Scegliendo di vivere in via Donizetti, nel cuore di Chinatown, hanno deciso di condividere con la comunità cinese molte difficoltà quotidiane. «Anche noi viviamo in capannone e sappiamo cosa significa riscaldare stanze con i soffitti alti sei metri», dice fra’ Francesco Brasa (a sinistra, nella foto in alto). Lasciato dopo secoli il convento di San Domenico e la presenza a Galceti, sette anni fa i frati minori hanno deciso di non abbandonare Prato ma di aprire una nuova comunità, con la missione pastorale di rivolgersi agli immigrati cinesi. Fra’ Francesco, qui dal 2008, e fra’ Roberto gestiscono un doposcuola e si occupano della visita ai malati. Quest’ultimo è un servizio prezioso, «perché ci sono molte persone fra gli orientali, non autosufficienti che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto», sottolinea fra’ Francesco. In particolare, i frati seguono due cinesi vittima di scippi finiti in tragedia, «dopo una rapina uno di questi è stato scaraventato dal muro che c’è alla stazione del Serraglio e ora è invalido al 100%», dice il religioso.I frati rappresentano il «braccio operativo» di una pastorale, quella dei migranti, guidata da mons. Santino Brunetti (nella foto accanto), che è vicario episcopale e direttore dell’ufficio diocesano proprio in questo ambito. «Il problema dello sfruttamento a Prato riguarda essenzialmente i cinesi, ma purtroppo è una piaga che vale per quasi tutti gli stranieri; – sottolinea mons. Brunetti – a Rosarno ad esempio i lavoratori immigrati sono trattati peggio delle bestie. Finché a comandare sarà la logica del profitto succederanno queste tragedie». Per il sacerdote la soluzione a questi problemi è «l’educazione alla legalità, non basta reprimere e controllare. Con la comunità cattolica cinese, anche se composta da solo 200 fedeli, stiamo insistendo sui concetti di dignità della persona e sui diritti dell’uomo».Ma perché i cinesi che vivono nei loculi-dormitorio non denunciano le condizioni subumane nelle quali sono costretti a vivere? «In questi anni abbiamo imparato a conoscerli e possiamo dire che i cinesi hanno un “impianto culturale” diverso dal nostro, – afferma fra’ Francesco – per prima cosa non hanno, come noi, il “culto” di una casa di proprietà, molti di quelli che vivono qui vengono dalla campagna e anche là vivono in modo spartano, senza badare alla sicurezza».I frati hanno potuto constatare come l’immigrazione cinese sia «temporanea», «vengono qui a Prato per starci solo 7-8 anni, essenzialmente per guadagnare i soldi necessari a migliorare il proprio tenore di vita una volta tornati in patria», spiega ancora fra’ Francesco. In Cina, infatti, per i grandi problemi legati alla forte densità demografica, esistono leggi che vietano alle persone di potersi spostare dalla campagna alla città. «Possono farlo solo pagando», aggiunge il religioso, «e per riuscire a racimolare 10-15 mila euro decidono di lavorare in queste condizioni per alcuni anni. Per loro venire in Italia è come un investimento e sono disposti a lavorare 18 ore al giorno in queste condizioni». Il fatto di non conoscere l’italiano è la conseguenza di questa situazione, «sanno che staranno qui solo qualche anno e dunque non è nel loro interesse imparare la nostra lingua».Il compito della comunità dei frati, che si chiama Maria Madre dell’Incontro, è proprio quello di essere un ponte tra via Pistoiese e il resto di Prato. «La nostra presenza nelle strade di Chinatown, la scelta di vivere in un ex capannone proprio come loro – conclude fra’ Francesco – vuol essere una testimonianza, un modo per far capire che è possibile trovare Dio, incontrarsi, conoscersi e avere relazioni autentiche anche in questi ambienti».