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La prolusione del card. Bagnasco alla 68ª Assemblea dei vescovi
Cari e venerati Confratelli.
1. La Chiesa
La parola del Santo Padre Francesco, seguita dall’amabile dialogo che anche quest’anno ha voluto intrattenere con noi, ha aperto la nostra Assise e alimentato la nostra collegialità per affrontare con entusiasmo i lavori dell’Assemblea Generale, ai quali partecipa il Nunzio apostolico in Italia, S.E. Mons. Adriano Bernardini, che ringraziamo per la sua presenza e disponibilità.
Diamo il benvenuto ai Confratelli Vescovi – tra cui S.B. Fouad Twal, Patriarca di Gerusalemme dei Latini –, che qui rappresentano le Conferenze Episcopali di numerosi Paesi, insieme al Segretario Generale del CCEE, ringraziandoli per aver accolto l’invito a condividere la nostra riunione plenaria. Con loro salutiamo fraternamente anche gli invitati – presbiteri, consacrati, laici – che partecipano ai nostri lavori.
Siamo lieti di accogliere i Presuli che nell’ultimo periodo sono chiamati all’episcopato e partecipano per la prima volta alla nostra Assemblea Generale. Si tratta di:
– S.E. Mons. Nicolò Anselmi, Vescovo ausiliare di Genova;
– S.E. Mons. Mario Toso, Vescovo di Faenza – Modigliana;
– S.E. Mons. Francesco Savino, Vescovo eletto di Cassano all’Jonio;
– S.E. Mons. Augusto Paolo Lojudice, Vescovo ausiliare eletto di Roma;
– S.E. Mons. Giorgio Demetrio Gallaro, Vescovo eletto di Piana degli Albanesi;
– S.E. Mons. Domenico Pompili, Vescovo eletto di Rieti.
Sentiamo vicini e partecipi i Confratelli Vescovi che, pur avendo lasciato la guida pastorale delle loro diocesi, continuano a condividere con noi la sollecitudine per il bene della Chiesa:
– S.E. Mons. Claudio Stagni, Vescovo emerito di Faenza – Modigliana;
– S.E. Mons. Paolo Schiavon, Vescovo già ausiliare di Roma.
Esprimiamo viva gratitudine a S.E. Mons. Cesare Nosiglia, Arcivescovo di Torino, giunto alla conclusione del mandato quinquennale di Vice Presidente della nostra Conferenza, al quale ha adempiuto con generosa dedizione.
Infine, non può mancare il nostro grato e affettuoso ricordo dei Confratelli che in questi ultimi mesi hanno concluso la loro esistenza terrena. Ecco i loro nomi:
– S.E. Mons. Natalino Pescarolo, Vescovo emerito di Cuneo e Fossano;
– S.E. Mons. Antonio Lanfranchi, Arcivescovo di Modena – Nonantola;
– S.E. Mons. Ennio Appignanesi, Arcivescovo emerito di Potenza – Muro Lucano – Marsico Nuovo;
– S.E. Mons. Felice Leonardo, Vescovo emerito di Cerreto Sannita – Telese – Sant’Agata de’ Goti;
– S.Em. Card. Giovanni Canestri, Arcivescovo emerito di Genova.
Molti e importanti sono gli adempimenti che ci attendono in questa Assemblea: ricordo l’elezione del Vice Presidente per il Nord Italia, dei Membri del Consiglio per gli Affari Economici, dei Presidenti delle Commissioni Episcopali, dei Delegati al prossimo Sinodo. Queste scelte, come ogni altro intervento a programma, sono nell’orizzonte del tema centrale di questa Assise: la recezione nelle nostre comunità cristiane dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium. La riflessione svolta nelle Diocesi, la sintesi dei risultati, il lavoro che faremo nei gruppi, la relazione finale che raccoglierà e rilancerà l’ampio materiale… sono passi con riprendere il cammino delle nostre Chiese e costituiscono nuovo stimolo per sempre meglio vivere gli Orientamenti Pastorali sull’educazione a partire dall’annuncio di Cristo, Salvatore, Misericordia del Padre, Maestro di piena umanità.
L’Anno Santo della Misericordia è un dono del Papa alla Chiesa: lo accogliamo con rinnovata gratitudine e lo vogliamo vivere con il nostro Clero, le persone consacrate, le Comunità cristiane. Vogliamo viverlo «alla luce della parola del Signore: Misericordiosi come il Padre» (Misericordiae Vultus 13), così che sia un dono anche per il mondo il quale – quanto più è diviso e conflittuale – tanto più anela a orizzonti nei quali la misericordia purifichi i cuori e ispiri propositi di giustizia e di pace. La Porta Santa che il Papa aprirà in San Pietro l’otto dicembre – e successivamente ciascuno nella propria Diocesi – sarà meta e simbolo di rinnovamento interiore, perché il Signore sia reso visibile al mondo. In particolare, il Santo Padre esorta il Popolo cristiano a riscoprire «le opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre più nel cuore del Vangelo» (id 15). Così pure ci invita a rimettere al centro il sacramento della Riconciliazione, «perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia» (id 17).
A Torino, dallo scorso 19 aprile, si sta svolgendo un pellegrinaggio continuo alla Sindone, animato dalla speranza che nasce dalla croce del Signore Gesù. L’ostensione pubblica, in riferimento alle celebrazioni per l’anniversario della nascita di don Bosco, è offerta a tutto il popolo di Dio con specifici itinerari e proposte di accoglienza, in particolare per i malati e i giovani; culminerà nei giorni 21 e 22 giugno con la visita del Santo Padre.
Nel vivo dell’Anno della Vita Consacrata, vogliamo esprimere collegialmente il nostro apprezzamento e la gratitudine per la presenza delle persone consacrate: i loro doni e carismi arricchiscono le nostre Comunità ed edificano il cammino unitario della Chiesa.
Stiamo camminando verso l’appuntamento del Sinodo nel prossimo Ottobre. Dopo la fase Straordinaria, sarà il momento di quella Ordinaria, che vedrà riuniti attorno al Papa i Vescovi Delegati degli Episcopati del mondo. Il tesoro della preghiera, la ricchezza di contributi, il dialogo dei Padri alla luce del Magistero e delle sfide attuali, ne faranno un’esperienza viva di Chiesa che guarda con rinnovata convinzione alla famiglia e al matrimonio come ad un patrimonio dell’umanità, comunità d’amore, grembo fecondo di vita e di futuro, palestra primaria di dialogo e di relazioni tra generi e generazioni, presidio di stabilità personale e collettiva. Per i credenti essa è anche Chiesa domestica, che guarda alla Famiglia di Nazaret come modello sempre attuale e forza sempre fresca. Consapevole delle prove e delle ferite che affliggono non poche famiglie, lo sguardo del Sinodo sarà a tutto tondo – dall’amore alla sessualità, dalla coppia al matrimonio e ai figli, dalle difficoltà culturali a quelle sociali – tenendo presente che il focus non è tanto la bellezza dell’amore in sé e in tutte le sue manifestazioni, ma la famiglia. Sarà, quindi, un nuovo momento di esemplare discernimento dei Padri «cum et sub Petro», con l’intenzione non di far prevalere delle opinioni, ma il cuore dei Pastori che hanno la missione di sostenere le anime con la misericordia della verità e dell’amore. Al termine dei lavori tutto verrà consegnato al Santo Padre, che ha la responsabilità ultima di ogni discernimento dottrinale e pastorale. Come nello scorso anno, faremo una Veglia di preghiera in Piazza San Pietro alla vigilia dell’Assise sinodale sabato 3 ottobre p.v. La forza della preghiera insieme al Papa accompagnerà il Sinodo, perché ogni pensiero e parola siano sotto la luce dello Spirito che è verità e carità.
Ci avviciniamo a grandi passi al Convegno Ecclesiale Nazionale che si celebrerà a Firenze (9-13 novembre p.v.). Ringraziamo di cuore il Comitato Preparatorio per l’impegnativo lavoro di organizzazione, e così l’Arcidiocesi ospitante con il suo Pastore. Il tema del Convegno – «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo» – potrebbe suonare un po’ accademico e lontano dal vissuto della gente. In realtà è quanto mai concreto e vicino, anzi urgente. Anche durante l’ultimo Sinodo Straordinario (Roma, 5-19 ottobre 2014), è risuonata nell’aula, per voce dei Padri sinodali di ogni punto della Terra, la gravità della «questione antropologica», cioè la progressiva mutazione dell’identità umana: vi sono aree che ormai si trovano nel guado e altre che vedono avvicinarsi con preoccupazione l’onda di piena. Prenderne atto con realismo e fiducia, chiamare le cose per nome, metterle a tema alla luce di Gesù Cristo nel quale risplende la pienezza dell’umano per rinnovare le vie del dialogo con le diverse culture, è per noi Pastori un modo per essere «sale e luce», samaritani amorevoli e responsabili nel nostro tempo. Forse – così speriamo – portatori di un contributo ad altre Chiese particolari. Nel recente incontro annuale del CCEE (Consiglio Conferenze Episcopali Europee) e della KEK (Conferenza Chiese Europee) (Roma, 6-8 maggio c.a.), durante il quale abbiamo avuto la gioia di incontrare il Santo Padre, ragionando sul tema «La libertà e le libertà in una società individualista», è emersa da parte di tutti i delegati la rinnovata fiducia nella ragione come capacità di cogliere il vero e il bene, di scoprire la realtà delle cose, a cominciare dalla natura umana, fondamento anche del diritto positivo. Si è sviluppata così una riflessione comune sulla linea della fede e della ragione, della testimonianza e della argomentazione. La ragione retta trova in Gesù i tratti fondamentali di quell’umanesimo integrale e plenario che sembra si voglia confinare nei limiti della sola soggettività.
2. Un Calvario che continua
Il mondo procede nella storia tra luci e ombre: luci di progresso, ombre di regresso. Come credenti, vediamo il bene sconfinato che circola sulla terra, quello visibile e – molto di più – quello che non si vede perché è nelle pieghe dei cuori e del quotidiano. Se la terra non implode è grazie non tanto alle Carte dei Potenti, ma all’eroismo nascosto e concreto degli umili. I Grandi condizionano la storia, ma sono i piccoli che la scrivono in profondità: potremmo dire che gli uni spesso determinano il corso e le anse del fiume, gli altri ne fanno il contenuto e la trasparenza. Chiaramente si creano delle interdipendenze, ma noi crediamo che sia sempre il cuore di ogni uomo, come di ogni popolo, il fattore principale della storia umana, e che sia questo cuore da custodire perché non sia avvelenato dall’errore che genera mostri. In questo senso, vorremmo che il Giubileo della Misericordia potesse raggiungere tutti gli uomini della Terra.
Alle molte forme di violenza, si aggiungono gli squilibri della natura che creano a volte tragedie immani. Il terremoto del Nepal – con le migliaia di vittime, di feriti, di senza più nulla – è, in ordine di tempo, l’ultima strage della natura. Siamo rimasti attoniti, senza parole ma con il cuore in preghiera. I Vescovi hanno indetto subito una Colletta nazionale che si è tenuta domenica scorsa che accompagna l’opera di Caritas Italiana con la nostra vicinanza attiva.
La nostra Conferenza si era già aggregata alla solidarietà del mondo con tre milioni di euro, prelevati dall’otto per mille, che sono arrivati ai Vescovi di quelle popolazioni tramite il Nunzio Apostolico dell’area. I tre milioni vanno, così, ad incrementare i 22 milioni della Comunità internazionale. Grazie alla provvidenza dell’otto per mille si possono fare questi interventi e altri ancora in Italia e nel mondo in via di sviluppo: mense, dormitori, scuole, dispensari, ospedali, oratori per i ragazzi, esperienza di micro-credito…
Un secolo fa, in Anatolia, si è consumato «il primo genocidio del ventesimo secolo», ha detto il Papa nell’omelia della Messa dell’aprile scorso per i fedeli di rito armeno: in neppure due anni, un milione e mezzo di persone – uomini e donne, bambini e anziani – sono stati eliminati in modo lucido e programmato! La memoria di tale sterminio – che a fatica il mondo occidentale sta riconoscendo – deve essere omaggio alla verità e monito efficace per la cultura del rispetto e della non violenza, della giustizia e della pace.
Il ricordo del popolo armeno va ad aggiungersi alla continua persecuzione dei cristiani in diverse parti del mondo: non accada che subentri l’abitudine e quindi l’indifferenza davanti al persistere di tanta brutalità omicida, travestita di religione. Spegnere i riflettori e stare in silenzio, lasciando che la carneficina continui, sarebbe diventarne conniventi, colpevoli di fronte al tribunale di Dio e della storia. Sarebbe l’ennesima prova della cattiva coscienza dei potenti. Le nostre Chiese si uniranno in una grande preghiera sabato prossimo, 23 maggio, vigilia di Pentecoste: nel vincolo delle anime ci troveremo uniti e inchinati davanti al martiro di tanti fratelli e sorelle di fede. Alcune Agenzie internazionali affermano, dati alla mano, che il 2014 è «l’anno con il più alto livello di persecuzione globale dei cristiani dell’era moderna» (Rapporto «World Watch«) e che «il calo costante è tale che molti cristiani temono che le loro chiese si trasformeranno in musei piuttosto che luoghi di culto» (Center for American Progress). Le soluzioni non sono semplici, ma pensiamo che la diplomazia possa fare molto di più, se le Cancellerie lo permetteranno: «isolare» dovrebbe essere la parola d’ordine. In primo luogo isolare il fanatismo omicida dell’Isis e similari sul piano dell’opinione pubblica mondiale con una reiterata condanna: nessuno giustifichi con le parole o con il silenzio! In secondo luogo, troncare ogni rapporto economico o geopolitico pubblico e, soprattutto, segreto: nessuno commerci con la vita umana! Se i Governi del mondo non avranno questa volontà e non decideranno di conseguenza, la diplomazia avrà sempre poco respiro.
3. Il Paese
Non possiamo ora non guardare con rinnovato amore al nostro Paese. I movimenti politici sono incalzanti ed esprimono la volontà di affrontare i nodi antichi e nuovi del Paese al fine del loro superamento. La preoccupazione fondamentale della gente resta l’occupazione: i segnali di ripresa sembrano essere reali nella macroeconomia, ma la disoccupazione resta la piaga del nostro tempo. Non di rado, noi Pastori restiamo meravigliati di come in tale situazione molte famiglie riescano a tirare avanti.
Vivere con la gente è la missione della Chiesa: insieme ai nostri amati Sacerdoti, siamo i primi a vivere questa grazia per cui gioie e dolori del nostro tempo sono gioie e dolori, speranze e preoccupazioni di noi tutti. Per questa ragione, per conoscenza diretta e personale, se da una parte ascoltiamo i messaggi di svolta e di fiducia che provengono da politici ed esperti, dall’altra non vediamo i disoccupati diminuire, né i giovani entrare finalmente nel mondo del lavoro. Sappiamo che la realtà è più complessa delle rappresentazioni generali e affrettate, che il mercato del lavoro è cambiato su scala planetaria, che le ricadute positive sull’economia reale richiedono tempo rispetto ai movimenti positivi; sappiamo che oggi si richiede maggiore flessibilità, disponibilità e inventiva da parte di tutti, ma tutto ciò non cambia la realtà visibile di una disoccupazione ancora amplissima e – in certe zone – crescente. Soprattutto, non si deve radicare in nessuno, a cominciare dai più giovani, il sentimento della sfiducia e della rassegnazione. Che tipo di vita sarebbe? Senza significato, senza spinta, senza entusiasmo, senza dignità personale non solo perché senza futuro, ma anche perché si sentirebbero rifiutati dalla società e costretti a rimediare – in qualunque modo – le giornate per sé e per le proprie famiglie. Gli esperti dicono che sono necessarie visioni industriali di ampio respiro, logiche non dominate dalla finanza, che mirino a rilanciare le eccellenze italiane: queste sono concupite da molti occhi stranieri, che a volte ne sono ormai già diventati padroni. Sanare vuol dire innovare. Sullo sviluppo, sulla continua e veloce innovazione, è necessario che il politici concentrino tutte le loro energie e il loro tempo: di questo dovranno rendere conto severo ai cittadini che li hanno eletti. Di questo, che è il problema vero, più urgente e drammatico, della gente: nessuno faccia affidamento sull’arte dell’arrangiarsi che, come la storia insegna, porta facilmente su vie pericolose che vanno ad aggiungere altri gravissimi problemi per i singoli, le famiglie, la tenuta sociale. È questa la vera bandiera da guardare oggi e per cui impiegare ogni energia, non altre che sono chiaramente di parte e non urgenti. La gente guarda e attende. Vogliamo sperare che la grande vetrina dell’EXPO di Milano rappresenti un’ occasione perché l’Italia, offrendo il meglio di sé, possa essere apprezzata e valorizzata a livello mondiale nella sua bellezza, creatività e affidabilità produttiva.
La realtà dei migranti, in questi ultimi tempi, ha tenuto desta e tesa l’attenzione dell’Europa intera. Siamo addolorati per la tragedia senza fine di tanta povera gente costretta a trasformare la vita in una fuga verso l’ignoto, prima lungo il deserto e sul mare per canali sconosciuti, e poi sulla terra ferma: «Sono uomini e donne come noi, fratelli nostri che cercano una vita migliore, affamati, perseguitati, feriti, sfruttati, vittime di guerra; cercano una vita migliore» (Papa Francesco, Regina coeli, 19.4.2015). Sono costretti a lasciare i propri Paesi che, per quanto devastati da guerre e violenze, persecuzioni e brutalità, carestie e miseria, costituiscono pur sempre la loro terra. Ancora una volta – nella storia – tocchiamo con mano l’abisso del cuore umano che arriva a speculare sulle miserie dei poveri e dei deboli; e, per cavare il massimo del profitto, aggrava le vessazioni e le torture dei miseri. Pensiamo con orrore agli «scafisti», criminali dell’umanità, disposti a uccidere con lucida e cinica programmazione. Il nostro Paese ha fatto non poco attraverso le sue istituzioni politiche, civili e militari, anche se, a volte, tra non poche polemiche: ma quale alternativa non demagogica o peggio? È evidente che l’accoglienza umanitaria vada sempre accompagnata dalla legalità e dalla sicurezza di tutti; ed è evidente che all’accoglienza deve corrispondere coscienza e disponibilità.
Finalmente, l’Europa sembra «aver dato un colpo», quello che da anni si è atteso e forse si doveva pretendere: certe normative europee sembrano non tanto garantire il bene comune, ma piuttosto gli interessi di pochi. Il «colpo» dato, in verità, è flebile ma sembra riconoscere che i Paesi membri sul mare sono la porta di casa e quindi nessuno se ne può disinteressare. Esprime, dunque, una duplice coscienza: di ciò che l’Europa dice di voler essere – casa comune – e della tragedia umanitaria in atto che interpella il grado dell’ umanesimo europeo. Il segnale è dunque apprezzabile, ma avaro: basta pensare che nel 2014 furono impiegate in Italia risorse per 650 milioni, e per quest’anno sono stimati 800 milioni di euro. L’Unione Europea ne ha stanziati, per tutti i 25 Paesi membri, 60! La Chiesa italiana, attraverso le sue molteplici realtà, collabora e continua a collaborare in termini di strutture, organizzazioni, risorse, mantenendo la doverosa attenzione per tutti. Vogliamo qui ringraziare i sacerdoti, i consacrati, gli operatori, le comunità cristiane, per la dedizione intelligente e fraterna. Il dramma globale dovrà essere affrontato con logiche più stringenti, concrete, tempestive, che prevedano interventi nei Paesi di provenienza per superare le cause di tanta fuga coatta, e per creare un quadro normativo chiaro e ordinato vincolante per tutti gli Stati membri, cosicché, nell’Europa moderna, le persone non si sentano né ingombri, né assistite.
Un fenomeno che alimenta preoccupazione generale, ma che dovrebbe essere maggiormente considerato, è quello dei ragazzi che, dagli 11 ai 17 anni, sono facile preda dell’alcol: è stato comunicato che, nello scorso anno, sono stati almeno 75.000! Che cosa stiamo testimoniando ai nostri giovani? Quale educazione, quali valori, quale visione della vita, quale idea di felicità? La loro libertà è veramente libera? La società si pone questi interrogativi inquietanti? Oppure si gira dall’altra parte, cercando di compensare con le cose le nostre mancanze educative, le visioni corte della vita? L’altro fenomeno in crescita, sotto lo sguardo distratto di molti e compiaciuto di alcuni, è il gioco d’azzardo. Basta considerare le cifre: negli ultimi due anni il fatturato è stato di 90 miliardi, terzo fatturato dopo ENI ed ENEL! Rappresenta il 10% dei consumi delle famiglie italiane ed è valutato in circa 800 miliardi. Il 40% del fatturato è dovuto alle slot machine che in Italia sono 414.000: una ogni 145 abitanti, a fronte di una ogni 261 abitanti in Germania, e negli Stati Uniti una ogni 372 abitanti. Infine, i giocatori patologici sono stimati in circa 700/800 mila. Presto dovrebbe uscire un’importante normativa, ma che ad oggi sembra non contenere alcuna limitazione circa l’apertura delle sale da gioco, né circa la pubblicità del gioco d’azzardo. Questa specie di droga insidia ogni fascia d’età, mangiando risparmi e pensioni, a volte interi stipendi di famiglia. Naturalmente, sono preda più facile coloro che sono meno abbienti e più deboli. Ringraziamo il quotidiano «Avvenire» per la continua e puntuale attenzione dedicata a questo dramma verso il quale non mancano realtà ecclesiali e gruppi che da tempo si impegnano con la loro vicinanza e il loro aiuto.
Entra così in campo la scuola, istituzione che ha il compito di affiancare i genitori nell’arduo e affascinante compito educativo. Molto si è discusso sulla «buona scuola», e le tensioni si sono manifestate sia sulla volontà di cambiamento, sia sulle forme e sui tempi. Dato l’argomento, il buon senso e la storia suggeriscono di trovare delle sintesi in tempi ragionevoli, magari distinguendo temi e obiettivi. Chi non ricorda, un anno fa, i 300 mila col Papa per un vero patto educativo, e per una buona scuola in Piazza San Pietro? Quella visione e quell’onda non sono scomparse. È l’onda di un popolo che è appassionato per il futuro del Paese, futuro che passa attraverso l’educazione delle giovani generazioni. Un popolo senza targhe, trasversale, grande più di quanto s’immagini, che non intende fare da spettatore su quanto accade o accadrà sulla pelle dei propri figli. Chiede una struttura più giusta e adeguata per sedi e organici, un’istruzione solida ed essenziale, una formazione professionale stimata e sostenuta; in una parola, un’educazione integrale per tutti, educazione di base che molti Paesi avanzati non hanno e ci invidiano, ma libera, lontana da schemi statalisti, antiliberali. Con il Papa diciamo no ad una scuola dell’indottrinamento, della «colonizzazione ideologica». Diciamo sì alla scuola libera, libera non perché sganciata dal sistema scolastico nazionale, ma perché scelta dai genitori, primi e insostituibili educatori dei loro figli. Sarebbe il tempo di attuare quanto previsto dalla legge 62/2000 a proposito del «sistema italiano della pubblica istruzione», nel quale sia la scuola statale sia le scuole paritarie vengono riconosciute a pieno titolo pubblico servizio. In questa prospettiva, si giustifica il «bonus» per i genitori da utilizzare nella scuola prescelta. È utile segnalare che, tra le modifiche approvate in Commissione al testo in questione, vi è quella che prevede l’insegnamento della parità di genere in tutti gli istituti. Una simile previsione sembra rappresentare l’ennesimo esempio di quella che Papa Francesco ha definito «colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura» (Papa Francesco, Conferenza Stampa nel volo di ritorno dalle Filippine, 19.1.2015). Educare al rispetto di tutti, alla non discriminazione e al superamento di ogni forma di bullismo e di omofobia, è doveroso, lo abbiamo sempre affermato: rientra nei compiti della scuola. Ma l’educazione alla parità di genere, oggi sempre più spesso invocata, mira in realtà ad introdurre nelle scuole quella teoria in base alla quale la femminilità e la mascolinità non sarebbero determinate fondamentalmente dal sesso, ma dalla cultura.
Abbiamo chiamato in causa la famiglia, perno insostituibile e incomparabile della società. Nell’orizzonte parlamentare va avanti il disegno di legge delle cosiddette «unioni civili e delle convivenze». Il Concilio Vaticano II e il Magistero dei Pontefici hanno sempre ribadito che è dovere dei Vescovi dire una parola quando è in gioco il bene dell’uomo, soprattutto quando si toccano i fondamentali dell’umano: «Ogni minaccia alla famiglia è una minaccia alla società stessa» (Papa Francesco, Discorso a Manila, 16.1.2015). Già a Rio de Janeiro il Pontefice aveva ribadito che «non c’è vera promozione del bene comune, né vero sviluppo dell’uomo, quando si ignorano i pilastri fondamentali che reggono una Nazione, i suoi beni immateriali: la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia, fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale» (Discorso, 25.7.2013). A proposito della sacralità della vita, il Santo Padre ha incoraggiato «ad intensificare la pastorale della famiglia (…) affinché, di fronte alla cultura disumanizzante della morte, diventi promotrice della cultura del rispetto per la vita in tutte le sue fasi, dal concepimento fino alla morte naturale» (Papa Francesco, Discorso ai Vescovi del Messico, 19.5.2014). Ancora una volta ricordiamo che non sono in questione le scelte individuali delle singole persone. Ribadiamo la dottrina della Chiesa circa le situazioni oggettive, viste non solo attraverso l’occhio della fede e della Rivelazione, ma anche con l’occhio della retta ragione e dell’esperienza universale, tanto che il Santo Padre è intervenuto molte volte e con grande chiarezza: «La famiglia è anche minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo, la cultura dell’effimero, una mancanza di apertura alla vita» (id). E ancora: «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari» (Papa Francesco, EG 67). Di decisiva importanza è anche l’affermazione per cui oggi «Il matrimonio tende ad essere visto come una mera forma di gratificazione affettiva che può costituirsi in qualsiasi modo e modificarsi secondo la sensibilità di ognuno» (id 66). Ora, il testo di legge in questione ancora una volta conferma la configurazione delle unioni civili omosessuali in senso paramatrimoniale. Tale palese equiparazione viene descritta senza usare la parola «matrimonio», ma in modo inequivocabile: «le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’, ‘marito’ e ‘moglie’, ovunque ricorrano nelle leggi, nei decreti e nei regolamenti, si applicano anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso» (art. 3). Questa equiparazione riguarda anche la possibilità di adozione, che per ora si limita all’eventuale figlio del partner (art. 5). È evidente che – come è successo in altri Paesi – l’adozione di bambini sarà estesa senza l’iniziale limitazione. Così come è evidente, ancora alla luce di quanto accade altrove, che presto sarà legittimato il ricorso al cosiddetto «utero in affitto», che sfrutta indegnamente le condizioni di bisogno della donna e riduce il bambino a mero oggetto di compravendita. Il desiderio della maternità o della paternità non può mai trasformarsi in diritto per nessuno. Si alimenta anche così la «cultura dello scarto», categoria che tanto piace se applicata a certe situazioni, ma non a queste: «Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con papà e una mamma, capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva (…) Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio. Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, pretesa la modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del pensiero unico» (Papa Francesco, Discorso alla Delegazione dell’Ufficio internazionale Cattolico dell’Infanzia, 11.4.2014). In altra occasione il Santo Padre ha ribadito che «questa complementarietà sta alla base del matrimonio e della famiglia» (Discorso alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 17.11.2014). A Napoli il Papa disse che la cosiddetta «teoria del gender» è uno «sbaglio della mente umana» (Discorso 21.3.2015) e successivamente ha espresso il dubbio «se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa confrontarsi con essa» (Papa Francesco, Udienza generale, 15.4.2015)
Un’ultima parola dobbiamo dirla sul «divorzio breve». Si puntava sul «divorzio lampo» e su questo si ritornerà non appena i venti saranno propizi. Ma sopprimere un tempo più disteso per la riflessione, specialmente in presenza di figli, è proprio un bene? Si favorisce la felicità delle persone o si incentiva la fretta? «Quando si tratta dei bambini che vengono al mondo, nessun sacrificio degli adulti sarà giudicato troppo costoso e troppo grande pur di evitare che un bambino pensi di essere uno sbaglio» (Papa Francesco, Udienza generale, 8.4.2015).
Tutti guardiamo con gratitudine all’alto Magistero del Santo Padre Francesco, qui riproposto in un contesto sociale e storico quanto mai bisognoso di essere illuminato e confermato nella via della verità e del bene. Sembra però che a volte, certe parole del Papa, non in linea con il pensiero unico, siano selezionate e oscurate da chi ha altre parole da far valere e diffondere nella pubblica opinione.
Vi ringrazio, cari Confratelli, per l’ascolto paziente di queste considerazioni che hanno dovuto tenere conto dei molteplici argomenti che toccano anche il nostro Paese. Su noi, sull’Italia, sulle nostre amate Comunità, invochiamo la benedizione del Risorto asceso al cielo: rinnovi su noi e su tutti il dono corroborante del suo Spirito, che a Pentecoste invocheremo con la Chiesa intera.