Nelle parrocchie pratesi c’è una consapevolezza: per far fronte ai grandi cambiamenti in atto nella nostra società occorre una «conversione pastorale». Mentre quattro sono le emergenze particolarmente sentite: gli immigrati, le coppie «irregolari», gli anziani e i malati, che, sempre meno ospedalizzati, sono quindi assistiti nelle proprie case. È quanto emerge dalle risposte ai questionari distribuiti alle parrocchie, alle aggregazioni laicali e alle comunità religiose in questo secondo anno di piano pastorale diocesano. L’obiettivo è fornire agli organismi diocesani e in particolare a monsignor Agostinelli le indicazioni per impostare gli impegni futuri della Chiesa pratese. «Il Vescovo chiede contributi per capire la direzione da seguire – spiega monsignor Carlo Stancari, vicario episcopale per la pastorale – lui insiste sulla concretezza delle proposte».Monsignor Stancari, cosa si evince dai questionari?«Tutte le parrocchie avvertono che siamo in un tempo di cambiamento e che non dobbiamo farci trovare impreparati ad affrontare le nuove sfide di oggi. Accanto a questo si legge una volontà di mantenere l’esistente cercando di qualificarlo: catechesi, sacramenti e carità sono elementi considerati ancora prioritari e identificativi».Quali sono le difficoltà maggiori?«Sicuramente la dimensione missionaria, cioè l’uscita ad extra della comunità, il trovare nuove vie di incontro e proposta per i lontani».Ci si è dati una risposta su questo punto?«Diciamo che emerge una realtà: siamo la Chiesa del dovere, del “si è sempre fatto così”, dei sacramenti da “passare”, piuttosto che la Chiesa della gioia del Vangelo. Solo in questo modo i cristiani possono essere contagiosi. Questo vale in particolar modo nel coinvolgimento dei ragazzi».A questo proposito, qual è la situazione dei gruppi giovanili e delle esperienze del dopo cresima nelle parrocchie? Con quali risposte?«Rimane importante per tutti tentare e ritentare una proposta per i ragazzi del dopo cresima e per i giovani, abbiamo esperienze molto partecipate, ma anche situazioni in cui il senso della continuità e dell’appartenenza si trasmette con difficoltà. Ecco, in questo ultimo caso emerge il bisogno di formare educatori la cui caratteristica principale non deve essere quella di conoscere il linguaggio dei giovani ma, come ho detto prima, devono avere una vita piena, cristiana e gioiosa da condividere. Un ragazzo si sente coinvolto dove c’è una pienezza di vita, non dove ci sono parole».Tra le emergenze le nostre parrocchie pongono l’immigrazione. In che senso?«Le nostre parrocchie e realtà diocesane intercettano gli stranieri perché molti frequentano i centri di ascolto Caritas e i più piccoli gli oratori, che sono luoghi di incontro, collaborazione e conoscenza reciproca. Tra questi sono tanti gli appartenenti alla religione musulmana, per andare incontro a loro abbiamo bisogno di nuove competenze, in modo da stabilire un confronto sereno. Altro aspetto importante è la necessità di uscire dal buonismo che fa solo assistenza, senza però cadere nel proselitismo o peggio nel qualunquismo. Questa è una sfida importante».Un tema molto caro al Vescovo riguarda la cooperazione interparrocchiale. A punto siamo?«In molte risposte si afferma che già esiste una collaborazione tra le parrocchie, ma si tratta per lo più di un aiuto scambievole che vale per iniziative specifiche come oratori estivi, centri Caritas, celebrazioni di messe e confessioni. La prospettiva delle “unità pastorali” (ovvero la realtà in cui la cura di un insieme di parrocchie è affidata ad un’unica gestione, ndr) non è stata presa in considerazione in maniera organica. Su questo punto c’è ancora molto da lavorare».Qual è il prossimo passo verso una possibile «conversione pastorale»?«Rispondere alla domanda del nostro Vescovo, che ci chiede: in questo momento storico la Chiesa di Prato su cosa deve puntare prioritariamente? Per capire come muoverci dobbiamo tenere conto di tutti gli appuntamenti mondiali, nazionali e locali che ci sono in ponte nei prossimi mesi, come il sinodo, il convegno ecclesiale, il giubileo della Misericordia e naturalmente la visita del Papa. Questi eventi devono fare da sfondo al nostro impegno pastorale che va programmato, senza però ridurre tutto a calendarizzazione di iniziative, andando al di là del corto cammino».