Vescovi Toscani

Card. Piovanelli ai Sindaci italiani: «Imparate da Giorgio La Pira»

Venti anni fa, nel 1994, in occasione della “grande preghiera del popolo italiano” il beato Papa Giovanni Paolo II, rievocando i tempi dell’allontanamento dell’Europa dal cristianesimo e la tragedia delle due grandi guerre che hanno funestato il secolo scorso, ha voluto rilevare, in mezzo a molteplici forme di male, la potenza del bene soprattutto per opera di radicali testimoni di Cristo. Qui ha ricordato anche La Pira. Anche io, nell’omelia della Messa celebrata presso la tomba di San Pietro ho ascoltato queste parole: “ Quando dopo la seconda guerra mondiale si è delineato il programma della ricostruzione dell’Europa, in esso hanno avuto una parte importante due cristiani quali Alcide De Gasperi e quella figura carismatica che fu il sindaco di Firenze Giorgio La Pira”.

Dieci anni fa, nel 2004, per concludere l’anno centenario della nascita di Giorgio La Pira, a Noto, in Sicilia,

il Prof. Agostino Giovagnoli, Ordinario di Storia Contemporanea all’Università Cattolica di Milano, ha detto: «Gran parte della vita di La Pira si è svolta all’interno del “secolo breve”, il secolo delle ideologie e dei totalitarismi, tra la prima guerra mondiale e la caduta del muro di Berlino. La sua parabola si è cioè consumata tra fascismo e guerra fredda, in un mondo diverso da quello in cui siamo immersi dal 1989. Anche la sua fisionomia di cattolico, noto per i suoi slanci profetici ma anche per la sua vicinanza politica alla Democrazia Cristiana, molti, durante quest’anno 2004 – centenario della nascita – hanno cercato di avvicinarsi alla sua figura trovando in La Pira vibrazioni di grande intensità: La Pira, insomma, “parla” ancora agli uomini e alle donne de XXI secolo».

Giorgio La Pira è definito da Vittorio Peri (Giorgio La Pira, spazi storici, frontiere evangeliche, Sciascia editore, Caltanissetta – Roma 2001) “la personalità più singolare del cattolicesimo italiano del secolo XX”.

A Firenze da molti viene chiamato “il sindaco santo”.

E a voi, sindaci d’Italia, proprio questo aspetto interessa.

Fioretta Mazzei, che ha condiviso tanti ideali ed è stata collaboratrice fedele nel suo servizio alla città nell’amministrazione 1951-1956, nella seconda amministrazione 1956-1961, che  registrò una crisi ed intermezzo commissariale, e nella terza amministrazione 1961-1964. Fioretta, in un suo libro intitolato “La Pira – cose viste e ascoltate”, scrive: “Un disegno preciso, due vocazioni che si chiamano l’un l’altra perché hanno la medesima matrice: fatto per Firenze e Firenze per lui. Per questo amò tanto l’esser sindaco: sindaco di Firenze e soltanto di essa, vivendolo come una consacrazione, come un fatto definitivo; quasi una missione ricevuta dal suo popolo come i re d’Israele ricevevano l’unzione dei profeti e qualunque fosse l’alternanza degli avvenimenti il fatto restava sempre … Il suo destino era scritto nel destino di Firenze stessa; lo sapeva e sapeva anche che non era episodico, diciamo per il periodo che c’era lui, ma che qualcosa di definitivo si inscriveva nella storia,  nell’anima della sua città. Sapeva di esprimerne l’anima, il segno comune fa della gente non un agglomerato informe, ma un popolo, un popolo con un destino nella storia universale dei popoli. … La Pira fu felice di essere sindaco di Firenze, si sentì a casa sua, nel suo compito. Non così si era sentito a Roma, tante volte se ne era lamentato: “Roma non è per me, è troppo grande, non è a misura d’uomo”. Tuttavia si arrabbiò quando la carica di sindaco fu dichiarata non abbinabile a quella di deputato. Diceva che un sindaco ha una ricca esperienza da portare in Parlamento; pesa per questo. Si arrabbiò, ma decise per Firenze spontaneamente scrivendo di getto quel telegramma rimasto famoso: “Scelgo Firenze, perla del mondo”… Non ebbe poi nostalgie. Anche se rieletto deputato, per Firenze di nuovo si dimise: la sua scelta era, prima di tutto, sindaco”.

Ho voluto raccontarvi questo aspetto intimo di Giorgio La Pira, perché, sono certo, anche voi siete orgogliosi di questo servizio che vi è stato affidato, anche voi misurate la responsabilità di curare il bene della comunità che vi ha scelti proprio per questo, anche voi fate l’esperienza dell’importanza di essere a contatto diretto con le persone per aiutarle ad esprimere al meglio le proprie capacità e dare così un contributo decisivo per il futuro della nostra società.

Lui  amava definirsivenditore ambulante di speranza. Infatti, realizzò, anche se sovente con atroce scotto di dolore, il più genuino e tipico insegnamento cristiano. Davvero, come dice  S.Tommaso d’Aquino nella Summa teologica (II-II,174,63), “in ogni tempo non mancarono mai persone dotate di spirito profetico, non per rivelare nuove dottrine di fede, ma per guidare la condotta degli uomini”.

Da giovane vive posizioni vagamente libertarie ed ha l’esperienza di ideali di giustizia, di onestà, di altruismo, di affermazione politica, di crescita storica per il bene comune, vissute intensamente fuori della Chiesa (a 15 anni, in un discorso pubblico davanti ai soci dell’associazione “Italia giovane” a Noto: “Non potrei mancare di sincerità e di affetto dinnanzi ai veri rappresentanti… di un’idea che è santa e che santifica nella sua grandezza la vita di chi combatte per essa. Di questa idea, o compagni, siamo i più puri assertori e come dinanzi all’usurpatore della religione il volgo ignaro si inchina, così noi, ancor più devotamente e coscienti di noi stessi, ci inchiniamo di fronte alla vera, alla più santa, alla più sacra  religione, che è, o compagni, la Patria: la Patria dei nostri padri, dei nostri avi, dei nostri morti, dei nostri affetti più cari”).

Negli anni 1922-24 attraversa un periodo di ripensamento che, nella Pasqua del ’24 si conclude con un pieno e gioioso recupero della fede cristiana. Si tratta di una vera intuizione mistica, per cui La Pira abbraccia nella propria vita la Realtà assoluta e personale di Dio operante in noi e nella storia.

Il 2 giugno 1946 viene eletto deputato alla Costituente quale indipendente nelle file della Democrazia Cristiana.  Operando nella sottocommissione che elaborò i “principi” della Costituzione, La Pira contribuì a dare precisa definizione a “quei pilastri essenziali dell’ordine sociale che sono gli enti sociali originari (la famiglia, la chiesa, la città, la regione, il sindacato, i partiti, la nazione, la comunità delle nazioni) entro i quali è organicamente inserita e ordinatamente si sviluppa nel suo cammino ascensivo verso i supremi valori interiori, la persona umana.

Il 18 aprile 1948 viene eletto deputato nella prima legislatura ed entra nel Governo De Gasperi come sottosegretario al lavoro, di cui è ministro titolare Amintore Fanfani.

In una lettera del 31 agosto ’46, egli confessa: “non sono stato io a scegliere la parte di deputato: me l’avete imposta: dunque bisogna prendermi come sono: il Signore lo sa: Egli mi ha sempre posto in condizioni che non alterino la fisionomia essenzialmente orante e contemplativa della mia vita”.

Quella che qualcuno ha chiamato la seconda conversione è avvenuta con l’esperienza di sottosegretario e di sindaco. Alla Costituente, insieme al gruppo degli amici Dossetti, Moro ed altri, dice La Pira, sapevo dove arrivare: “affermare i valori della persona, la sua architettura, il suo mondo interiore di libertà, l’atto mistico che lo definisce. Affermare che questa persona è nel contesto della comunità: quindi la  famiglia, quindi la città, quindi la nazione, quindi tutte le altre nazioni”. Tutto cambiò quando divenne sottosegretario al lavoro: “Io non avevo mai capito che cosa fosse la disoccupazione…Che scoperte! …Così io ero passato accanto a tante cose, anche al lavoro, ma non l’avevo capito. L’ho capito quando fui là: allora capii che cos’è il valore di fondo del lavoro, e quindi della disoccupazione. Che scoperte! Se non si fanno scoperte non si fa nulla: tu ci passi accanto e non te ne accorgi. È come un turista: viene a Firenze, passa accanto al Battistero. Siamo dei turisti: si passa accanto alla disoccupazione e non si sa che cosa sia la disoccupazione.  Passi accanto a quello che è senza casa e tu non sai che cosa è la casa, non l’hai mai scoperto. Passi accanto alla città e non sai che cos’è la città, non l’hai mai scoperta. Così io, ero passato accanto a tante cose, anche al lavoro, ma non l’avevo capito. L’ho capito quando fui là: allora capii qual è il valore di fondo del lavoro, e quindi della disoccupazione”.

Una volta, intervenendo ad un Convegno dei giuristi cattolici (novembre 1951) dovendo svolgere il tema “il Cristianesimo e lo Stato” si abbandonò, in modo giocoso, ma serissimo, a queste confidenze: “Una volta, quando ero più giovane e non avevo questi contatti, magari facevo delle preghiere più lunghe e più belle, più affettuose al Signore; ed anche un esame di coscienza più approfondito e più acuto, ma sempre su cose che riguardavano me, in certo modo: se avevo pregato Dio, se avevo detto qualche parola poco delicata nei confronti di un amico. Adesso sono diventato di una coscienza dura, perché ormai mi stizzisco dalla mattina alla sera, ed anche mi arrabbio. E la sera affiora nel mio esame di coscienza questa popolazione che aspetta di avere la casa, di avere il lavoro dal quale dipende la sua vita fisica e spirituale, o di avere la streptomicina. Dico: “Signore, perdonatemi che mi arrabbio”, tuttavia resta quell’altra cosa nella mia coscienza. E capisco che, effettivamente, se avessi esercitato più amore e più intelletto nel ricercare gli strumenti, forse avrei dovuto aver qualche occupato di più, qualche casa di più e qualche medicina di più e qualche consolazione di più. Quindi questo esame di coscienza si sposta da me agli altri”.

L’ingresso di La Pira in questa nuova consapevolezza coincide con l’esercizio concreto delle sue nuove responsabilità di sindaco di Firenze. “Ho capito allora che il cristianesimo è storia e geografia”.

Non fu per sua scelta che La Pira divenne sindaco di Firenze, ma perché nel contrasto acuto tra comunisti e democristiani l’unica possibilità di sottrarre la città all’amministrazione rossa non c’era nessun candidato al di fuori di lui, che era già una leggenda negli strati popolari, anche di obbedienza comunista. Portare in Palazzo Vecchio un sindaco non comunista sulle spalle dei poveri: ecco il capolavoro strategico della coalizione che si improvvisò attorno alla candidatura di La Pira. Il quale accettò più come uomo di Chiesa che come uomo della DC, di cui non volle mai la tessera(“la mia unica tessera è il Battesimo” diceva) ed entrò nella competizione elettorale senza indulgere al linguaggio della competizione, con l’intento di farsi portavoce di quelli che nella città non avevano peso. Questa sua diversità non era tattica, rifletteva la sua visione delle cose, su cui nulla potevano i condizionamenti delle segreterie di partito, né la pressione dei gruppi abituati a porre le ragioni di parte al di sopra del bene comune dei cittadini. Una volta sindaco, non poteva certo modificare le regole del gioco, nemmeno quelle di un consiglio comunale, ma rifiutò, per quanto possibile di restarne prigioniero. Il fine, se voluto sul serio, comanda anche sui mezzi, crea un metodo omogeneo a sé. Se il fine di un sindaco è di edificare la città secondo una architettura di pace, il metodo non potrà essere che quello della collaborazione, la più larga possibile.

A leggere i discorsi e gli scritti di La Pira, si avverte che, dopo una certa data, e precisamente dopo la sua elezione a sindaco, essi traboccano per esuberanza di immagini spesso candide, come capita agli innamorati, e qualche volta profonde, come capita a chi, per forza di amore, intuisce le questioni di fondo della realtà. Per chiudere la sua giornata a Palazzo Vecchio, quando era possibile, egli si faceva portare dal fedele autista al Piazzale Michelangelo, dove sostava in commossa contemplazione: “Mia dolce e misurata e armoniosa Firenze!”. Guardava la cupola del Brunelleschi e la torre di Arnolfo e si faceva investire dal mistero di quei tetti che, come sotto le ali,  alla cupola e alla torre si coordinano e si uniscono.

Nella concezione di La Pira l’amministrazione da lui presieduta era l’organo competente a “soddisfare i bisogni più urgenti degli umili, avviando a soluzione i problemi dei più poveri della città, a potenziare l’attività industriale, agricola, commerciale e finanziaria, a far diventare Firenze un centro di valori universali”.

Scriveva Nicola Pistelli nel 1955, a diretto contatto con La Pira sindaco, che “la storia di La Pira è una storia impossibile a raccontarsi per intero, tanto la cronaca risulterebbe arida a confronto con la realtà”. Per rendere meno arida la cronaca Pistelli rievoca i disoccupati in cerca di lavoro e di vestiario, che “ti dicono fiduciosi “vado a dirlo a La Pira”; il bicchiere di latte e cioccolata offerto ai bambini delle scuole elementari, ricchi e poveri; l’invito del sindaco a tutti i ragazzi perché la mattina dell’Epifania vadano a fargli visita in palazzo Vecchio, dove troveranno giocattoli e dolci. E giustamente annota: Sbaglia chi dice che in tal modo La Pira ha ridotto la sua amministrazione a un’opera assistenziale, perché lo scopo a cui mirava era di restituire al cittadino “il sapore perduto della comunità” e di fargli scoprire “il patrimonio di energie che ancora gli rimangono”. Inoltre La Pira si era preparato alle responsabilità di pubblico amministratore con una impegnata meditazione sui problemi economici fino a pubblicare un saggio dal titolo L’attesa della povera gente e, in risposta al vivace dibattito che ne era seguito, aveva pubblicato una lunga e diligente replica La difesa della povera gente. L’intento era di delimitare la sfera delle leggi economiche collocandole in un contesto antropologico, che ne riveli il valore di puri strumenti. Anche per lui l’assolutezza dell’economia è una menzogna ideologica, che mette in ombra il dato di fatto che è pur sempre l’uomo che fa le leggi, e le fa in base al fine che si propone. “La disoccupazione – scrive La Pira, seguendo la scuola keynesiana – è un consumo senza un corrispettivo di produzione: è perciò uno sperpero di beni e di forze produttive”. I disoccupati, infatti, esistono e se esistono consumano. La via per uscire dalle contraddizioni del sistema è semplice: “partire dall’occupazione non dal denaro: partire dall’uomo, cioè dal fine, non dal denaro, cioè dal mezzo”. Tocca allo Stato, mediante una politica di piano, orientare gli investimenti in modo da riassorbire la mano d’opera disoccupata. Chi lavora ha un salario, chi ha un salario può comprare, chi compra dà un incentivo alla produzione, e così il cerchio si chiude con beneficio di tutti.

Alla maniera di Gandhi, La Pira non riusciva a capire come si potesse vivere la responsabilità politica (“la più alta dopo quella dell’unione con Dio”) restando prigionieri di angusti obiettivi personali o di parte.

Giorgio La Pira “parla” ancora agli uomini e alle donne del XXI secolo. Giorgio La Pira “parla” ancora in modo particolare agli uomini e alle donne che hanno ricevuto l’incarico di servire, come sindaci,  il bene della loro  città e del loro paese.

Che dice il sindaco La Pira a voi, sindaci d’Italia?

1. Custodite il sogno di aiutare la crescita di una città in cui le persone si aiutano a risolvere i problemi di tutti i giorni . Nella inaugurazione della città-satellite Isolotto, consegnando le chiavi alle famiglie assegnatarie dice: “Amatela questa città, come si ama la casa comune destinata a noi e ai nostri figli. Custoditene le piazze, i giardini, le strade, le scuole; curatene con amore, sempre infiorandoli e illminandoli, i tabernacoli della Madonna, che saranno in essa costruiti: fate che il volto di questa città sia sempre sereno e pulito. Fate, soprattutto, di essa lo strumento efficace della vostra vita associata; sentitevi, attraverso di essa, membri di una stessa famiglia; non ci siano tra voi divisioni essenziali che turbino la pace e l’amicizia; ma la pace, l’amicizia, la cristiana fraternità fioriscano in questa città vostra come fiorisce l’ulivo a primavera! Create anche voi, in questa città satellite, un focolaio di civiltà; ponete a servizio dei più alti ideali dell’uomo – ideali di santità, di lavoro, di arte e di poesia – i talenti di cui voi siete ricchi: fate che in questa città satellite sia coltivato, per le generazioni future, un seme fecondo di bene e di civiltà”.                                                           

2. Occorre cominciare dagli ultimi e rispondere a “L’attesa della povera gente”. Dunque, attenzione affettuosa ed impegno costante per “le periferie” delle vostre città.

Ecco, per La Pira, i problemi concreti della gente, come il problema della casa. Nel 1951, il Sindaco del Dialogo si è trovato con più di 500 sfrattati e novemila disoccupati, mentre l’8% della popolazione aveva il libretto di miserabilità. Al segretario della Dc nel 1955 aveva dichiarato: “Fino a quando voi mi lasciate in questo posto – sindaco – mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e dei potenti. Non lascerò senza difesa la parte debole della città. Chiusure di fabbriche, licenziamenti e sfratti troveranno in me una diga non facilmente abbattibile…Tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della più gran parte del popolo italiano…Il pane, e quindi il lavoro, è sacro; la casa è sacra: non si tocca impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo!”.

3. La Pira aveva scelto come motto, che spesso fioriva sulle sue labbra, “in spem contra spem”: è quanto scrive l’apostolo Paolo nella lettera ai Romani parlando di Abramo. “Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli” (Rom 4,18).

Il disegno di Gesù non è soltanto escatologico, non è solo per i cieli nuovi e le terre nuove, ma anche per questa terra destinata a fiorire, anche per questa terra fatta per i diecimila anni di pace di cui ispirato parlò Kennedy. Il discorso di Gesù a Nazareth è tutto qui: i ciechi vedono, gli zoppi camminano … la buona novella è annunciata ai poveri: questo tempo nuovo è già cominciato con Gesù ed esige la sua piena fioritura: Dio lo disegna: “come in cielo così in terra”.

4. Il cristiano è un uomo libero, che risponde solamente al Vangelo.

“Il Vangelo parla chiaro. Nella scelta fra i ricchi e i poveri; fra i potenti e i deboli; fra gli oppressori e gli oppressi; fra gli occupati e i licenziati; fra coloro che ridono e coloro che piangono; la nostra scelta non ha dubbi:  siamo decisamente per i secondi “.

Ricordo che una volta il sindaco, dopo aver percorso tutte le strade per le migliaia di persone senza tetto, chiese ad alcuni proprietari immobiliari di affittare al Comune una serie di appartamenti vuoti. Poi, ricevendo poche risposte, ordinò la requisizione degli immobili (in base ad una legge del 1865 che dava questa facoltà in situazioni di emergenza o gravi motivi di ordine pubblico). I proprietari ricevevano dal Comune un canone di affitto con l’impegno della eventuale rimessa a posto al momento della restituzione. Fioccarono polemiche ed anche denunce: dalle cause giudiziarie La Pira è sempre uscito regolarmente assolto.

Il 28 giugno 1955 il quotidiano francese “Le Monde” commenta: “Giorgio La Pira: chi non conosce oggi questo piccolo uomo vivace e dolce, questo “cristiano da choc”, che si è lanciato nella vita pubblica senza nulla concedere alla potenza del denaro né perdere nulla del suo temperamento di asceta? Il fatto è tanto raro che sembra avere del miracoloso. Totalmente povero, una camera d’ospedale per casa, votato al celibato. La Pira attraversa gli onori senza vederli. Coltiva due grandi passioni: l’amore per gli operai e quello per gli ordini contemplativi con i quali trattiene regolari contatti”.

5. La strada per l’umanità è il sentiero isaiano della pace: le spade in aratri, le lanci in falci.La stagione di La Pira sindaco si chiude dopo la sua terza Giunta (1961-1965). Ma, lasciando Palazzo Vecchio non rinuncia a svolgere il ruolo che nel frattempo si è ritagliato, e che gli calza a pennello: quello di “ambasciatore di pace” di Firenze nel mondo.

Già nell’Epifania 1951 aveva deciso di consacrare  la propria vita alla pace. Quel giorno prese l’iniziativa  di far arrivare un messaggio a Togliatti perché esercitasse pressione sui sovietici per porre fine al riarmo nucleare. Il tentativo era disperato: e infatti la risposta di Stalin , a quanto si racconta, fu sprezzante.

Ma è l’inizio di una serie di gesti profetici che vedranno La Pira al centro dei più grandi avvenimenti mondiali.

A chi lo accusava di portare nel campo politico motivazioni evangeliche e teologiche rispondeva: “ Si dice che La Pira ha una ispirazione teologale. Di qualunque opinione politica siate, di qualunque credenza religiosa siate, se intendete per ispirazione teologale il rispetto della personalità umana, del pensiero umano, della libertà umana, il rispetto profondo dei grandi valori religiosi, che hanno costruito e costruiscono le civiltà, questa allora è la nostra ispirazione cristiana, perché aperta ad ogni libertà, ad ogni luce, ad ogni verità”.

Scrivendo la Vita interiore di Ludovico Necchi”  (Vita e Pensiero, Milano 1954)  così si era espresso: “ Sulla terra, in un’ora misteriosa e dolce della storia umana, nacque nel mondo Maria e attraverso Maria nacque nel mondo Gesù. Il contesto storico e cosmico non può più “liberarsi” – per nessuna ragione e per nessuna forza – da questo fatto divino che gli è divenuto essenziale: l’edificio storico e cosmico non può più liberarsi dalla pietra fondamentale che è divenuta pietra d’angolo e fondamento di roccia “.

Lelio Lagorio, che è successo a la Pira come Sindaco, ha scritto: ”Gli schemi partitici non lo appassionavano. I partiti, per lui, al massimo potevano divenire strumenti sopportabili per un disegno più elevato. Amava le grandi sfide, non il cabotaggio, ma sapeva star dietro anche alla politica delle piccole cose alle quali era più attento di quanto comunemente si credesse.

Uno dei punti focali della sua riflessione era il riconoscimento del valore assoluto della persona”.

Di qui, in certo modo, nascono gli impegni che caratterizzano il suo impegno e la sua azione politica:

– Capacità di ripensare la città nella sua storia e nei suoi segnali estetici.

– Considerare la città come grande patrimonio per l’umanità, capace di parlare di pace a tutti gli uomini.

Il tutto inserito in una strategia unitaria (che ci fa scoprire il piano di Dio nella storia del mondo come in quella di ciascuno di noi);

impegno contrassegnato dalla fede (…pilotare la speranza perché essa si traduca in organismi economici, tecnici, sociali, culturali e politici atti a realizzarla);

caratterizzato dalla speranza(abituandosi a leggere la cosiddetta “storiografia del profondo”);

incarnato nella carità, nella concretezza delle persone e delle cose;

aprendo fiduciosamente la strada ai giovani, come diceva La Pira: “per ricordare loro l’impegno pubblico che li attende: per prepararli ad esso: per mostrarne loro il valore, l’essenzialità, la bellezza, il rischio; per suscitare nel loro animo, sin da ora quei sentimenti di dedizione, di sacrificio, di amore, che esso esige: per dare loro la consapevolezza di questa grande verità: che la città – come scrisse Leon Battista Alberti – è una grande casa comune nella quale abita una comune famiglia fatta di generazioni che si susseguono – le une alle altre solidali – nel corso dei secoli”.

Concludo ascoltando una parola del sindaco Giorgio La Pira che bene illumina la vostra iniziativa di incontrare il Papa: “La Chiesa possiede ‘istintivamente’ il senso del tempo: ha, come gli uccelli, l’istinto delle stagioni; intuisce, in virtù di una forza interiore, la genesi delle epoche nuove nel corso (organico) della storia del mondo!”.

Positivo e bello, allora, che, in questo tempo di crisi e di speranza, voi siate qui per incontrare Papa Francesco il quale, quando era arcivescovo di Buenos Aires, ha scritto che Dio vive già nella città ed ha aggiunto: “ La speranza cristiana non è un fantasma e non inganna. È una virtù teologale e dunque, in definitiva, un regalo di Dio che non si può ridurre all’ottimismo, che è solamente umano. Dio non defrauda la speranza, non può rinnegare se stesso. Dio è tutto promessa”.