Vescovi Toscani

Betori, omelia della Messa di Natale 2009

Pubblichiamo il testo integrale dell’omelia dell’arcivescovo di Firenze, mons. Giuseppe Betori, nella Messa del giorno di Natale, celebrata nella Cattedrale di S. Maria del Fiore.

“E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. In questa affermazione posta al vertice del prologo del vangelo di Giovanni sta il significato tutto della solennità del Natale del Signore. Queste parole infatti dicono il significato del fatto inaudito avvenuto nel villaggio di Betlemme, ai margini non solo geografici dell’impero romano, circa duemila anni fa: Dio si è fatto uomo. La parola di Dio, il suo pensiero, la sua sapienza, Dio stesso cioè, è entrato in quel mondo che per mezzo di lui era stato creato ed è diventato una creatura come tutti noi, un bambino indifeso, come lo abbiamo contemplato nella notte ascoltando il racconto del vangelo di Luca, una “carne”, vale a dire un essere umano nella debolezza propria delle creature, come oggi ce lo proclama in questa liturgia del giorno l’evangelista Giovanni.

È questo fatto sconvolgente a mostrare quanto siano infondate le ricorrenti accuse circa il carattere alienante della religione, quasi che questa ci sottraesse alla nostra umanità, che ci facesse evadere dalla nostra condizione storica, deresponsabilizzandoci rispetto alla tragicità di un’esistenza gettata nel tempo e obbligata a decidersi di fronte a se stessa fuori da un orizzonte di trascendenza. La fede cristiana ci svela invece che Dio non è un fattore alienante per le nostre responsabilità, ma Colui che, al contrario, ci raggiunge compromettendosi totalmente con la condizione umana, da lui stesso assunta come la condizione nel tempo per il suo Figlio unigenito, inviato a essere il rivelatore del Padre e la manifestazione della sua grazia e della sua verità.

In questo compromettersi di Dio con gli uomini sta il senso profondo del Natale, spogliato non solo dai devianti orpelli consumistici ma anche dai mistificanti rivestimenti sentimentali che offuscano l’appello che da esso scaturisce alla verità dell’esistenza. Perché se Dio ci ha amato così tanto da non lasciarci nelle nostre tenebre e si è rivelato a noi nel volto umano del Figlio, non possiamo restare indifferenti a tale dono, né tantomeno entrare a far parte del numero di coloro che, pur essendo “suoi” per debito di creazione, “non lo hanno accolto”, rifiutando di essere generati da Dio per divenire finalmente figli. Perché – e questo non può che stupirci fino alla commozione – il Figlio unigenito di Dio si è fatto uomo perché gli uomini diventassero “figli Dio”, come afferma con apparente spregiudicatezza ma invece con fondato realismo il testo evangelico. In questa proiezione divina del destino umano sta il futuro di salvezza dell’umanità e la radice di sicura speranza per gli uomini, viandanti del tempo. All’impossibilità per l’uomo di uscire da solo dal cerchio infernale del suo limite e di dare da solo consistenza a progetti che non siano illusorie utopie beffarde oppure gabbie ideologiche disumanizzanti, l’annuncio del Natale viene a dire che se ci lasciamo illuminare da Gesù possiamo aspirare a una pienezza di umanità che va oltre ogni nostra aspirazione perché ci riconduce alla vita stessa di Dio e ce ne fa partecipi, partecipi del suo disegno sulla storia e partecipi del suo amore verso l’uomo, secondo parametri di verità e di grazia, come esplicita il testo evangelico. È il Natale che fa uscire dal non senso la vita dell’uomo perché fa scoprire che Dio per lui ha messo dato il suo stesso Figlio.

E se Dio, entrando nella nostra storia di uomini, ne fa lo scenario del suo compromettersi con noi, ne consegue che da quel momento la storia smette di essere uno scenario di azioni vuote, senza scopo, cessa di essere lo spazio delle nostre baruffe e diventa il luogo della nostra salvezza. Diventiamo così responsabili di essa e del suo orientamento alla verità di Dio e alla sua grazia. In quella quotidianità in cui è entrato il Verbo di Dio si esercita anche la nostra risposta e la nostra fedeltà, dovendo costruire nel tessuto delle relazioni umane quella “pace” che è il dono della presenza di Dio, dell’avvento del suo regno, come ha ricordato il profeta Isaia, invitandoci a “canti di gioia”, con i quali celebrare “la salvezza del nostro Dio”. La fede, lungi dall’allontanarci da questo mondo, ci chiama a una più fedele responsabilità in tutte le sue articolazioni, da quelle familiari – oggi così decisive ma troppo poco avvertite – a quelle sociali, nella vita economica e politica, senza dimenticare i livelli intermedi delle aggregazioni sociali, specialmente là dove si esprime la nostra partecipazione e il nostro volontario e gratuito servizio ai fratelli – avendo gli ultimi al centro delle nostre attenzioni –, come pure i campi sempre più delicati della cultura e della formazione. In tutti questi spazi e livelli la fedeltà alla luce del Verbo invita a ricacciare le tenebre che ci avvolgono e compromettono il volto della persona umana e il bene comune. Ci soccorre in questo l’esplicita affermazione del prologo giovanneo: “la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.

Questa certezza deve sostenere il nostro coraggio in questo tempo in cui non mancano segnali di ostilità alla verità del Vangelo, che si vorrebbe far passare come un ostacolo alla libertà dell’uomo e ai suoi progetti. Ma non dovrebbe sfuggire che non può darsi autentico esercizio della libertà fuori della verità, per cui l’accoglienza della luce di questa è il presupposto per una piena risposta alle attese dell’uomo. Se anche infatti dovessimo ritenere che la nostra felicità stia nel dare riscontro alla mutevolezza dei nostri desideri, non possiamo però nasconderci che non basterà soddisfare alcuno di essi per trovare la risposta per noi decisiva e ultima fino a quando non avremo toccato il profondo del nostro essere, là dove il nostro cuore resta inquieto fino a quando non riposa in Dio, illuminato dalla luce del suo Verbo.

A questo desiderio di luce mi piace richiamare oggi, nel santo giorno del Natale del Signore, gli uomini e le donne di questa città, la cui storia è percorsa da tante tracce di ricerca della verità, nella scienza, nella cultura e soprattutto nella bellezza, a dire come la irrequieta natura della nostra gente può ben essere ricondotta a una ricerca inesausta di un “oltre”, a una insoddisfazione del profondo, che non può estinguersi fino a quando non tocca il senso ultimo dell’esistenza e il suo destino eterno. A questa ricerca la Chiesa non si stanca anche oggi di offrirsi come orientamento – ben simboleggiato dallo slancio della nostra grandiosa cupola nel cielo della Toscana – nel cammino verso quella luce che è Cristo, il rivelatore di Dio, che ci rende possibile contemplarne nel suo volto “la gloria” del Padre e di attingere pienezza “di grazia e di verità”. Che questo incontro possa accadere è il mio augurio a tutti e a ciascuno di voi.

E a concludere permettete che riprenda alcuni spunti dell’augurio che nei giorni scorsi ho voluto rivolgere alla città e alla diocesi. Nei giorni del Natale è diffusa, nelle forme più diverse, seppure a volte confuse, l’attesa di un’esperienza di gioia e anche di condivisione. La ricerca della felicità e il bisogno di sfuggire alla solitudine sono inscritte nella radice della persona umana. Non si fa festa da soli e nella solitudine non c’è festa. Di qui mi viene spontaneo l’auspicio di ulteriore coesione della nostra città e del suo territorio, soprattutto nell’attenzione ai più deboli e ai più poveri. E al tempo stesso l’auspicio di crescita della nostra comunità nelle sue virtù più tipiche di creatività e di progettualità, per un futuro pieno di speranza in un momento in cui la crisi rischia di chiuderci nel passato e negli egoismi. Il Natale di Gesù viene a dirci l’amore di Dio per l’umanità, la sua fiducia in noi; viene a ribadire che dalla condivisione di Gesù con noi si può aprire una strada di comunione fra tutti gli uomini, e dal fatto inaudito di un Dio che si fa uomo diventa possibile per gli uomini essere più uomini, perché da lui trasformati nel cuore. Buon Natale a tutti.

Giuseppe BetoriArcivescovo di Firenze