Vescovi Toscani

Mons. Simoni, lettera aperta agli immigrati

In partenza per una brevissima visita alla Missione diocesana in Ecuador – uno dei paesi dell’immenso Terzo mondo popolato di poveri e di oppressi – mi sento spinto a pensare più di sempre a voi che, venuti a Prato da tante parti della terra, stata sperimentando la fatica e spesso l’avvilimento di una difficile sistemazione.

Vi saluto tutti, a cominciare dai fratelli e dalle sorelle di fede cristiana. Spero che qualcuno vi aiuti a intendere le mie parole.

C’è che vi considera soprattutto un problema e un peso e chi, al contrario, una risorsa perfino indispensabile per la nostra società. Cerco di capire il lato migliore di ogni punto di vista, ma anzitutto mi preme dirvi il mio pensiero: io vedo in voi delle persone umane come me, che in più portano impressa sul volto «la dignità del povero» e che, in ogni modo, sono un segno eloquente e doloroso degli squilibri, della miseria e dell’ingiustizia che gravano sulla maggior parte dell’umanità.

Non dimentico, certo, i non pochi pratesi alle prese col disagio economico, con la malattia e con altre sofferenze: nonostante i miei limiti, ai pratesi penso tutti i giorni. Ma ora, alla vigilia di incontrare di nuovo la povera gente della regione di Esmeraldas aiutata ed evangelizzata dai nostri missionari, penso in particolare alle migliaia di immigrati, i quali non sono arrivati qui (nella stragrande maggioranza) per fare i turisti o i delinquenti ma per cercare un po’ di benessere. In anni non troppo lontani vissero, in sostanza, la stessa vicenda moltitudini di italiani migranti nel nord-Europa, in Australia e nelle Americhe.

La Chiesa pratese vi conosce, vi sta vicino, si è organizzata da tempo per darvi una mano. Dandovi una mano con totale disinteresse, desidera al tempo stesso darvi testimonianza del Signore Gesù, Salvatore di tutti. Ma, siate credenti o no, vi starà ancora vicino, in vari modi. Le leggi possono cambiare. Non verrà meno invece, siatene certi, la nostra solidarietà cristiana. Cercheremo di conciliare – con la lealtà civica che il Vangelo ci insegna – l’osservanza delle leggi civili, la loro interpretazione più «umana» possibile e il dovere di «farci prossimi» di chiunque si trovi in difficoltà.

Naturalmente riconosciamo allo Stato e ai poteri locali il diritto-dovere di legiferare e di amministrare per fini di bene comune e di regolare, perciò, anche un fenomeno così grande e complesso come l’immigrazione; ma, da cittadini responsabili e liberi, non verremo meno al diritto-dovere sia di aiutare i più bisognosi, sia di collaborare a loro favore con le Istituzioni, sia di valutare – e contribuire a migliorare o a cambiare – anche le leggi e le disposizioni amministrative sugli immigrati, alla luce della giustizia, della solidarietà e del rispetto assoluto della dignità di ogni persona. Mai, in ogni modo, potremo considerarvi e trattarvi soltanto e principalmente come una forza-lavoro che fa comodo alle nostre aziende e famiglie, o gente da «bollare» come probabili furfanti. Siete anzitutto persone umane, in grandissima parte bisognose, e titolari – come noi – di diritti e doveri.

Al tempo stesso non verremo meno al compito di aiutarvi a vivere nella legalità, a integrarvi il più possibile tra noi e a rispettare la vita, la cultura e gli ordinamenti della nostra società insieme alla fede cristiana qui radicata da secoli e secoli. Su alcune cose dobbiamo essere estremamente chiari; su queste, ad esempio. Offendono anzitutto l’onore degli immigrati, e non possono avere comprensione e tolleranza, non solo coloro che vanno a rubare, ma anche coloro che vogliono costruire la propria fortuna sfruttando il bisogno e il lavoro altrui e soprattutto il lavoro minorile. Non si possono far soldi sottoponendo il prossimo a condizioni lavorative, abitative e igieniche incivili. È grave che certi italiani si approfittino di voi, ma è ancora più grave che degli immigrati tiranneggino altri immigrati. E questo accade. Né si può tollerare chi dà vita o partecipa all’immonda ed iniqua organizzazione schiavistica che induce tante ragazze a prostituirsi, anche se purtroppo essa è favorita da gente di casa nostra disposta a pagare il corpo di una donna sfruttata.

Ma la maggior parte di voi non ha nulla a che fare con i delinquenti e gli sfruttatori. Tenetevi lontano da loro. E speriamo che la crisi del lavoro a Prato non aumenti le difficoltà e il rischio delle tensioni. Sarebbe una doppia disgrazia. La Chiesa pratese vuole essere un segno e uno strumento di solidarietà, di non violenza e di speranza.+ Gastone Simoni, Vescovo