«Con la costituzione della cooperativa sociale «La Bussola» abbiamo dimostrato che anche i nomadi possono passare da assistiti a produttori. Altro che «nonsipuotismo»!» Con questo buffo termine coniato nel ‘700 a proposito dell’indole rinunciataria diffusa fra i napoletani di allora, il presidente della giovane cooperativa, Augusto Bassolino, di chiare origini partenopee, ne ha presentato le attività martedì 16 dicembre in Palazzo Vescovile. Erano presenti il Vescovo, mons. Gastone Simoni, l’assessore ai servizi sociali del Comune di Prato, Rita Frosini, il presidente di Asm, Adriano Benigni, il vicesindaco di Montemurlo, Aurelio Biscotti, il presidente di Emmaus Prato, nonchè dirigente dell’assessorato alla mobilità del Comune, Lorenzo Frasconi e don Alessandro Cecchi, che di Emmaus a Prato è sempre stato il principale animatore. Ma soprattutto c’erano loro, i soci-lavoratori della cooperativa, 30 nomadi dei vari «campi» della zona (via Pollative, Poggetto, S. Giorgio a Colonica, viale Marconi), visibilmente contenti per essersi resi finalmente autosufficienti, attraverso le attività di recupero di materiale ferroso, giardinaggio e pulizia di spazi verdi esercitate da «La Bussola».Con la sua citazione Bassolino ha sostenuto che «dare fiducia agli svantaggiati perché si rendano autonomi «si può». Grazie infatti all’interessamento di Emmaus e del Comune di Prato è stato possibile in un primo momento operare un risanamento igienico-ambientale dei campi nomadi e la realizzazione di casette di legno per favorire l’abbandono delle roulotte. Vinta quindi la concezione che i nomadi non potessero abitare in una casa, presente sia nella loro testa che nel pregiudizio della gente, era ora di pensare a rimuovere un’altra forma di «nonsipuotismo», cioè l’idea che un sinti o un rom non potesse lavorare». Grazie all’interessamento di Emmaus, che ha anticipato le spese di costituzione e avviamento, e alla presa di coscienza degli stessi nomadi, è stata allora avviata a luglio di quest’anno la cooperativa sociale «La Bussola». A sottolineare, come ha detto il Vescovo rafforzando il motto di Bassolino, che «insieme si può».La cooperativa, secondo quanto ha spiegato il presidente «è di tipo puro, in stile ottocentesco, perché tutto quello che viene guadagnato è suddiviso tra i soci-lavoratori, senza che altri organi sociali prendano un euro». A proposito di soldi, Bassolino prosegue affermando che «agli enti pubblici non è stato chiesto nessun contributo economico, ma solo l’attenzione ad agevolare queste pratiche di assunzione diretta di responsabilità». In definitiva quello che si chiede alle istituzioni (ma anche ai privati) è semplicemente di «fidarsi» del lavoro dei soci della cooperativa, stipulando ad esempio delle convenzioni, come ha fatto il Comune di Montemurlo, che ha affidato con soddisfazione a «La Bussola» la gestione del verde urbano, o quello di Prato, che la incaricherà della manutenzione del verde delle piste ciclabili. E da Bassolino è invocata anche «una legislazione più favorevole – e qui entra in scena lo stato – che possa considerare rom e sinti quali soggetti svantaggiati». Questo tipo di approccio, non assistenziale, è da raccomadare sia per l’ente pubblico, che per la Chiesa e gli altri soggetti che aiutano chi è in difficoltà. Infatti, l’accompagnamento verso un lavoro, oltre a facilitare l’emancipazione delle persone, le fa diventare produttrici di reddito e contribuenti dell’erario». Si calcola infatti che per il 2003 i soci della cooperativa verseranno almeno 50.000 euro di imposte. Altro che assistiti!