Da, quando Alganesh Fessah, una donna di origine eritrea da 18 anni impegnata nel salvataggio di profughi e minori scampati alla guerra, ha mostrato le immagini dei loro coetanei torturati, con la pelle sfregiata da percosse e frustate, bruciature di fuoco e plastica fusa. Sono le immagini che Alganesh mostra sempre, ad ogni incontro pubblico. E ogni volta ripete «Questo che vedete è niente rispetto a quanto accade, a come li troviamo noi», e ogni volta si meraviglia di quanto «anche sapendo, si finge di non vedere».Moltissimi di quelli che salva, poi, la chiamano mamma: lei, a capo della Ong Gandhi, si adopera senza sosta per sottrarre dalle mani dei beduini i prigionieri torturati, o per levarli dalle prigioni d’Egitto. Lavora, come racconta, «per salvare vite umane, per salvarle ad ogni costo», anche quando è lei la prima ad essere poi minacciata dai beduini per la sua stessa vita.Racconta i particolari di quelle liberazioni: le telefonate con gli aguzzini, la promessa del riscatto, il tentativo di individuare la posizione delle prigioni, in mezzo al deserto. Poi gli appostamenti notturni, le fughe e le sparatorie: e quel confine – i 5 metri al di là della recinzione – che segna il confine di salvezza al di là del quale, nel codice non scritto dei beduini, ogni prigioniero è salvo. Poi, racconta del recupero delle vittime e delle cure che lei, medico, cerca di somministrare come primo intervento. E, ancora, racconta della lenta ripresa alla vita di chi, per un soffio, ha scampato la morte.«I ragazzi che voi vedete arrivare dalla Libia, dal Sinai – racconta Alganesh davanti a una platea di sedicenni – sono ragazzi che hanno subito torture per avere la libertà, la dignità, il rispetto. E così come loro anche quelli che arrivano sui barconi spesso hanno queste storie alle spalle».E poi, ancora, racconta che «i ragazzi non scappano dal loro paese solo per avere una vita migliore. Voi pensate che in Eritrea il servizio militare va dai 16 ai 50 anni ed è obbligatorio. Pensate a questi ragazzi, che devono stare sotto le armi a combattere fino alla morte». E prosegue: «Non siate indifferenti alla sofferenza degli altri. L’indifferenza è peggio del resto. Quello che io vi chiedo, questa mattina, è di capire. Di capire e di essere solidali con queste persone».All’incontro con gli studenti del Gramsci Keynes è arrivato anche il vicesindaco, Simone Faggi, che ha detto ai ragazzi: «Il nostro Paese ha tutte le possibilità per dare un’accoglienza dignitosa a chi scappa, anche se occorre chiedere con forza l’aiuto dell’Europa. Ma non facciamoci ingannare dalla retorica, qui è in gioco la vita delle persone. Non è puntando il dito contro gli ultimissimi che combattiamo le disuguaglianze economiche e sociali anche nella nostra città”.