Vescovi Toscani

Card. Antonelli: «La parrocchia comunità eucaristica per il mondo»

Il testo integrale della Lettera pastorale dell’Arcivescovo di Firenze, card. Ennio Antonelli, dal titolo: «La parrocchia comunità eucaristica per il mondo» (4 agosto 2005).

LA PARROCCHIACOMUNITÀ EUCARISTICAPER IL MONDOAi Presbiteri, Diaconi, Religiosi e Cristiani Laici della Chiesa Fiorentina1. Carissimi fratelli e sorelle,il Signore, che ci ha chiamati a far parte della sua Chiesa, rafforzi in tutti noi la fede, la speranza e la carità, faccia fiorire la gioia e l’azione di grazie nei nostri cuori, ci faccia crescere come autentica comunità eucaristica. L’intercessione materna di Maria ci ottenga di diventare sempre più credibili nel nostro vivere come corpo ecclesiale di Cristo in virtù del suo corpo eucaristico. CAP. I – L’ITINERARIO BIENNALE DIOCESANO2. «Stringendovi a Cristo, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio, anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo […] Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce» (1Pt 2,4-6.9). Essere Chiesa è essere comunità sacerdotale, regale e profetica in comunione con Gesù Cristo, crocifisso e risorto, per glorificare insieme con lui Dio Padre e cooperare con lui alla salvezza del mondo, animati dalla grazia dello Spirito Santo.

La vita ecclesiale trova un’espressione particolarmente concreta e rilevante nella parrocchia che si edifica intorno alla celebrazione eucaristica domenicale. Per questo a La parrocchia comunità eucaristica per il mondo stiamo dedicando il biennio pastorale in corso, consapevoli di muoverci sulla scia del Sinodo diocesano che nel documento conclusivo del 1992 indicava come obiettivo ultimo «l’edificazione della comunità eucaristica in cui tutti i battezzati sono soggetti consapevoli e attivi» (n. 119).

3. Quest’anno si è svolto il cammino di discernimento e di proposta attraverso la consultazione dei consigli pastorali parrocchiali, dei consigli pastorali di vicariato, del Consiglio pastorale diocesano e dell’Assemblea diocesana. E’ stata un’esperienza di sinodalità, importante di per se stessa, sebbene procedure, tempi e strumenti siano apparsi bisognosi di una più accurata messa a punto. E’ stata anche un’esperienza fruttuosa di suggerimenti: forse un po’ troppo numerosi, ma sicuramente validi. In questa lettera, pur non potendo inserirli materialmente con le loro formulazioni, li accolgo nelle loro istanze principali.

La mia lettera vuole soprattutto essere un aiuto a ravvivare la consapevolezza e la gioia dell’essere Chiesa e dell’essere parrocchia. Vorrei trasmettervi un amore forte per la Chiesa, anzi una vera e propria devozione verso di essa, come l’avevano i cristiani dei primi secoli. Di conseguenza vorrei anche rafforzare il senso di appartenenza a quella speciale comunità ecclesiale che è la parrocchia.

La lettera, in vista di una fruttuosa ricezione, sia diffusa il più possibile tra i fedeli e sia fatta oggetto di riflessione comune nei consigli pastorali parrocchiali e negli incontri dei gruppi e delle aggregazioni ecclesiali. Nel frattempo il Consiglio pastorale diocesano e i consigli pastorali di vicariato lavoreranno sul documento preparatorio del prossimo Convegno nazionale di Verona, il cui tema Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo si collega per molti aspetti al nostro.

Prima della prossima assemblea diocesana, che si è pensato di trasferire all’autunno 2006 per favorire una maggiore partecipazione, ogni parrocchia è invitata a raccontare per iscritto un’esperienza ritenuta significativa in rapporto ai contenuti di questa lettera pastorale. Si potrà così mettere insieme una documentazione, da far circolare a reciproca edificazione e incoraggiamento. Inoltre alcune testimonianze verranno scelte per essere presentate in modo più diretto nell’assemblea stessa in un clima di festa e di preghiera. Per riflettere : C’è qualche suggerimento per migliorare l’itinerario del biennio pastorale e lo svolgimento dell’Assemblea Diocesana? CAP. II – VIVERE IL MISTERO DELLA CHIESA NELL’APPARTENENZA ALLA PARROCCHIA4. Oggi la secolarizzazione, il pluralismo culturale, la mobilità quotidiana e la varietà delle esperienze favoriscono la privatizzazione del rapporto con Dio e il soggettivismo religioso. E’ il singolo a decidere il suo credo, i suoi valori, le sue regole etiche. Egli non sente più l’esigenza di ricorrere a un’istituzione autorevole e normativa, pur avvertendo ancora un certo bisogno di comunità quale rimedio contro la solitudine. Occorre dunque educare, con intelligenza e pazienza, un’autentica coscienza ecclesiale.

5. La Chiesa è composta dai credenti in Gesù Cristo; quindi è fatta di uomini immersi nella storia, soggetti a limiti culturali e morali, mediocri e peccatori in gran parte. Tuttavia non è un’aggregazione semplicemente umana e sarebbe assai riduttivo e fuorviante considerarla solo dal punto di vista sociologico e storico. Secondo il Concilio Vaticano II occorre vedere la Chiesa come mistero, come visibilità dell’invisibile, grazia che si fa storia, una sola complessa realtà “visibile e spirituale” nello stesso tempo (cf. LG 8). E’ vero che è «una comunità composta di uomini»; ma questi uomini «riuniti insieme nel Cristo sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre» (GS 1).

La Chiesa trae la sua identità più vera da Gesù Cristo. E’ lui che convoca e unisce i credenti. Egli è il fondatore storico e il fondamento perenne. Una volta ha dato inizio alla Chiesa con la predicazione del Vangelo, il raduno dei primi discepoli, la missione di Pietro e degli Apostoli, l’istituzione del Battesimo e dell’Eucaristia. Ora continua, come crocifisso risorto, ad essere sempre presente e a dare il suo sostegno incessante: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Sebbene la sua azione di salvatore e di riconciliatore si estenda a tutti gli uomini (cf. Gv 12,32; Ef 1,10; Col 1,17), solo della Chiesa si dice che è il suo corpo (cf. Col 1,18), cioè la sua espressione visibile nella storia, «affinché il mondo creda» (Gv 17,21). «Comunicando il suo Spirito costituisce misticamente come suo corpo i suoi fratelli che raccoglie da tutte le genti» (LG 7).Come ognuno di noi attraverso il proprio corpo si manifesta, comunica con gli altri e opera nel mondo, così il Signore Gesù attraverso il suo corpo ecclesiale «diffonde per tutti la verità e la grazia» (LG 8). Egli parla attraverso la lettura credente della Sacra Scrittura, la professione di fede del popolo di Dio e l’insegnamento del Magistero, garantendone la costante coerenza e l’inesauribile sviluppo e fecondità. Egli santifica attraverso l’Eucaristia e i Sacramenti; dirige e vivifica attraverso «diversi doni gerarchici e carismatici» (LG 4), coessenziali e complementari tra loro; continua a compiere «guarigioni, miracoli e prodigi» (At 4,3); suscita numerosi santi eroici, correnti di spiritualità, minoranze fervorose e creative in campo ecclesiale, culturale e sociale. Il fatto stesso che gran parte dei cristiani siano peccatori e soggetti alle umane debolezze, pur essendo per molti motivo di scandalo, di per sé non annulla la credibilità oggettiva della Chiesa come corpo di Cristo; semmai fa risaltare la misericordia di Cristo che non disdegna la compagnia dei peccatori (cf. LG 8).

6. Dobbiamo avere una visione della Chiesa di tipo simbolico-sacramentale nella prospettiva della divina rivelazione e dell’umana redenzione che vengono dall’alto, per grazia. E’ Dio Padre mediante Cristo Signore nella potenza dello Spirito Santo che crea tutte le cose, fa vivere tutti gli uomini, li accompagna nel loro cammino, li illumina perché cerchino e vedano il vero, li rende capaci di amare, li attrae a sé e li santifica, li rende suoi figli e li conduce alla vita eterna. La Chiesa è posta nella storia come segno pubblico dell’iniziativa divina di salvezza nei confronti di tutti gli uomini, di quelli che si trovano dentro i suoi confini visibili e di quelli che si trovano fuori. E’ costituita corpo visibile di Cristo unico Salvatore di tutti gli uomini, perché manifesti la sua presenza e la sua azione e cooperi con lui. In essa l’ascolto e l’annuncio della Parola, la professione esplicita della fede, la celebrazione dell’Eucaristia e dei Sacramenti, la testimonianza della carità nella condivisione e nel servizio si compongono insieme per formare un segno globale e unitario, efficace malgrado i molteplici limiti umani.

In quanto membri della Chiesa tutti i cristiani hanno pari dignità: tutti sono rigenerati per vivere come figli di Dio; tutti sono consacrati per essere sacerdoti offrendo al Padre la propria vita insieme a Cristo; tutti sono chiamati ad essere servi per amore al seguito di Cristo Servo; tutti sono mandati a proporre agli altri la Parola di Dio e la propria fede prolungando la missione profetica di Cristo. Questa unità fondamentale si articola però in una grande varietà di vocazioni, carismi e ministeri particolari, che sono da considerare nell’ottica simbolico-sacramentale come espressioni parziali della presenza e dell’azione di Cristo, raggi dell’unico sole che riflettono con speciale evidenza i singoli aspetti del suo mistero inesauribile, per far crescere tutta la Chiesa come segno sempre più trasparente. I religiosi ricordano a tutti Cristo povero, casto e obbediente e muovono a imitarlo; i contemplativi ricordano a tutti Cristo immerso nell’intimità del Padre; i malati Cristo sofferente; i volontari della carità Cristo pieno di misericordia e di sollecitudine verso le necessità umane; gli annunciatori della parola di Dio Cristo Verbo incarnato e messaggero del Vangelo; gli sposi Cristo sposo della Chiesa; il Vescovo e i Presbiteri Cristo buon pastore; i diaconi Cristo servo per amore. L’esemplificazione potrebbe ovviamente continuare. Attraverso la moltitudine dei doni diversi e complementari Cristo sostiene incessantemente la vita e la missione della sua Chiesa (cf. 1Cor 12,4-6; Ef 4,11-13). Egli mantiene davvero la sua solenne promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Cristo è tra noi! Questa certezza deve darci gioia, coraggio, fiducia incrollabile al di là di tutte le difficoltà e debolezze umane, di tutti gli apparenti fallimenti.

7. Con umiltà e gratitudine, dobbiamo accogliere la Chiesa come opera e dono di Cristo, imparare a riconoscerla come suo corpo e sua espressione visibile, nonostante le deficienze di molti suoi membri. Amarla per amore di Cristo presente in lei; amarla così come è. Anzi venerarla con profonda devozione, ricordando il detto di Sant’Agostino «Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa» (In Ev. Jo. 32,8).

Dobbiamo poi partecipare tutti, con grande senso di responsabilità, alla edificazione della Chiesa. Essa è opera di Cristo, ma con la nostra cooperazione. E’ la sua espressione visibile, ma noi contribuiamo a renderla più trasparente o più opaca. Nella misura in cui viviamo «la fede operante per mezzo della carità» (Gal 5,6), nella misura in cui viviamo il comandamento nuovo dell’amore reciproco «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34), noi consentiamo al Signore di rendersi in qualche modo riconoscibile.

8.Il nostro amore e il nostro impegno per la Chiesa corpo di Cristo comincia dalla parrocchia, che è la comunità ecclesiale più vicina alla gente, dove la comunione in Cristo «trova la sua espressione più immediata e visibile» (GIOVANNI PAOLO II, Christifideles Laici 26). Corpo di Cristo non è solo la Chiesa universale, ma anche ogni singola comunità ecclesiale, come quella di Corinto, alla quale l’apostolo Paolo scrive: «Voi siete corpo di Cristo» (1Cor 12,27). Anzi una piccola comunità a dimensione umana permette di vivere l’amore reciproco in modo più intenso e concreto e quindi di dare maggiore visibilità alla presenza di Cristo.

La parrocchia è una figura di Chiesa emersa gradualmente allo scopo di portare il cristianesimo nella vita ordinaria della gente comune, dove si trovano insieme e interagiscono tra loro famiglie, uomini e donne, giovani e adulti, sani e malati, dotti e ignoranti, ricchi e poveri, santi e peccatori, praticanti e non praticanti. Essa consente, pur con tanti limiti, di comunicare la fede da persona a persona e di dare un’impronta evangelica alle relazioni interpersonali e all’ambiente culturale e sociale. Non si tratta di un decentramento burocratico della diocesi; ma di una vera comunità ecclesiale, con una dimensione sociologica e una dimensione spirituale; di una comunità segno della presenza di Cristo, che mediante il suo stesso inserimento nel territorio addita la trascendenza, un po’ come fa il suo campanile puntato verso il cielo.

9. Per edificare la parrocchia come comunità-segno non occorre in primo luogo moltiplicare le attività, ma curare la spiritualità, la mentalità, gli atteggiamenti, le relazioni fraterne. Fare bene le cose ordinarie, arricchendole di nuovi significati, cercando di educare una coscienza ecclesiale e un forte senso di appartenenza. Costruire momenti di incontro e di ascolto reciproco, di dialogo e di collaborazione, individuando comuni interessi. Il parroco sappia muoversi nella coralità delle diverse presenze ed eserciti la sua autorità di pastore a servizio dei fedeli, perché tutti si sentano responsabili della vita e della missione della Chiesa, tutti sappiano di essere in unione a Cristo sacerdoti per lodare e ringraziare il Padre, tutti salvati e tutti cooperatori alla salvezza degli altri, tutti evangelizzati e tutti evangelizzatori.

Oltre questa ministerialità diffusa e a sostegno di essa, si promuovano anche alcuni ministeri ecclesiali specifici (ad esempio, catechisti, ministri dell’Eucaristia, gruppo liturgico, Caritas, gruppo missionario, operatori della pastorale familiare, visitatori delle famiglie, operatori culturali), curando la loro formazione spirituale e pastorale. Si favoriscano gruppi di studio e di ascolto orante della Parola di Dio con la condivisione delle esperienze, ricordando che Giovanni Paolo II stesso ha auspicato lo svilupparsi di «comunità e gruppi ecclesiali di dimensioni tali da permettere vere relazioni umane» nella prospettiva della parrocchia intesa come «comunità di comunità» (Ecclesia in America 41). Si coinvolgano il più possibile le famiglie nell’itinerario di iniziazione cristiana dei figli. A riguardo ricordo che con l’autorizzazione del Vescovo è possibile sperimentare, in qualche parrocchia che lo desiderasse, il ritorno alla successione, teologicamente più corretta, Battesimo – Cresima – Eucaristia, conferendo gli ultimi due sacramenti verso i dieci anni e continuando poi la formazione catechistica come mistagogia per l’accoglienza vitale del dono di Dio fino all’età di circa sedici anni, quando dovrebbe celebrarsi una solenne festa della professione di fede, come risposta pubblica di adesione a Cristo e alla Chiesa.

Le parrocchie sono molto diverse tra loro: alcune sono molto integrate in senso comunitario; altre sono ancorate a una pastorale tradizionale prevalentemente di culto; alcune sono grandi e complesse; altre sono piccole ed elementari. Tutte però possono in qualche modo rivelare il volto e la presenza di Cristo. Ognuna deve essere amata come la propria famiglia ecclesiale, nella convinzione che è impossibile vivere la fede cristiana in modo individuale e anonimo. Amare la propria parrocchia così come è, malgrado i suoi difetti; rivolgersi ad essa con uno sguardo di misericordia, come fa il Signore stesso. L’immagine ideale della comunità parrocchiale, che si ha nella mente e nel cuore, non deve indurre alla critica corrosiva e allo scoraggiamento, ma all’impegno fiducioso e paziente. Anche le attività e le iniziative suggerite dal vescovo e dagli uffici diocesani, pur accolte con grande senso di responsabilità e con generosa disponibilità, vanno commisurate alle forze e ai bisogni reali di ogni parrocchia. Per riflettere: Quale idea si ha della Chiesa? Quale l’atteggiamento verso di essa? Come la parrocchia può offrire oggi un’esperienza di Chiesa significativa e coinvolgente? E’ possibile promuovere una corretta informazione sulla vita attuale della Chiesa e far conoscere la sua storia più vera che è quella dei santi? CAP. III – L’EUCARISTIA AL CENTRO10. La società del profitto e del consumo, del lavoro e del divertimento sta perdendo il senso della domenica come festa comunitaria. Mira piuttosto al tempo libero individuale, o al più familiare, per il quale va bene qualsiasi giorno della settimana. Incentiva l’interesse per il turismo, lo sport, lo svago; deprime il valore delle relazioni familiari e amicali e soprattutto della spiritualità.

La sensibilità religiosa di oggi si concentra sugli eventi straordinari intensamente emotivi e sui riti di passaggio che scandiscono le grandi tappe della vita. Invece avverte scarsamente l’importanza della frequenza regolare alla messa domenicale. Si considerano cattolici praticanti anche coloro che in realtà frequentano solo saltuariamente. Ciò sta a indicare che non si percepisce più la centralità dell’Eucaristia nella vita personale e comunitaria.

Viene dunque a proposito il forte ammonimento di Giovanni Paolo II: «Non è possibile che si formi una comunità cristiana se non avendo come radice e come cardine la celebrazione della santa Eucaristia» (Ecclesia de Eucharistia 33). Strettissima infatti è la relazione tra il corpo ecclesiale e il corpo eucaristico di Cristo.

11. Insegna il Concilio Vaticano II: «La Chiesa in quanto corpo del Verbo incarnato si nutre e vive della Parola di Dio e del Pane eucaristico» (AG 6). E’ la persuasione e l’esperienza di sempre. Sant’Agostino affermò ripetutamente che il nostro cibo quotidiano è la Parola di Dio e soprattutto l’Eucaristia (cf. Disc. 56,10; 57,7; 58,4). Ambedue, Parola ed Eucaristia, vengono ricevuti mediante la fede ed entrano nella mente e nel cuore; ambedue sono cibo che «si assume senza che si consumi», «sazia gli affamati e rimane integro», «intero per tutti e intero per ognuno» (Disc. 28,2,4; 132A; Ep. 137,2,7): «Tutto intero lo riceve uno; tutto intero lo ricevono due, tutto intero lo ricevono molti, senza alcuna diminuzione» (Ps.Eusebio Gallicano). Parola ed Eucaristia sono due momenti dell’autocomunicazione che Cristo fa di se stesso mediante lo Spirito Santo. Lo suggerisce il Vangelo stesso, dove accogliere Gesù come pane della vita disceso dal cielo significa sia credere in lui sia mangiare la sua carne e bere il suo sangue (cf. Gv 6,26-58). Un’autentica spiritualità cristiana non può che essere biblica ed eucaristica nello stesso tempo. Non per niente la Messa consta di due parti, liturgia della Parola e liturgia Eucaristica, ordinate fra loro in modo che la mensa della parola disponga alla mensa del Corpo e del Sangue, vertice della celebrazione.

12. L’Eucaristia è il cuore pulsante di tutta la vita cristiana. La recente enciclica di Giovanni Paolo II lo afferma con forza già subito, in apertura: «La Chiesa vive dell’Eucaristia […] Dal mistero pasquale nasce la Chiesa. Proprio per questo l’Eucaristia che del mistero pasquale è il sacramento per eccellenza, si pone al centro della vita ecclesiale» (Ecclesia de Eucharistia 1.3).

Il Signore crocifisso e risorto nel segno del pane dato a mangiare ripresenta il suo corpo offerto in sacrificio per la salvezza del mondo e nel segno del vino dato a bere ripresenta il suo sangue versato per la nuova alleanza. L’Eucaristia è memoriale, cioè ripresentazione oggettiva, dell’unico sacrificio della croce, di quell’atto supremo di amore verso il Padre e verso gli uomini, con cui Gesù si è consegnato alla morte, è risorto e vive per sempre «reso perfetto e causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,9). E’ massima presenza di Cristo con la più grande comunicazione dello Spirito Santo, per attuare la nostra perfetta comunione con lui e tra noi in lui, per farci condividere sempre più il suo sacrificio di lode e di obbedienza al Padre e il suo amore salvifico per tutti gli uomini. «A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo, perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito. Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito» (MESSALE ROMANO, Preghiera Eucaristica III).

L’Eucaristia perfeziona l’inserimento dei credenti in Cristo iniziato già con il Battesimo, la Cresima, la fede e la conversione. «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,17). Il corpo eucaristico del Signore fa vivere e fa crescere il suo corpo ecclesiale, come una sua irradiazione e un suo prolungamento. Nella celebrazione liturgica si rivela e si attua nel modo più intenso e concreto il mistero della Chiesa corpo di Cristo, partecipe della sua vita e della sua missione, del suo sacrificio e della sua intercessione a favore del mondo intero.

13. Si comprende allora come ogni comunità ecclesiale, in primo luogo la parrocchia, tragga il suo significato e la sua vitalità dalla Santa Messa. «La parrocchia è fondata su una realtà teologica, perché essa è una comunità eucaristica. Ciò significa che essa è una comunità idonea a celebrare l’Eucaristia, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa» (GIOVANNI PAOLO II, Christifideles Laici 26).

Il Concilio Vaticano II raccomanda che «il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione della messa domenicale» (SC 42). Ogni domenica il Signore risorto viene a radunare in assemblea i credenti, a comunicare loro il suo Spirito e a mandarli in missione, come fece con i primi discepoli nel giorno di Pasqua: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi […] Ricevete lo Spirito Santo» (Gv 20,21-22). La domenica è la pasqua settimanale, il giorno del Signore risorto; il giorno della Chiesa, della Parola e dell’Eucaristia; la festa dell’incontro e della comunione, della speranza, della risurrezione e della vita, anticipo sulla terra della liturgia celeste; la festa che dà significato e valore anche ai giorni feriali con tutte le loro attività e relazioni. La messa domenicale deve perciò essere vissuta come un meraviglioso dono più che come un gravoso dovere.

14. La comunione con il Signore crocifisso e risorto e la comunione con i fratelli sono tra loro inscindibili (cf. 1Cor 11,17-22.33-34). E’ da evitare l’approccio intimistico e individualista, come ricordava a Bari Benedetto XVI nella sua omelia: «Non possiamo comunicare con il Signore se non comunichiamo tra noi». E’ da evitare d’altra parte l’approccio sociologico, quasi si trattasse di un incontro conviviale qualsiasi, di un’esperienza aggregativa socializzante aperta indistintamente a tutti. Il corpo eucaristico del Signore viene degnamente ricevuto solo da chi accetta di essere membro vivo del suo corpo ecclesiale, in unità spirituale e visibile.

La necessità di fare esperienza concreta della Chiesa come corpo di Cristo è anche, secondo un autorevole documento del III secolo, il motivo fondamentale per partecipare alla celebrazione festiva: «Siete membra di Cristo, perciò non disperdetevi con la vostra assenza dall’assemblea liturgica. Avete Cristo, il vostro Capo, presente per fare comunione con voi: perciò non siate trascurati, non private il Salvatore delle sue membra, non lacerate e non dividete il suo corpo. Non anteponete alla sua convocazione i bisogni della vostra vita temporale; ma, in giorno di domenica, mettete da parte ogni cosa e affrettatevi alla Chiesa» (Didascalia degli Apostoli 13). Appello quanto mai attuale oggi!

Partecipare fedelmente all’Eucaristia domenicale, anche con sacrificio. «Chi ha poco da fare» – diceva San Francesco di Sales – «deve comunicarsi assiduamente perché ne ha la comodità; chi ha molto da fare, deve anche lui comunicarsi assiduamente perché ne ha la necessità». Partecipare ben disposti: a riguardo raccomando la frequentazione assidua del sacramento della riconciliazione, che i sacerdoti devono favorire, ridimensionando, se necessario, il tempo dato ad altre attività. Partecipare in modo attivo e consapevole: nessuno deve assistere come uno spettatore; tutti devono sentirsi soggetti impegnati nella celebrazione; i gesti comuni (stare in piedi, seduti, in ginocchio, ascoltare, rispondere, cantare, fare silenzio ecc.) siano veramente tali. Partecipare con il cuore vibrante di amore, di gioia, di lode e di gratitudine, aperto alla intercessione, in unità con Cristo, per le necessità spirituali e materiali di tutta la famiglia umana (cf. 1Tm 2,1-6).

La celebrazione si svolga secondo verità e bellezza, in modo da evocare il mistero, da coinvolgere intensamente, da incidere negli atteggiamenti e nelle scelte di vita. I simboli siano intelligibili e i riti parlino da soli, senza bisogno di troppe didascalie. Le norme siano rispettate e gli elementi di creatività siano inseriti negli spazi previsti. Si mantenga il giusto equilibrio tra liturgia della parola e liturgia eucaristica, tra parola, canto e silenzio.

Si curi la formazione di un gruppo liturgico per la preparazione e l’animazione della celebrazione. Si valutino attentamente il numero, l’orario, la distribuzione delle Messe. Si tenga con regolarità e a tempo opportuno anche l’adorazione eucaristica, che può costituire un’ottima scuola ed esperienza di preghiera con la combinazione di momenti di ascolto, meditazione, silenzio, canto e invocazione, oppure con la celebrazione dei Vespri o con la recita del Rosario.

15. Proprio perché è il giorno del Signore, la domenica è anche il giorno dell’uomo. Ci libera dal vuoto e dall’assurdo, dalla solitudine e dalla povertà delle relazioni, dalla frenesia del produrre e del consumare. Offre l’opportunità di vivere più intensamente i valori della famiglia, dell’amicizia, della condivisione, della contemplazione, del contatto con la natura, della fruizione artistica.

Occorre risvegliare nelle persone il gusto di stare insieme. Secondo le possibilità, si creino per le famiglie occasioni e iniziative frequenti di aggregazione significativa e gioiosa, alternativa alle proposte del consumismo imperante.

Per riflettere: C’è ancora il senso cristiano della domenica? Quali sono a riguardo i comportamenti più diffusi? Qual è la partecipazione alla Messa festiva? In che misura influisce sulla vita quotidiana dei credenti e sull’appartenenza alla comunità parrocchiale? In che misura alimenta la coscienza di essere responsabili del mondo intero nell’intercessione presso Dio e nella testimonianza operosa?

CAP. IV – DALLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA ALLA PASTORALE DI EVANGELIZZAZIONE16. L’Eucaristia non è fine a se stessa: il corpo eucaristico del Signore mira a far vivere e crescere il suo corpo ecclesiale per la salvezza del mondo. L’offerta senza misura di amore e di grazia da parte di Cristo deve essere effettivamente accolta mediante la nostra libera cooperazione. La celebrazione eucaristica ha il suo prolungamento nel vissuto comunitario e personale dei cristiani. Non per niente il Sacerdote è chiamato a impersonare Cristo sia nella celebrazione che nella guida della comunità. E tutta l’assemblea è chiamata a portare l’amore di Cristo nelle relazioni e nelle attività di ogni giorno. La qualità del vissuto quotidiano costituisce una verifica dell’autenticità della celebrazione liturgica. L’apostolo Paolo rimproverava severamente i cristiani di Corinto perché pretendevano di celebrare la cena del Signore senza tener conto delle esigenze della carità nel condividere il cibo materiale. Una celebrazione avulsa dall’amore fraterno non è autentica; «non è più un mangiare la cena del Signore» (1Cor 11,20).

Fare davvero comunione con Cristo nell’Eucaristia significa fare proprio il suo amore salvifico per tutti gli uomini e per tutte le realtà umane e diventare sempre più il suo corpo ecclesiale, che si offre con lui per portare le necessità del mondo davanti a Dio e l’amore di Dio nel mondo. Di qui nascono la preghiera di intercessione universale, il servizio generoso alle persone e alla società, la passione e l’urgenza dell’evangelizzazione e della promozione umana, l’apertura all’accoglienza, al dialogo e alla collaborazione, per sollecitare tutti, per quanto è possibile, verso traguardi di riconciliazione e di unità.

17. La parrocchia è chiamata ad offrire spazi di accoglienza a tutti: praticanti e non praticanti, famiglie regolari e convivenze irregolari, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. Ovviamente tali spazi dovranno essere differenziati secondo le diverse condizioni, specialmente per quanto riguarda la comunione eucaristica, alla quale può essere ammesso solo chi si trova in piena comunione spirituale e visibile con la Chiesa. Bisogna comunque sviluppare una pastorale di convocazione, che sappia creare occasioni di incontro, di dialogo, di formazione per tutti. La parrocchia sia casa di significativi rapporti umani per ragazzi, giovani, famiglie, anziani.

A riguardo può essere preziosa la cosiddetta “sala della comunità”, quasi un complemento dell’aula liturgica, con un programma culturale annuale: musica per giovani, teatro, cineforum, conferenze e dibattiti su temi di rilevanza etica e sociale, conoscenza del cristianesimo e delle altre religioni, valorizzazione del patrimonio artistico ecc.

18. La tensione per l’evangelizzazione e la promozione umana deve portare a intensificare i rapporti con le famiglie, che costituiscono il primo e naturale interlocutore della parrocchia, e a fare una lettura attenta e costante del territorio con i bisogni, le risorse, le difficoltà, le opportunità, le prospettive per il futuro. Chiedo di promuovere o sviluppare la caritas parrocchiale, come organismo pastorale per educare le persone all’impegno caritativo, per motivare evangelicamente e coordinare le forme di volontariato eventualmente già esistenti, per tenere desta l’attenzione ai malati e alle varie povertà, antiche e nuove. Invito a introdurre, su base possibilmente comunale, il laboratorio di impegno socio-culturale, come luogo di riflessione, di confronto e di proposta, in sintonia con la dottrina della Chiesa, sui problemi sociali più rilevanti (ad es. la casa, il lavoro, i servizi pubblici ecc.) e come comitato di solidarietà per situazioni di emergenza.

19. L’impegno di evangelizzazione e di solidarietà deve poi aprirsi a un orizzonte universale. Ogni parrocchia deve essere consapevole della sua responsabilità per la salvezza di tutti gli uomini. Deve allargare il cuore alle dimensioni dell’amore di Cristo sia nella preghiera sia nell’azione pastorale: forme di preghiera per l’evangelizzazione dei popoli e la pace nel mondo, gruppo missionario, gemellaggio con qualche missione cattolica, visite reciproche, informazione missionaria, aiuto economico, servizi in campo ecclesiale e sociale.

20. La forte diminuzione di vocazioni al Presbiterato e alla vita consacrata ci costringe a ripensare seriamente la presenza della Chiesa sul territorio e l’animazione pastorale. Ho chiesto ai Vicari Foranei di guidare una riflessione del clero e del consiglio pastorale vicariale per cominciare a delineare e preparare l’organizzazione futura in ogni vicariato. Quello che appare fin d’ora necessario è che accanto ai sacerdoti deve emergere una varietà di figure ministeriali con responsabilità ben definite e un’adeguata preparazione spirituale, teologica e pastorale: i diaconi innanzitutto, ma anche altri ministeri ecclesiali non ordinati. Altra linea da seguire è quella della integrazione pastorale tra parrocchie vicine, tra parrocchie e comunità religiose, tra parrocchie e aggregazioni ecclesiali.

Per la vitalità presente e futura delle nostre comunità cristiane raccomando ai Sacerdoti e ai Consigli Pastorali un atteggiamento di attenzione e di apertura: riconoscere prontamente i doni del Signore, valorizzare pienamente le energie disponibili, incoraggiare presenze e attività significative nei diversi ambiti ecclesiali, familiari, sociali. E’ appena il caso di evocare questi ambiti con un elenco che vuol essere solo esemplificativo: apostolato personale, primo annuncio, catechesi; preghiera nelle famiglie, nei gruppi, nell’assemblea liturgica; gesti spontanei, iniziative occasionali e attività organizzate di carità; cooperazione missionaria tra le chiese; contatti e incontri con le famiglie; rapporti con la scuola e sostegno all’insegnamento della religione cattolica; testimonianza nei luoghi di lavoro; cura degli anziani e dei malati; educazione dei ragazzi e dei giovani; formazione e impegno culturale, sociale e politico; sport e tempo libero. La vigna del Signore è davvero grande: c’è posto per tutti e a tutte le ore (cf. Mt 20,1-16).

Promuovere la coscienza missionaria dei fedeli, lo spirito di servizio e la ministerialità diffusa è oggi obiettivo prioritario della pastorale.

Per riflettere : Come incrementare la pastorale di evangelizzazione in parrocchia? Quale esperienza concreta può essere segnalata e fatta conoscere a livello diocesano in occasione della prossima assemblea?

CAP. V – SACERDOTI E TESTIMONI NEL QUOTIDIANO21. Al di là delle attività pastorali parrocchiali, il fondamentale e decisivo contributo che tutti i fedeli possono dare alla vita e alla missione della loro comunità cristiana è la qualità del loro vissuto quotidiano in cui possono esercitare in modo incessante la loro partecipazione all’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo. La comunione con Gesù nell’Eucaristia, se è sincera e intensa, alimenta il culto spirituale continuo, la missione permanente e l’impegno di ordinare le realtà terrene secondo Dio. La memoria di Cristo celebrata genera la memoria vissuta nella fraternità e nel servizio.

Purtroppo sono da lamentare, anche nei praticanti, il distacco e l’incoerenza tra la celebrazione domenicale e il comportamento feriale durante la settimana. Per conferire alla vita ordinaria una valenza sacerdotale, profetica e regale in senso cristiano, non occorre tanto aggiungere ad essa qualche attività speciale, quanto piuttosto fare le cose in sintonia con Cristo secondo la volontà di Dio, come ci esorta l’apostolo Paolo: «Vi esorto […] ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rm 12,1-2). Andare controcorrente, cambiare modo di pensare e di agire, testimoniare e professare la fede: questo richiedeva allora molto coraggio e lo richiede anche oggi in molti ambienti, dove i cristiani sono una minoranza. Forte è la tentazione di adeguarsi alla cultura dominante e alla prassi diffusa.

I cristiani adulti nella fede esercitano il sacerdozio battesimale, quando accolgono le persone, le cose, gli avvenimenti, le situazioni come possibilità di bene e come dono di Dio da cui si sanno infinitamente amati e quindi ne traggono motivo di lode, di ringraziamento e di obbedienza. Le relazioni e le attività, la preghiera e l’apostolato, il lavoro e il tempo libero, le gioie e le sofferenze, la famiglia e gli amici, la scuola e la cultura, la solidarietà e l’impegno sociale e politico entrano nell’offerta di se stessi al Padre, che si unisce a quella fatta da Cristo crocifisso e risorto e ripresentata nell’Eucaristia. Così «il sacrificio di Cristo diviene pure il sacrificio delle membra del suo Corpo» (CCC, Compendio 281).

22. Mentre offrono a Dio il culto spirituale, i cristiani compiono anche la missione profetica e regale nel mondo, mossi dall’amore salvifico universale di Cristo ad un servizio serio e perseverante di evangelizzazione e di promozione umana. In questa prospettiva l’esortazione dell’apostolo Paolo, già menzionata, prosegue: «Siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo pertanto doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi […] La carità non abbia finzioni […] amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda. Non siate pigri nello zelo […] Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione […] Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti […] Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rm 12,5-6.9-12.17-18.21).

In una società competitiva, divisa e individualista come la nostra, l’amore reciproco e verso tutti, compresi i nemici, deve portare la bellezza dell’unità e la forza della riconciliazione. Nella nostra civiltà dell’effimero, senza memoria e senza speranza, la gioia duratura e il coraggio nella tribolazione devono attestare che la vita ha una meta di felicità eterna e quindi una direzione, un valore e che la sofferenza, l’ingiustizia, la solitudine e la morte non sono definitive. Nel diffuso degrado morale e sociale, l’impegno assiduo per ordinare le attività e le istituzioni a servizio della persona deve porre i segni di un’umanità nuova e di un mondo nuovo. Questi atteggiamenti concretamente vissuti uniti alla professione anche verbale della fede cristiana, cordiale e rispettosa verso gli altri ma esplicita e senza inibizioni, introducono e rendono riconoscibile la presenza di Cristo in tutti gli ambienti. Per riflettere: I cristiani sono consapevoli della loro vocazione sacerdotale, profetica e regale fondata sul battesimo? Quali opportunità si offrono per ravvivare tale consapevolezza? C’è una testimonianza personale o familiare o comunitaria che si ritiene opportuno far conoscere? CONCLUSIONE23. Il corpo eucaristico del Signore, che nel sacramento rimane nascosto, ha bisogno del corpo ecclesiale per manifestarsi ed essere credibile.

Scrivono i Vescovi Italiani nel recente documento sulla parrocchia: «La missionarietà deriva dallo sguardo rivolto al centro della fede, cioè all’evento di Gesù Cristo, il Salvatore di tutti, e abbraccia l’intera esistenza cristiana. Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e riconoscibile Cristo Signore» (Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia 1). Come ulteriore e incisiva sottolineatura voglio solo aggiungere un testo, molto noto e bello del sec. XV.

Cristo non ha mani, ha soltanto le nostre mani, per fare oggi le sue opere. Cristo non ha piedi, ha soltanto i nostri piedi per andare oggi agli uomini. Cristo non ha voce, ha soltanto la nostra voce, per parlare oggi di sé. Cristo non ha più Vangelo, che gli uomini leggano ancora, ma ciò che noi facciamo, in parole ed opere è il Vangelo che si sta scrivendo. Ennio Card. AntonelliArcivescovo di FirenzeFirenze, 4 agosto 2005Memoria liturgica di San Giovanni Maria Vianney,patrono dei parrociIn copertina:JACOPO PONTORMO – Cena di Emmaus– Firenze, Galleria degli UffiziTela dipinta per il refettorio degli ospiti nella Certosa del Galluzzo. Gesù, seduto a mensa al centro della comunità monastica nell’atto di benedire il pane dell’Eucaristia e dell’ospitalità, si rivela improvvisamente ai due discepoli viaggiatori del racconto evangelico: quello di sinistra, tutto intento a versare il vino in un bicchiere, non si accorge ancora; invece quello di destra rimane sorpreso e per lo stupore interrompe il gesto già iniziato di tagliare col coltello una pagnotta di pane. Gli ospiti del monastero e noi con loro siamo invitati a identificarci con i due discepoli di Emmaus e a riconoscere la presenza del Signore sia nell’Eucaristia sia nella comunità fraterna e accogliente.Il mistero di questa duplice presenza viene evocato con un linguaggio pittorico che è mirabile sintesi di realismo e di stilizzazione astratta. Sono elementi concreti e familiari i rustici sgabelli a tre piedi, i due gatti e il cagnolino, la bottiglia e i tre bicchieri di vetro, la caraffa, il piatto e i tre coltelli di metallo, le due pagnotte di pane in evidenza sulla candida tovaglia, i piedi nudi dei due discepoli e i volti dei frati ritratti dal vero. Eppure la rappresentazione ha il carattere di una visione soprannaturale ed è pervasa da un’aria di mistero. I colori rosso, giallo, verde, bianco e azzurro delle vesti sono intensi, accesi, fiammeggianti su uno sfondo buio fitto. Ovale sembra la forma della tavola; mezzo ovale la figura di Cristo che si eleva al di sopra di essa; mezzo ovale lo schema secondo cui si dispongono le altre figure intorno ad essa. Tutti i personaggi sono allungati verso l’alto e concentrati in se stessi. Una strana inquietudine si trasmette perfino ai tre animali che nell’ombra ci fissano con i loro occhi fosforescenti. La stessa natura morta, sebbene si tratti di oggetti consueti, assume un risalto nitido e prezioso con il vetro di pura luce cristallina e il metallo dai riflessi d’argento. Ogni cosa sembra avvertire e testimoniare la presenza divina.Il priore del monastero volge lo sguardo verso gli ospiti del refettorio e verso di noi spettatori e alza la mano per indicare il Signore Gesù, presente nel pane eucaristico e in mezzo alla comunità monastica unita nella fraternità e aperta all’accoglienza. Il simbolo trinitario dell’occhio iscritto nel triangolo alonato di luce, aggiunto più tardi da un altro pittore alla sommità della composizione, disturba dal punto di vista visivo in quanto rompe il buio denso dell’ambiente, ma non fa che esplicitare ulteriormente il senso complessivo dell’immagine. La vita della Trinità divina si fa presente e si rivela nella storia attraverso il corpo eucaristico e il corpo ecclesiale di Cristo, attraverso ogni comunità cristiana che sia vera comunità eucaristica.