Vescovi Toscani
Ingiustizie sociali e biotecnologie, un invito alla ragione
Avendo ancora in mente il brano evangelico di Luca sul ricco epulone e sul povero Lazzaro, proclamato nella Messa di domenica scorsa, torniamo a denunciare anche noi, con Giovanni Paolo II, l’immensa tragedia dei milioni e milioni di poveri e di oppressi nel mondo e, insieme, il sostanziale disimpegno o l’impegno insufficiente delle nazioni più ricche al fine di eliminarla o almeno diminuirla. A questa tragedia si aggiungono il terrorismo internazionale e le tante guerre scatenate, in realtà, sotto la spinta di enormi interessi finanziari perseguiti con ogni mezzo e spesso farisaicamente mascherati da nobili parole. Incoraggiamo ancora una volta quanti, nei vari ambiti ecclesiali e civili, in linea con la dottrina sociale della Chiesa, si fanno carico di contribuire alla soluzione dei problemi della pace, dello sviluppo «equo e solidale» dei popoli e di un diritto internazionale che, insieme alle istituzioni che lo garantiscono, sia più forte della forza economica e militare.
Ma non possiamo fermarci a questi problemi. La diffusa mentalità e prassi individualistica, soggettivistica e materialistica, favorita dallo stretto rapporto tra interessi economici e mass media, nonché la crisi non solo della fede ma della stessa ragione, per cui non si riconosce la sua capacità di cogliere tutte le dimensioni e gli stadi di vita della persona umana, ci spingono a intervenire su problemi inerenti alle biotecnologie e alle normative legali in merito. È d’obbligo, al riguardo, il riferimento alla campagna referendaria circa la legge sulla procreazione assistita, una campagna in cui, tra l’altro, son risuonate le solite trombe anticlericali, piene di note false. Noi affermiamo quanto segue: facciano le leggi, anche su queste materie, ci auguriamo con sapienza, coloro che ne hanno il compito istituzionale, e progrediscano come vivamente auspichiamo le conoscenze scientifiche, che sono un grande dono di Dio, e le loro applicazioni benefiche; ma si tenga conto che un embrione derivante da esseri umani è un essere umano «in embrione» e dunque non una «cosa» manipolabile e usabile a piacimento o anche per fini in sé legittimi e buoni. Il fine non giustifica i mezzi. Questa verità verità di ragione e non solo di fede deve essere un faro acceso per ogni ricerca, per ogni sperimentazione, per ogni legislazione. Anche su queste frontiere così nuove, che certamente conoscono difficoltà e complessità, anzi proprio su di esse in modo speciale, bisogna resistere a una deriva tutto sommato antiumanistica del mondo d’oggi.