Prato
Franci: la storia del frate architetto costruttore di chiese
Chi conosce l’arte e la storia del territorio pratese avrà sicuramente fatto caso alle analogie che ci sono tra a chiesa di Tavola e quella di Mezzana, in particolare la facciata, e tra le imponenti costruzioni di Santa Maria Assunta a Narnali e San Pietro a Cavarzano. Dietro al progetto di queste e di altre chiese di Prato, e di molte altre in Toscana, c’è la mano di un frate minore francescano chiamato Raffello Franci, nato alla fine dell’Ottocento e scomparso nel 1963. A lui e alla sua infaticabile opera di costruttore di chiese è dedicato un interessante volume scritto da due architetti: Paolo Caggiano e Fabiola Gorgeri. Giovedì 3 gennaio, alle ore 21, a San Pietro a Mezzana, come detto uno tra i tanti edifici di culto realizzati dal frate architetto, ci sarà la presentazione del libro a Prato alla presenza degli autori. Introduce il direttore dei musei diocesani di Prato Claudio Cerretelli, modera la giornalista Sara Bessi.
Ma chi era Raffaello Franci? Originario di San Giovanni Valdarno, ha coniugato la vita religiosa all’attività professionale, progettando, nella prima metà del Novecento, un gran numero di chiese, complessi religiosi e istituti in Italia e all’estero. Per primi citiamo i lavori pratesi: Cafaggio, Chiesanuova, convento di Galceti, San Giorgio a Colonica, l’oratorio di San Sebastiano e le già citate chiese di Mezzana, Tavola, Narnali e Cavarzano. Sono opera sua la chiesa del Sacro Cuore a Montemurlo e la parrocchia di Casini a Quarrata.
Il libro di Caggiano e Gorgeri, rispettivamente presidente e vice dell’ordine degli architetti di Pistoia, sulla base della ricognizione del territorio toscano, della raccolta di inedito materiale grafico e documentale d’archivio, intende far conoscere questo architetto singolare e poco noto che però ha lasciato grande traccia del suo ingegno in Toscana. «Franci non frequenta alcuna scuola pubblica di indirizzo alla professione di architetto – spiega Caggiano – segue invece suggerimenti da diversi amici professionisti, in primo luogo da quello che considera il suo maestro, ovvero Severino Crott». Il frate è dunque un autodidatta e nella sua produzione si ispira al classico e lo assimila, come nel caso del complesso religioso della Poggerina a Figline Valdarno e nelle chiese di Pratovecchio, Cavarzano e Tavola. Oppure si ispira al classico ma con un «soffio moderno», come a Montemurlo, Sant’Antonio a Viareggio e nella cappella del Pastor Angelicus a La Verna. Nel 1927 Franci insegna disegno geometrico, ornamentale e architettonico, anatomia pittorica e mitologia classica illustrata agli studenti francescani di Santa Lucia a Lastra a Signa e di San Francesco a Fiesole. In una stanza lunga e stretta nel sottotetto del convento di Monte alle Croci, ingombra di pezzi e di cornici, padre Franci sistema il suo spazio di lavoro: è lo studio nel quale, per oltre quarant’anni, disegna assiduamente e progetta interi complessi religiosi: dalle chiese ai conventi, dalle cappelle fino agli elementi di arredo sacro, come gli altari di Sant’Antonio a Montecatini Terme e della chiesa della Misericordia a Pistoia. È stato per decenni presidente della commissione edilizia della provincia toscana dei frati minori e per la diocesi di Fiesole. A onor del vero nei suoi confronti non mancano alcune critiche da parte di chi gli rimprovera, in alcuni casi, come voleva la logica del tempo, di non aver valorizzato le strutture preesistenti costruendo le nuove chiese sopra gli edifici antichi del XII secolo, come avvenuto ad esempio a Tavola e Mezzana. Cosa che a partire dagli anni Sessanta non è più stata fatta, basti pensare a Tobbiana e Galciana dove il nuovo edificio è stato realizzato accanto a quello storico.
«Franci aveva una personalità umile e serena ed era sempre pronto alla battuta – racconta Caggiano –, adorava la sua professione e spesso affermava che come corrispettivo per il suo lavoro era sufficiente un semplice pranzo, privilegiando il riso all’acciugata e l’agnello arrosto». Il suo distacco dal denaro è rimasto proverbiale e molte volte a chi gli chiedeva l’onorario per la sua opera rispondeva: «Per me basta una bottiglia di vin santo da bere con i confratelli del Convento, ma non so se il mio Guardiano si … contenterà !».