Vescovi Toscani
Prato, omelia di mons. Agostinelli per ingresso in Diocesi
1
. Cari amici, fratelli e sorelle che condividete con me la Fede nel Signore Risorto, cari sacerdoti che il Signore mi dona come mia nuova famiglia, cari diaconi che ci ricordate con il vostro carisma che la Chiesa è servizio, cari seminaristi il futuro di questa Chiesa, cari cittadini di Prato con cui condividerò un tratto di cammino e che vorrei poter incontrare tutti, al di là delle ideologie che spesso dividono, le diverse scelte di vita che fanno parte del percorso di ognuno di noi, a tutti giunga il mio saluto affettuoso e fraterno.
2. Vi vedo numerosi stasera in questa piazza e se la vostra presenza da una parte mi impressiona e mi desta una certa qual preoccupazione perché mi dice del grande lavoro che mi attende, dall’altra mi gratifica perché siamo in tanti e perché siamo insieme a condividere lo stesso itinerario, gli stessi problemi, soprattutto perché leggo nella vostra presenza la conferma della decisione che più ci riguarda e ci coinvolge, quella di annunziare il Signore, di raccontare con la forza della testimonianza la vita buona del Vangelo.
3. Concedetemi di salutare in modo particolare il fratello Vescovo Gastone, che mi consegna questa Chiesa bella, da lui guidata per venti anni del suo ministero, impegnando le sue risorse e capacità, per l’annunzio del Vangelo, rimanendo vicino alla gente, facendosi carico dei loro problemi, soprattutto di chi è più sfortunato e ha avuto meno degli altri dalla vita. Grazie, caro don Gastone, servo buono e fedele, maestro e riferimento del ministero che ora mi affidi. Raccolgo il tuo invito che tu hai rivolto alla Chiesa pratese fin dal tuo arrivo qui, vent’anni fa, fare“qualcosa di bello per il Regno di Dio”, dicevi; qualcosa di buono, di utile per il prossimo; non c’è qualcosa di bello per Dio, che non diventi qualcosa di bello anche per gli altri. E bello è stare in mezzo alla gente, incontrare, ascoltare, condividere, tessere rapporti di amicizia e di fraternità con tutti, credenti e non credenti. Fa parte del mandato conferitoci dal Signore stare o ritornare in mezzo alla gente, senza pretese – ne abbiamo avuto troppe di pretese talvolta – se non quella di servire e di testimoniare il Vangelo.
Questo è il testimone che tu mi consegni e che io farò mio e che, con l’aiuto di Dio, cercherò di onorare nel tempo del mio ministero.
4. Saluto al Card. Giuseppe Betori, Presidente della Conferenza Episcopale Toscana, Arcivescovo di Firenze, nostro Metropolita, che con sollecitudine ha lasciato Roma dove era impegnato per essere presenti qui in tempo utile; e ringrazio e saluto tutti i Vescovi intervenuti per condividere con me questo bello e significativo appuntamento; un grazie che estendo anche ai confratelli assenti per impegni impellenti ma che non hanno mancato di telefonarmi per esprimermi la loro partecipazione. La vostra presenza, segno dell’amicizia vera che lega tutto l’Episcopato toscano, mi è di sostegno e di incoraggiamento e ve ne sono grato. Ma vorrei salutare e ringraziare anche i Vescovi emeriti e gli altri Vescovi che provengono da altre regioni, amici di vecchia data, che mi confermano con la vostra presenza.
5. Con molto piacere saluto tutte le Autorità – civili, politiche e militari – in particolare i rappresentanti delle Istituzioni della Città e della Provincia di Prato. Mi scuso per il trambusto di cui sono causa, ma al tempo stesso ringrazio, insieme al Comitato organizzatore, per aver preparato una così bella accoglienza. Ci siamo incontrati qualche momento fa, all’inizio di questa serata, per il saluto istituzionale, premessa – credo di poterlo dire – di una reciproca disponibilità ad incontrarci e a collaborare. Noi abbiamo un percorso da condividere, al di là degli specifici ambiti di competenza, ed è il bene comune della gente. Voi lo ricorderete a me ed io farò altrettanto con voi, se mai dovessimo in qualche maniera dimenticarlo. La passione della Chiesa è l’uomo vivente con tutte le sue problematiche, le sue attese, le sue preoccupazioni, soprattutto in questo tempo in cui le preoccupazioni non mancano davvero. Io non ho e non posso e non debbo avere soluzioni ai tanti problemi sociali, economici e politici che affliggono la nostra società, ma vorrei solo essere accanto a voi, a cui i cittadini affidano il loro presente e il loro futuro, per essere segno di speranza per coloro che l’avessero perduta, per essere voce di chi non ha voce.
Con le Autorità della città di Prato, saluto e ringrazio anche il Sindaco e il Presidente della Città e della Provincia di Grosseto e della Città e della Provincia di Arezzo; li saluto come si fa tra vecchi amici con i quali abbiamo percorso un tratto di strada insieme e di cui conserviamo un grato ricordo.
6. Permettetemi ora, cari fratelli e sorelle di Prato, di rivolgermi anche ad altre persone che intravedo tra la folla. Lo faccio per l’ultima volta, ma non posso non rivolgermi ai grossetani – sacerdoti e laici – che sono qui. La distanza da Grosseto a Prato è relativa, ma senza il sostegno della vostra presenza e del vostro affetto il percorso sarebbe stato molto più lungo e senz’altro più duro. Grazie per questi anni di condivisione e di fraternità che mi avete donato. Vi affido al Signore e alla sua grazia. E vedo anche altre persone che sono qui da Arezzo, amici e fratelli di una stagione indimenticabile: anche a voi giunga il mio saluto, il mio ringraziamento e il mio affetto.
7. Ed ora, cari sacerdoti, diaconi, religiosi e religiose, mi accingo ad inserirmi nel vostro cammino. Vengo a voi con semplicità e vi sarò grato se vorrete accettarmi per quello che sono, con pregi e difetti. Non so quello che potremo fare; so soltanto che il Signore ci precede e ci chiama all’operatività. Noi non possiamo indugiare, né fermarsi di fronte a problemi anche complessi, né sostare compiaciuti nel già fatto ed acquisito. Perché tra l’altro la vita ci incalza continuamente e ci mette di fronte a situazioni sempre nuove e diverse. Il tempo che il Signore ci dà è dono da spendere bene e voi ne avete la possibilità perché la chiesa pratese (io l’ho appreso in questi mesi), è ricca di iniziative, è intraprendente, zelante – è una bella Chiesa come mi ha ripetuto più volte in questi ultimi tempi il Vescovo Gastone – che può contare su di un clero e un laicato reattivo e competente. Io sono l’ultimo arrivato e vi chiedo la vostra collaborazione, perché da soli non possiamo andare molto lontano: vi chiedo di camminare insieme, guardandoci in faccia, con amicizia e lealtà, senza frapporre indugi, magari tenendo il passo di chi non ce la fa o fa più fatica a camminare. Cari fratelli sacerdoti – mi rivolgo soprattutto e prima di tutti a voi – abbiate uno spirito di servizio generoso, la volontà di camminare tutti insieme, respingendo la tentazione dell’isolamento. Voi ne siete capaci e io conto su ciascuno di voi. Mettiamo sempre al vertice delle nostre scelte non il tornaconto personale, ma lo zelo per l’annunzio del Vangelo e l’amore per la nostra Chiesa: la Chiesa è una passione da vivere; è nostra madre, magari con il volto solcato dai segni del tempo che passa inesorabile, ma che resta pur sempre il volto di una madre amata.
8. Questo non è il momento di fare proclami o di presentare programmi. Avremo modo d’incontrarci, di conoscerci, di parlarci con schiettezza e voi mi farete conoscere ancora meglio questa nostra chiesa e la sua gente. Voi, cari sacerdoti, siete la mia famiglia; con voi chiedo di poter camminare. L’abitazione del Vescovo è la vostra casa, le sue porte resteranno per voi sempre aperte.
Vorrei far giungere il mio saluto anche ai nostri seminaristi e a chi è preposto alla loro formazione: sono il nostro futuro ormai alle porte. La Chiesa, cari seminaristi, vi aspetta e vi chiede di tendere con grande responsabilità alla mèta del sacerdozio, impegnando mente e cuore, una formazione cioè che v’impegni seriamente sia dal punto di vista spirituale che culturale. Le sfide del mondo di oggi non faranno sconti a nessuno e aspettano sacerdoti, uomini veri prima di tutto, dalla forte personalità, dal cuore grande, che sappiano stare con coraggio e competenza in mezzo alla gente e sappiano essere testimoni credibili del Signore.
Conosco le difficoltà che la pastorale vocazionale incontra, ma vi chiedo di non dimenticare mai il seminario; fate sentire loro la vostra vicinanza, il vostro interessamento, la vostra stima; pregate per loro: ce l’ha raccomandato Gesù stesso. Lo chiedo fin da subito alle comunità parrocchiali; lo chiedo a tutti fedeli; lo chiedo agli anziani, a chi è costretto all’inattività dalla malattia: nelle vostre lunghe giornate, riservate uno spazio della vostra preghiera, invocando dal Signore vocazioni per la nostra Chiesa.
9. A voi laici, diretti collaboratori negli uffici della Curia; voi impegnati nelle varie opere diocesane, nella Caritas, nelle parrocchie, nei gruppi e istituzioni di volontariato, nelle varie comunità e associazioni ecclesiali, rivolgo il mio saluto e vi assicuro la mia stima e l’attenzione per quello che siete e fate. Noi e voi – sacerdoti e laici – siamo il popolo di Dio dove ognuno ha la sua dignità e il suo compito in virtù dello stesso battesimo.
Senza di voi, senza il vostro generoso aiuto la chiesa sarebbe più povera. La vivacità di una comunità la si misura dalla vostra presenza. Ed io so che voi ci siete e continuerete a non far mancare il vostro aiuto, il vostro consiglio, la vostra competenza. Vi ringrazio; vorrò conoscervi nei luoghi del vostro impegno e apostolato per stringere con voi tutti legami di amicizia e di collaborazione.
10. Un pensiero particolare vorrei far pervenire ai nostri giovani. Mi avete accolto appena giunto nel territorio della diocesi. Intanto devo dire che sono rimasto edificato leggendo, in queste settimane, della vostra partecipazione ai vari appuntamenti a cui la diocesi vi invita. Guardando i vostri volti, vedendo la vostra esuberanza, noi adulti ci sentiamo riconciliati con la vita. Vorremo non sostituirci a voi, ma esser con voi per trovare insieme le strade migliori verso un futuro degno di essere sognato e costruito. Voglio fin d’ora dirvi: abbiate fiducia; il Signore non viene a togliere ma a donare: Voi desiderate la felicità: il Signore è la felicità. Lui solo dà senso alla vita: Lui solo è la Bellezza che voi cercate. Evitate quella doppiezza che umilia la vita e dove spesso cadono inesorabilmente tanti vostri coetanei: bravi a scuola o all’università, poi la sera, la notte cambia il codice di vita, nella ricerca impossibile di una felicità effimera, in un bicchiere di vino, o in paradisi artificiali o in una corsa pazza per le strade della città e dei nostri paesi. Voi non siete così: testimoniate questa vostra diversità e non voltate le spalle a chi – solo – vi dice la verità sulla vostra vita e può dare risposte vere alle vostre legittime aspirazioni.
11. Ma, cari fratelli, che condividete con me questa eucarestia di lode, lasciamoci ancora condurre dalla Parola, quella che conta davvero, la Parola del Signore, con la quale Lui ci raggiunge e ci parla; la Parola che accompagna e dà senso alla nostra vita e indirizza le nostre scelte.
Oggi si conclude l’anno liturgico: è la festa di Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo.
Il tempo trascorso è il dono che il Signore Dio ci ha elargito, accompagnandoci con la sua parola, sostenendoci con il suo corpo nella celebrazione dell’Eucarestia. Un tempo durante il quale siamo stati guidati dalla parola che ci ha trasportato dentro la storia stessa di Gesù, chiamati a stare accanto a Lui, dentro la sua vita. Invitati a fidarsi di Lui perché abbiamo la certezza che Lui è l’amico vero che non ci ha deluso. Chiamati a stare dove sta Gesù: sulla strada dove Lui incontra, predica, guarisce da qualsiasi male.
Non un evento ripetitivo pertanto, ma sempre nuovo, come nuova e sempre diversa è la nostra vita. L’itinerario per diventare discepoli del Signore non si conclude una volta per sempre, al contrario ci incalza con la sua novità; un itinerario che diviene attraverso l’ascolto della sua Parola, perché noi possiamo conoscere il Signore sempre di più e facciamo l’esperienza stupenda di quell’incontro che cambia la vita.
12. Festa di Cristo Re in cui per noi tutti s’impone una verifica per chiederci se, durante questo anno che ci è stato donato, l’abbiamo scelto veramente come nostro unico re, sottraendoci alla perversione delle idolatrie o relegandolo nella sontuosità delle nostre liturgie, che se toccano la nostra emotività spesso lasciano vuoto il cuore, confinandoci nelle ridotte sterili di uno spiritualismo senza anima o di un attivismo immanente e autocompiacente. La preoccupazione di conservare il “privilegio” può farci correre il rischio di dimenticare che il criterio di ogni gesto cristiano rimane l’ampiezza del cuore di Dio. Il restare a casa, compiacendoci nel ritmo ripetitivo delle cose di tutti i giorni, può offrire l’illusione di essere “vicini”, mentre, senza accorgersene, forse rischieremmo di non vedere chi ci cammina accanto e di mortificare così l’urgenza della missione alla quale il Signore ci chiama.
13. Una domanda s’impone di fronte ad una regalità che sa del paradosso; il Vangelo ci presenta un re umiliato, ridicolizzato, sconfitto, dalla parte degli ultimi, di chi non conta nulla. Ma che re è il nostro? Che regalità è la sua? Si comprende lo scetticismo e quasi l’ironia di Pilato che, di fronte ad un re così dimesso e indifeso, domanda a Gesù: “Tu sei il re dei Giudei?”
14. “Tu lo dici, io sono re!”, risponde Gesù, ma aggiunge: “Il mio regno non è di questo mondo”. La risposta di Gesù non suoni come un disimpegno, un sottrarsi dal divenire serrato, talvolta drammatico, della storia della gente. Il suo regno non è di questo mondo degenerato, lontano dalla sua origine; un mondo dominato dall’egoismo, dalla chiusura all’altro, da relazioni impossibili; non è questo il mondo di Gesù! Il suo mondo ha una logica diversa: una logica di pace, di benevolenza, di prossimità, contro la logica di violenza che invece scandisce spesso i rapporti di tante persone.
15. È un re che resta solo, perché gli stessi suoi discepoli non l’hanno capito e sono andati via. Anche loro si aspettavano un re potente, capace di dominare, di determinare prepotentemente i destini della gente, ma quella non è la regalità del Signore, che non trae origine dai rimestamenti delle cose del mondo; quel regno è dono di Dio e da Lui solo proviene. I profeti avevano preannunziato l’avvento di questo nuovo re. La profezia di Daniele parla di “uno, simile a figlio d’uomo” che riceve dal vegliardo il potere, la gloria e il regno; e “tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano;…il suo regno non sarà mai distrutto”. Ma oggi, questo dono, chiede a noi da quale parte stiamo, come ci poniamo di fronte ad un re così singolare. Una regalità che misura la nostra fede e chiede il nostro coinvolgimento per riaprire la strada per ritornare a casa, al sogno di quei cieli nuovi e di quella terra nuova, che sta nel cuore di ogni persona che pensa, ma che resta solo un’amara illusione o una cocente frustrazione quando si pensa di costruire senza Dio, o, peggio, prescindendo da Lui.
16. Il regno di Dio lo si costruisce qui ed ora; il potere di Cristo si esercita sulla terra e nella storia degli uomini. Pilato comprende questo e domanda a Gesù: “Dunque tu sei re?” “Tu lo dici, io sono re” Questa è la grande verità; non principi logici astratti o idee belle da contemplare. La verità è una storia, ossia la storia dell’amore di Dio verso gli uomini. Gesù è il volto concreto dell’amore di Dio, il Volto concreto della Verità, il testimone della inimmaginabile passione di Dio per gli uomini. Di questo amore ha bisogno il mondo e questo è il mandato che viene consegnato alla Chiesa, quello di essere sacramento dell’amore di Dio per questa nostra generazione. Proprio per questo vorremmo essere insieme agli uomini e alle donne delle istituzioni, agli educatori, agli uomini di scienza, a tutti coloro che perseguono mète di giustizia nei vari ambiti della vita sociale, dall’economia, alla politica e alla cultura, per tentare di costruire un mondo dove la relazione torna possibile e dove si possa vivere con dignità.
17. I problemi della nostra città, del nostro territorio; i problemi del lavoro che preoccupano tante famiglie; il problema dell’immigrazione che ci tocca così da vicino; i problemi dei giovani che guardano con apprensione un futuro sempre più incerto; delle famiglie là dove la relazione diventa difficile, dove un affetto muore, dove i figli piangono, dove si avverte la difficoltà a trovare strade per dare una giusta educazione ai figli; il problema delle persone anziane, sole, malate; il problema dei poveri che ci passano accanto senza che nessuno si accorga di loro, non possono trovarci assenti o scarsamente attenti. Vorremmo continuare a portare il nostro contributo per poter dire al termine della nostra giornata, di aver lasciato il mondo un po’ migliore di come l’abbiamo trovato.
18. È il testimone che io raccolgo dal fratello Vescovo Gastone e dalla santa chiesa pratese, per continuare per quella strada già tracciata. Ora è il tempo della Chiesa, è tempo di uscire dal tempio per incontrare la gente dove questa vive; tempo della missione affidataci dal Signore Gesù. La chiesa, la nostra chiesa, è missionaria; esiste per educare e quindi per evangelizzare. Incontreremo difficoltà, momenti duri, ma noi non possiamo tacere: abbiamo una parola da dire e da dare ed è la Parola di Gesù Cristo. Sia Lui, il Signore, la forza del nostro pensare e del nostro agire. Dalla chiesa dove il popolo di Dio s’incontra per pregare, per ascoltare e meditare la Parola e per nutrirsi del Pane di vita, ripartiamo – sacerdoti, fedeli e persone di buona volontà – per dire a chi ci incontra, con la convinzione e il coraggio della parola e la forza della testimonianza che quel mondo sognato non è un’illusione, ma, anche se difficile, è possibile nel Nome del Signore Gesù.
19. Non siamo soli: ci accompagna la Vergine Maria, Madre e Maestra della nostra vita, che noi veneriamo con il titolo di Madre del Sacro Cingolo, che ci lega a se e ci tiene forte nelle sue mani. Ci accompagna la protezione di Santo Stefano Protomartire, nostro celeste Patrono e di tutti i Santi Patroni della nostra Chiesa.