminile, ad altri generi nella configurazione della vita sociale[6].
L’ideologia di “gender” ha trovato nell’antropologia individualista del neo-liberalismo radicale un ambiente favorevole[7]. La rivendicazione di uno statuto analogo, per il matrimonio e per le unioni di fatto (incluse quelle omosessuali) è oggi generalmente giustificato facendo ricorso a categorie e termini derivanti dall’ideologia di “gender”[8]. Esiste così una certa tendenza a designare come “famiglia” ogni tipo di unioni consensuali, ignorando la naturale inclinazione della libertà umana alla donazione reciproca, e le sue caratteristiche essenziali, che sono la base di questo bene comune dell’umanità che è l’istituzione matrimoniale.
II – La famiglia fondata sul matrimonio e le unioni di fatto
Famiglia, vita e unione di fatto
(9) Occorre comprendere le differenze sostanziali tra matrimonio e unioni di fatto. È qui che si radica la differenza tra la famiglia d’origine matrimoniale e la comunità originata da un’unione di fatto. La comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d’amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un’istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano una unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione e educazione) delle generazioni umane.
(10) L’uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, e ciò che è diverso come diverso; cioè che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto in giustizia. Questo principio di giustizia si infrangerebbe se si desse alle unioni di fatto un trattamento giuridico simile o equivalente a quello spettante alla famiglia fondata sul matrimonio. Se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico.
Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la “non discriminazione”), comporta una vera discriminazione della famiglia matrimoniale, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno di fedeltà reciproca e di generazione-educazione dei figli. La tendenza attuale di alcune comunità politiche a discriminare il matrimonio riconoscendo alle unioni di fatto uno statuto istituzionale simile o equivalente a quello del matrimonio e della famiglia o perfino equiparandolo, è un grave segno di deterioramento della coscienza morale sociale, di “pensiero debole” di fronte al bene comune, quando non si tratta di una vera e propria imposizione ideologica esercitata da gruppi di pressione influenti.
(11) Occorre tenere ben presente, nello stesso ordine di principi, la distinzione tra interesse pubblico e interesse privato. Nel primo caso, la società e i poteri pubblici hanno il dovere di proteggerlo e promuoverlo. Nel secondo caso, lo Stato deve limitarsi a garantire la libertà. Dove l’interesse è pubblico, interviene il diritto pubblico. E ciò che risponde a interessi privati, deve essere rimesso, al contrario, all’ambito privato. Il matrimonio e la famiglia rivestono un interesse pubblico e sono il nucleo fondamentale della società e dello Stato; come tali, devono essere riconosciuti e protetti. Due o più persone possono decidere di vivere insieme, con o senza relazione sessuale, però questa convivenza o coabitazione non riveste per questo interesse pubblico. I poteri pubblici possono evitare di intromettersi in questa scelta, che ha carattere privato. Le unioni di fatto sono la conseguenza di comportamenti privati e su questo piano privato dovrebbero restare. Il loro riconoscimento pubblico o la loro equiparazione al matrimonio, con la conseguente elevazione degli interessi privati al rango di interessi pubblici, sarebbero pregiudizievoli per la famiglia fondata sul matrimonio. Nel matrimonio, l’uomo e la donna costituiscono tra di loro un’alleanza di tutta la vita, ordinata, per sua stessa natura, al bene dei coniugi, alla generazione e all’educazione della prole. A differenza delle unioni di fatto, nel matrimonio si assumono pubblicamente e formalmente impegni e responsabilità di rilevanza per la società, esigibili nell’ambito giuridico.
Le unioni di fatto e il patto coniugale
(12) La valorizzazione delle unioni di fatto presenta anche una dimensione soggettiva. Siamo di fronte a persone concrete, con una visione propria della vita, con la loro intenzionalità, in una parola, con la loro “storia”. Dobbiamo considerare la realtà esistenziale della libertà individuale di scelta e della dignità delle persone, che possono sbagliare. Però nell’unione di fatto, la pretesa di riconoscimento pubblico non riguarda solo l’ambito individuale delle libertà. È opportuno pertanto affrontare questo problema dal punto di vista dell’etica sociale: l’individuo umano è una persona e pertanto un essere sociale; l’essere umano non è meno sociale che razionale[9].
Le persone si possono incontrare nel dialogo e riferirsi a valori condivisi e ad esigenze comuni per ciò che riguarda il bene comune. In questo campo, il riferimento universale, il criterio non può essere altro che quello della verità sul bene umano, una verità oggettiva, trascendente e uguale per tutti. Raggiungere questa verità e rimanervici è condizione di libertà e di maturità personale, vero scopo di una convivenza sociale ordinata e feconda. L’attenzione esclusiva al soggetto, all’individuo, alle sue intenzioni e alle sue scelte, senza il minimo riferimento a una loro dimensione sociale e oggettiva, orientata al bene comune, è il risultato di un individualismo arbitrario e inaccettabile, cieco ai valori oggettivi, contrario alla dignità della persona e nocivo per l’ordine sociale. “Occorre dunque promuovere una riflessione che aiuti non solo i credenti, ma tutti gli uomini di buona volontà, a riscoprire il valore del matrimonio e della famiglia. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica si legge: La famiglia è la cellula originaria della vita sociale. È la società naturale in cui l’uomo e la donna sono chiamati al dono di sé nell’amore e nel dono della vita. L’autorità, la stabilità e la vita di relazione in seno alla famiglia costituiscono i fondamenti della libertà, della sicurezza, della fraternità nell’ambito della società.[10]Alla riscoperta della famiglia può arrivare la stessa ragione, ascoltando la legge morale inscritta nel cuore umano. Comunità fondata e vivificata dall’amore,[11]la famiglia trae la sua forza dall’alleanza definitiva di amore con cui un uomo e una donna si donano reciprocamente, diventando sempre collaboratori di Dio nel dono della vita[12].
Il Concilio Vaticano II segnala che il cosiddetto amore libero (“amore sic dicto libero”) [13]costituisce un fattore disgregante e distruttore del matrimonio, mancando dell’elemento costitutivo dell’amore coniugale, che si fonda sul consenso personale e irrevocabile mediante il quale gli sposi si donano e si ricevono reciprocamente, dando origine in questo modo a un vincolo giuridico e a un’unità suggellata da una dimensione pubblica di giustizia. Ciò che il Concilio qualifica come amore “libero”, contrapponendolo al vero amore coniugale, era allora – ed è ora – il germe che genera le unioni di fatto. In seguito, con la rapidità con cui si producono oggi i cambiamenti socio-culturali, ha fatto ugualmente sorgere il progetto attuale di conferire uno status pubblico a queste unioni di fatto.
(13) Come qualsiasi altro problema umano, anche quello delle unioni di fatto deve essere affrontato da un punto di vista razionale, più precisamente dal punto di vista della “recta ratio”[14]. Con questa espressione dell’etica classica si vuole indicare che la lettura della realtà e il giudizio della ragione devono essere oggettivi, liberi da ogni condizionamento quali l’emotività disordinata, la debolezza di fronte a situazioni penose che inclinano a una compassione superficiale, o eventuali pregiudizi ideologici, pressioni sociali o culturali, influenza di gruppi di pressione o partici politici. Certamente il cristiano ha una visione del matrimonio e della famiglia il cui fondamento antropologico e teologico affonda le sue radici, in maniera armonica, nella verità che procede dalla Sacra Scrittura, dalla Sacra Tradizione e dal Magistero della Chiesa[15]. Ma la luce della fede insegna che la realtà del sacramento matrimoniale non è posteriore o estrinseca, come una semplice aggiunta “sacramentale” esterna all’amore dei coniugi, bensì che al contrario è la realtà naturale dell’amore coniugale assunta da Cristo come segno e mezzo di salvezza nell’ordine della Nuova Alleanza. Il problema delle unioni di fatto, di conseguenza, può e deve essere affrontato a partire dalla “recta ratio”. Non è tanto una questione di fede cristiana quanto di razionalità. La tendenza a contrapporre su questo punto un “pensiero cattolico” confessionale a un “pensiero laico” è un errore[16].
III – Le unioni di fatto nell’insieme della società
Dimensione sociale e politica del problema dell’equiparazione
(14) Taluni influssi culturali radicali (come l’ideologia del “gender” di cui abbiamo trattato precedentemente), hanno come conseguenza il deterioramento dell’istituzione familiare. “Preoccupante è l’attacco diretto all’istituto familiare che si sta sviluppando sia a livello culturale che nell’ambito politico, legislativo e amministrativo E’ chiara la tendenza a equiparare alla famiglia altre e ben diverse forme di convivenza, prescindendo da fondamentali considerazioni di ordine etico e antropologico[17].È prioritario, pertanto, definire l’identità propria della famiglia. Questa identità comporta la stabilità del rapporto coniugale tra uomo e donna, considerata come un valore e un’esigenza, e che trova espressione e conferma nella prospettiva di procreare e di educare la prole, a beneficio dell’intero tessuto sociale. La stabilità coniugale e familiare non si fonda unicamente sulla buona volontà dei singoli, bensì riveste un carattere istituzionale in ragione del riconoscimento pubblico, da parte dello Stato, della scelta di vita coniugale. Il riconoscimento, la difesa e la promozione di detta stabilità risponde all’interesse generale, e in particolare a quello dei più deboli, cioè, dei figli.
(15) Un altro rischio in cui si può incorrere nell’esame delle implicazioni sociali del problema in questione, è quello della banalizzazione. Alcuni sostengono che il riconoscimento e l’equiparazione delle unioni di fatto non dovrebbero preoccupare eccessivamente visto che il loro numero è relativamente ristretto. Piuttosto si dovrebbe concludere, in questo caso, il contrario, visto che una considerazione quantitativa del problema dovrebbe condurre a mettere in dubbio l’interesse a porre il problema delle unioni di fatto come un problema di grande portata, tanto più che si presta un’attenzione appena sufficiente al grave problema (del presente e del futuro) della protezione del matrimonio e della famiglia attraverso politiche familiari appropriate che abbiano un’incidenza reale sulla vita sociale. L’esaltazione indifferenziata della libertà di scelta degli individui, senza alcun riferimento a un ordine di valori di importanza sociale, obbedisce a una concezione completamente individualista e privatizzata del matrimonio e della famiglia, cieca alla loro dimensione sociale oggettiva. Non bisogna dimenticare che la procreazione è il principio “genetico” della società, e che l’educazione dei figli è luogo primordiale di trasmissione e di coltura del tessuto sociale, il nucleo essenziale della sua configurazione strutturale.
Il riconoscimento e l’equiparazione delle unioni di fatto discriminano il matrimonio
(18) I responsabili politici devono prendere coscienza della gravità del problema. In Occidente, l’attuale azione politica tende, con una certa frequenza, a privilegiare in generale gli aspetti pragmatici e la cosiddetta politica degli equilibri su punti concreti evitando di entrare nella discussione dei principi che rischierebbe di pregiudicare difficili e precari compromessi tra partiti, alleanze o coalizioni. Detti equilibri però non dovrebbero essere fondati piuttosto sulla chiarezza dei principi, il rispetto dei valori essenziali, la chiarezza dei postulati fondamentali? Se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia[24]. La funzione legislativa corrisponde alla responsabilità politica; spetta dunque ai responsabili politici di vegliare (non solo al livello dei principi bensì anche delle applicazioni) al fine di evitare un deterioramento, di gravi conseguenze presenti e future, del rapporto legge morale-legge civile e difendere il valore educativo-culturale dell’ordinamento giuridico[25]. La maniera più efficace di difendere l’interesse pubblico non consiste in concessioni demogogiche ai gruppi di pressione che cercano di promuovere le unioni di fatto, bensì nella promozione energica e sistematica di politiche familiari organiche che intendano la famiglia fondata sul matrimonio come il centro e il motore della politica sociale, e che coprano l’ampio ventaglio dei diritti della famiglia[26]. A questa questione la Santa Sede ha dedicato spazio nella Carta dei Diritti della Famiglia[27], superando una concezione meramente assistenzialista dello Stato.
Fondamenti antropologici della differenza tra matrimonio e unioni di fatto
(19) Il matrimonio si fonda dunque su alcuni presupposti antropologici ben definiti, che lo distinguono da altri tipi di unione e che al di là del campo dell’azione concreta, del fattuale lo ancorano nell’essere personale della donna e dell’uomo.
Tra questi presupposti troviamo: l’uguaglianza della donna e dell’uomo, in quanto ambedue, ugualmente, sono persone[28](benché in modo diverso); il carattere complementare di entrambi i sessi[29]dal quale nasce la naturale inclinazione tra di loro e li porta a generare i figli; la possibilità dell’amore per l’altro proprio perché sessualmente diverso e complementare, di modo che questo amore è espresso e reso perfetto in maniera tutta particolare dall’esercizio degli atti che sono propri del matrimonio[30]; la possibilità che ha la libertà di stabilire una relazione stabile e definitiva, cioè, dovuta in giustizia[31]; e infine, la dimensione sociale della condizione coniugale e familiare che costituisce il primo luogo di educazione e di apertura alla società attraverso le relazioni parentali (che contribuiscono a configurare l’identità della persona umana)[32].
(20) Se si accetta la possibilità di un amore specifico tra l’uomo e la donna, è evidente che questo amore inclini (per sua stessa natura) a una certa intimità ed esclusività, a generare la prole e a formulare un progetto comune di vita. Quando si vuole questo, e lo si vuole in manieria tale che si dà all’altro la facoltà di esigerlo, allora si può parlare di vera donazione e accettazione reciproca tra la donna e l’uomo, che crea la comunione coniugale. Nella comunione coniugale c’è una donazione e un’accettazione reciproche della persona umana. Pertanto l’amor coniugalis non è solo né soprattutto sentimento; è invece essenzialmente un impegno verso l’altra persona, impegno che si assume con un preciso atto di volontà. Proprio questo qualifica tale amor rendendolo coniugalis. Una volta dato ed accettato l’impegno per mezzo del consenso, l’amore diviene coniugale e mai perde questo carattere[33]. Questo, nella tradizione storica cristiana dell’occidente, viene chiamato matrimonio.
(21) Si tratta pertanto di un progetto comune stabile che nasce dalla donazione libera e totale dell’amore coniugale fecondo, come una cosa dovuta in giustizia. La dimensione di giustizia, trattandosi di un’istituzione sociale originaria (e che dà origine alla società), è inerente alla coniugalità stessa: liberi essi sono di celebrare il matrimonio, dopo essersi vicendevolmente scelti in modo altrettanto libero, ma nel momento in cui pongono questo atto essi instaurano uno stato personale in cui l’amore diviene qualcosa di dovuto, con valenza di carattere anche giuridico[34]. Possono esistere altri modi di vivere la sessualità anche contro le tendenze naturali altre forme di convivenza in comune, altre relazioni di amicizia basate o meno sulla differenziazione sessuale altri mezzi per mettere al mondo dei figli. Ma la famiglia fondata sul matrimonio ha come aspetto distintivo quello di essere la sola istituzione che comprenda tutti gli elementi citati, simultaneamente e dall’origine.
Si tratta di un principio basilare: per essere amore coniugale vero e libero, l’amore deve essere trasformato in un amore dovuto in giustizia, mediante l’atto liberamente scelto del consenso matrimoniale. Alla luce di questi principi può essere stabilita e compresa l’essenziale differenza esistente fra una mera unione di fatto che pur si pretenda originata da amore e il matrimonio, in cui l’amore si traduce in impegno non soltanto morale, ma rigorosamente giuridico. Il vincolo, che reciprocamente s’assume, sviluppa di rimando un’efficacia corroborante nei confronti dell’amore da cui nasce, favorendone il perdurare a vantaggio del coniuge, della prole e della stessa società[36].
In effetti, il matrimonio che fonda la famiglia non è un modo di vivere la sessualità in coppia: se fosse solo questo, si tratterebbe di una modalità in più tra le varie possibili[37]. Non è neanche la semplice espressione di un amore sentimentale tra due persone: questa caratteristica è attribuita all’amore in generale nel quadro di un’amicizia. Il matrimonio è più di questo: è unione tra una donna e un uomo, in quanto tali, nella totalità del loro essere maschile e femminile. Se questa unione può essere stabilita soltanto mediante un atto di libera volontà dei contraenti, il suo contenuto specifico è determinato dalla struttura dell’essere umano, donna e uomo, e cioè donazione reciproca e trasmissione della vita. Questo dono di sé in tutta la dimensione complementare della donna e dell’uomo, con la volontà di doversi l’uno all’altro in giustizia, si chiama coniugalità e i contraenti si costituiscono quindi in coniugi:questa comunione coniugale affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l’uomo e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l’intero progetto di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò la comunione è il frutto e il segno di una esigenza profondamente umana[38].